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Il TAR conferma tre anni di Fogli di via. Il Comitato contro l’Occupazione militare: “ora momento di unione e forza”

occupazione militare

12 maggio, il TAR ha respinto il ricorso contro i Fogli di via da Sant’Anna Arresi e Teulada.

La motivazione del provvedimento è stata ritenuta “ampiamente e congruamente motivata”, data la presunta pericolosità per la sicurezza pubblica. Si precisa inoltre “che la misura del Foglio di Via obbligatorio è diretta a prevenire reati, piuttosto che a reprimerli”. Si parla di “un’oggettiva e apprezzabile probabilità di commissione di reati”quando si tratta, per la maggior parte, di persone incensurate, alcune delle quali abitano addirittura nelle zone limitrofe. Ci troviamo in una situazione assurda per cui delle persone solo per essere state identificate al di fuori del poligono di Teulada, non possono più tornare in quei luoghi per almeno 3 anni.

Si può cercare all’infinito la differenza tra repressione e repressione preventiva, sta di fatto che alcuni dei suddetti fogli di via sono stati notificati, guarda caso la mattina del 3 novembre, con il chiaro intento politico di compromettere la riuscita del corteo. Ancora una volta apprezziamo la corrispondenza tra giustizia formale e ingiustizia sostanziale.
Una giustizia che vede il pericolo in chi lotta per poter camminare liberamente sulla propria terra e non in chi la devasta con le bombe. Questa sentenza del TAR, che riprende la linea politica della Questura di Cagliari nei confronti del movimento contro le basi, ne è la prova lampante.

Recentemente come comitato studentesco siamo stati vittime di una perquisizione orchestrata dai militari ed eseguita del PM Pani, anch’essa si iscrive in un contesto di attacco alla libertà dei sardi di poter decidere le sorti del loro territorio e ne limita le libertà ma sopratutto la possibilità di informarsi di quando viene sparato e di quello che viene sparato in Sardegna durante le esercitazioni.

E’ in momenti come questo che il movimento che lotta contro le basi militari deve mostrarsi più unito e forte. Per questo abbiamo deciso tra aprile e maggio un tour che ha toccato diversi territori e che si concluderà il 2 giugno ad Oristano con l’Assemblea Generale Sarda contro l’occupazione militare della Sardegna

Sassari. Il Maggio di S’idealibera, Umparemmu: ciclo di formazione politica

Culletivu S'IdeaLìberaUMPAREMMU, atopu di ciarra purìtigga, di Culletivu S’IdeaLìbera

  • SOCIALISMO SCIENTIFICO con introduzione di Cristiano Sabino (6 e 7 maggio)
  • INDIPENDENTISMO E ANTICOLONIALISMO con introduzione di Andrìa Pili
  • ANARCHISMO con introduzione di Costantino Cavalleri

Abbiamo deciso di organizzare una serie di discussioni mirate ad un dialogo su alcuni temi politici, storici e filosofici a noi cari, sentendo la necessità di fare chiarezza su alcuni termini imprescindibili del nostro agire, col fine di leggerne assieme il significato e crescere reciprocamente.

Di volta in volta discuteremo tematiche come ad esempio: rivoluzione e rivolta, socialismo -anarchismo e comunismo-, autodeterminazione dei popoli, anticolonialismo e indipendenza, lotte di emancipazione sociale e autodeterminazione dell’individuo, sistema carcerario e repressione.

Vogliamo evitare lo svuotamento concettuale del nostro linguaggio politico corrente, il cui lessico ha sofferto di impoverimento, banalizzazione e mistificazione negli ultimi quarant’anni creando una generazione politicamente analfabeta, fatalista e qualunquista.

Vogliamo riportare la discussione politica nella vita quotidiana, partendo dai concetti e dalle contraddizioni di base, adoperandoci affinché la discussione non sia circoscritta agli incontri ma continui a crescere fuori da essi, facendo nascere nuove analisi, una nuova estetica e nuovi modi di comunicare.

Come stimolo aggiunto alla discussione sarà presente per ogni incontro un ospite scelto dal collettivo per la sua preparazione sull’argomento. Gli incontri non saranno lezioni, ma una discussione orizzontale ed assembleare di crescita collettiva.

A lenu a lenu ma sighimmu!

Culletivu S’IdeaLìbera – Via Casaggia, 12 – Sàssari vèciu.

Referendum. Il FIU: un SI per la sostenibilità, un SI contro il colonialismo

NOTriv
Domenica 17 aprile si svolgeranno le consultazioni elettorali per il referendum abrogativo sulla
durata delle trivellazioni in mare, ovvero per l’abrogazione del comma 17 dell’articolo 6 del Dlgs 152/2006 (Norme in materia ambientale), così come modificato dal comma 239 art 1 della Legge 208 del 28 dicembre 2015. Continua la lettura di Referendum. Il FIU: un SI per la sostenibilità, un SI contro il colonialismo

Le ragioni della lotta di liberazione nazionale e sociale in Sardegna (di Scida)

Infografica "Stati in gestazione?" - di Limes - tratto da dossier "L'impero è Londra"
Infografica “Stati in gestazione?” – di Limes – tratto da “Scots and the City”

Le ragioni della lotta di liberazione nazionale e sociale in Sardegna

Nazionalismo, autodeterminazione, anticolonialismo. Questi sono tre concetti fondamentali per comprendere le nostre ragioni, per quanto siano stati spesso visti come inappropriati in riferimento alla realtà sarda. Parliamo di nazionalismo rivoluzionario, di liberazione, la cui nascita è situata dagli storici nella Rivoluzione Francese. In questa occasione il concetto di “nazione” fu- per la prima volta- interpretato in senso rivoluzionario: non più come un mero corpo di cittadini nati su un territorio determinato ma anche come un potere costituente- ora oppresso- rivendicante un diritto naturale alla sovranità contro gli oppressori, contro i privilegiati.

La Sardegna è una entità. Siamo un popolo che vive in un determinato territorio ed ha le sue particolari caratteristiche, innanzitutto per quanto concerne la lingua e la storia. Come tale ha diritto all’autodeterminazione: la sovranità nella nostra terra deve passare unicamente attraverso le scelte del nostro popolo, senza i vincoli di un potere ad esso straniero. Ciò non va interpretato come una chiusura nei confronti del resto dell’umanità; tuttavia, solo quando saremo liberi potremo decidere liberamente a quali federazioni aderire- su basi democratiche.

Dopo la rivoluzione francese, il nazionalismo conosce anche la sua declinazione in senso reazionario. Tuttavia, con la Rivoluzione d’Ottobre (1917) si aprirà una nuova fase per le lotte di liberazione nazionale; infatti, la rivoluzione socialista, grazie anche al pensiero di Lenin sull’imperialismo, rappresenterà un faro per tutti i movimenti anticoloniali. Questi assumeranno un ruolo nella lotta contro il capitalismo, ponendosi in netto contrasto con il nazionalismo etnicista, tradizionalista, conservatore e borghese degli Stati oppressori.

Nel XX secolo il pensiero progressista ha analizzato particolarmente il problema dell’imperialismo, del colonialismo vecchio e nuovo, elaborando teorie come quella detta “della Dipendenza” o la teoria dei sistemi-mondo capitalisti. Queste ci hanno mostrato come i rapporti di dominazione tra un centro capitalista e le periferie possa persistere anche una volta che, queste ultime, hanno costruito delle istituzioni proprie formalmente indipendenti (Sudamerica). Inoltre, a differenza di chi ci ha preceduto, possiamo vedere decenni di storia di nuovi Stati nati dalla lotta anticolonialista. Così tutti i movimenti per la liberazione nazionale sono obbligati a chiedersi: si può porre solo il problema della mera costruzione dello Stato? Oppure l’indipendentismo è da intendersi come un processo di emancipazione reale?

In questo modo, al problema della sovranità si aggiunge quello economico. La lotta nazionale è anche lotta per l’emancipazione sociale.

In sintesi: problema istituzionale (sovranità popolare) più problema economico (lotta alla dipendenza). Dalla sudditanza e dallo sfruttamento oggettivo della Sardegna- la sua condizione di terra sfruttata per interessi altrui, in particolare dello Stato italiano- nascono le ragioni di un movimento di liberazione nazionale anche nella nostra isola.

Storia della Sardegna e pensiero sardista dalla Sarda Rivoluzione ad oggi

Il clima preparatore per la Sarda Rivoluzione (1794-96) è sorto nella seconda metà del secolo XVIII, con la crisi del sistema feudale e le riforme sabaude del Ministro Bogino- in particolare la ristrutturazione delle Università. Da queste venne fuori una intera generazione, in particolare di giuristi, aperta a nuove idee, più sensibile alla realtà dell’isola e consapevole del ruolo che la borghesia sarda avrebbe potuto ricoprire se avesse avuto accesso alle più alte cariche pubbliche del Regno nell’isola. L’invasione francese (1793) fu l’evento che scatenò l’emersione di queste energie nuove: i sardi difesero l’isola senza l’aiuto esterno e sotto un vicerè del tutto incapace di far fronte alla situazione. Ciò spinse la borghesia cagliaritana- tramite gli Stamenti- alla formulazione delle sue 5 domande a Torino; l’ostilità nel non volere rispondere ad esse e la crescita di un ambiente politico sempre più vivace attorno agli Stamenti ed al movimento riformatore a Cagliari, culminò nella “emozione popolare” del 28 aprile 1794, quando- dopo il tentativo di arrestare due uomini influenti negli Stamenti, al fine di reprimere quest’ultimo, espressione della rinnovata volontà autonomistica- i cagliaritani- con un grande atto di protagonismo popolare- insorsero contro i piemontesi, espellendoli infine dall’isola.

Sarda Rivoluzione come rivoluzione nazionale mancata (1795-96)

La rivendicazione nazionale borghese (l’accesso alle cariche del Regno di nazionali sardi; difesa delle prerogative autonomiste contro l’assolutismo della Corona) si unisce alla lotta dei contadini contro il feudalesimo. A differenza delle precedenti rivolte a carattere nazionale antelitteram- l’epopea arborense contro gli aragonesi (1354-1409); la rivolta di Leonardo Alagon (1470-1478); la crisi Camarassa (1665-1668) – la Sarda Rivoluzione, in linea con la storia europea, assume una dimensione di massa. L’inno “Su patriotu sardu a sos feudatarios” di Mannu (1795) è una grande testimonianza di questo fatto rivoluzionario che possiamo assumere come atto di nascita della nazione sarda e del nazionalismo sardo.

Nel 1796, con il tradimento della borghesia, avvenne l’aborto della rivoluzione nazionale sarda. La borghesia isolana era troppo debole per potersi mettere, con determinazione, alla testa di un movimento emancipativo; così, la prospettiva di unire le proprie rivendicazioni con il moto nelle campagne finì per intimorirli e per spingerli a rafforzare i legami con la Corona, al fine di salvaguardare ed ampliare i propri privilegi in una dimensione non-conflittuale. Inizia il processo verso la Fusione Perfetta (1848) ed il ruolo definitivamente subalterno della classe dirigente sarda, debole e priva di ambizioni, che vede nel Piemonte prima e nello Stato italiano unitario poi, il massimo protettore dei propri interessi.

Con l’arrivo della corte sabauda in Sardegna, nel 1799, a causa dell’invasione napoleonica e con Carlo Felice viceré si rafforza il legame- il matrimonio di interesse- tra Corona e classe dirigente isolana. Questa sarà funzionale allo Stato italiano come raccordo tra l’oppressore centrale ed il popolo sardo oppresso. La borghesia sarda si è rivelata incapace di avere un ruolo autonomo rispetto a quella italiana. Ne consegue che è impossibile comprendere l’oppressione sociale sarda se non entro l’oppressione nazionale; di conseguenza, è impossibile risolvere la prima senza la seconda.

Ottocento

Si assiste ad un grande interesse per la storia della Sardegna, tanto che possiamo affermare che in questo secolo gli intellettuali hanno inventato la Nazione sarda ma, allo stesso tempo, anche l’italianità della Sardegna. Gli storici sardi – Manno, Spano, Martini, Siotto Pintor- in modo paradossale ma interpretando le ragioni della borghesia sarda, da un lato danno fondamento storico alla Sardegna come nazione e dall’altro la inseriscono entro l’italianità. Fatto del tutto nuovo, dato che si è sempre pensato all’isola come a qualcosa d’altro rispetto al continente.

Nel 1847 avviene la Fusione perfetta tra l’isola ed il Piemonte. A questa segue il prepotente avvento del capitalismo: risoluzione reazionaria del conflitto nelle campagne. L’abolizione del feudalesimo (dal 1832) si realizzò contro gli interessi di contadini e pastori, come testimoniano provvedimenti come l’editto delle chiudende e l’abolizione degli ademprivi. La trasformazione economica renderà il secolo XVIII un periodo di duro scontro di classe tra il popolo e la sua classe dirigente legata allo Stato centrale, subalterna al Capitale italiano.

Sul “fallimento” della Fusione e le sue conseguenze oggettivamente nefaste si interrogano diversi intellettuali sardi, che- con la borghesia- avevano creduto in essa come ad una fonte di progresso e modernità per il popolo sardo, dando vita al pensiero federalista (Tuveri, Asproni).

Piuttosto significativa è la rivolta di “su connotu” nel 1868, a Nuoro. Espressione di una classe subalterna priva di coscienza di sé, senza la formazione di un partito che possa fare i suoi interessi e quindi dotata della sola arma della Tradizione, contro una classe dirigente unita e compatta in favore dell’Italia e del capitale straniero. Questo era penetrato particolarmente nelle miniere tramite società inglesi, francesi, belghe e genovesi.

Nell’ultimo quarto di questo secolo assistiamo all’invasione dei caseari italiani, i quali provocarono l’ampliamento dell’ovino per soddisfare la domanda di pecorino romano per gli emigrati italiani in America. Inoltre, la guerra doganale Italia-Francia, causata dalla nuova politica protezionista del governo italiano della Sinistra Storica- danneggia in particolar modo i produttori sardi; la manifestazione palese degli opposti interessi economici tra l’Italia e la Sardegna porta- specie nel primo Novecento- alle elaborazioni che si riveleranno culturalmente importanti per il futuro sardismo (Attilio Deffenu)

Dal Novecento ai primi anni 2000

Il massiccio impegno bellico dei sardi durante la Grande Guerra (13000 morti e formazione di due reggimenti a base etnica sarda) ebbe degli effetti analoghi a quelli dell’invasione francese del 1793. La coscienza di sé porta alla rivendicazione dei diritti “nazionali” contro il centralismo, per l’autonomia sarda. Dal movimento degli ex combattenti, tra il 1919 ed il 1921, nacque il Partito Sardo d’Azione, primo partito sardocentrico di massa, a base contadina e non per gli interessi degli agrari troppo deboli. Questa è la grande differenza tra la Sardegna ed il Mezzogiorno d’Italia più la Sicilia, evidenziata da Gramsci. La proposta sardista è l’autonomia sarda in una Repubblica federale italiana oltre che la formazione di cooperative tra pastori e contadini.

Dal 1923 al 1926 il PsdAz è emerso come principale formazione antifascista nell’isola. L’ascesa del fascismo stronca il processo sardista.

Dopo l’Autonomia Regionale seguita alla fine del secondo conflitto mondiale ed alla nascita della Repubblica italiana, inizia l’era dei Piani di Rinascita. Questi sono stati, di fatto, l’ennesimo progetto economico in favore dello sfruttamento della Sardegna ad opera del capitalismo italiano. L’aumento del reddito dei sardi non fu accompagnato dall’aumento della capacità produttiva; perciò l’isola divenne un mercato di sbocco per i prodotti del Nord Italia. Mentre fu creato un terreno favorevole all’invasione di capitali stranieri, la Sardegna- come ha rivelato una recente analisi pubblicata sul Sole 24 Ore- è ancora oggi la regione dello Stato italiano ove fare impresa è più difficile.

Ridimensionato il ruolo dell’agricoltura ed in presenza di una debole borghesia manifatturiera, emerge il ruolo della classe politica – dell’apparato politico amministrativo della RAS- come nuova “classe egemone”, vero e proprio protagonista della trasformazione sociale in atto, grazie al suo potere nel dirottamento dei fondi pubblici per lo sviluppo dell’isola. Ciò ha creato il forte legame tra gli agenti economici isolani ed i partiti italiani oltre che la forte dipendenza dallo Stato, ampliata dalla distruzione del tessuto socio-economico sardo con la creazione dei poli industriali e la centralità della petrolchimica. Inoltre, con la crisi petrolifera (1973-79) il capitalismo di Stato italiano (ENI) assunse un ruolo molto rilevante nell’economia sarda.

Le riflessioni sul “fallimento” della Rinascita e le sue conseguenze nefaste, il disincanto nei confronti dell’autonomia regionale, la critica nei confronti della Sinistra italiana (PCI) e dell’azione politica della dirigenza del PsdAz, portò alla nascita del pensiero neosardista e di movimenti politici esplicitamente indipendentisti ed anticolonialisti, ricollegandosi al movimento anticoloniale ed anti-imperialista nel Terzo Mondo: Antonio Simon Mossa (tra sardismo e neosardismo, paragonabile a Connolly e Krutwig, oscillante tra appartenenza al PsdAz e formazione di movimenti in dissidenza come MIRSA); Su Populu Sardu (marxista, indipendentista, propugnante uno Stato socialista sardo).

La crescita di una sensibilità sardista fu catalizzata dal Partito Sardo d’Azione durante le elezioni 1984, che portarono al governo regionale di Mario Melis in coalizione con i comunisti italiani. Tuttavia questo partito si rivelò incapace di gestire il “vento” in suo favore.

Nella prima metà degli anni ’90 si creò un nuovo contesto politico: fine della guerra fredda, crisi degli storici partiti unionisti, crisi del capitalismo di Stato italiano; processo europeista (nascita di nuovi stati indipendenti). Si crea uno spazio per una crescita della coscienza nazionale sarda, perché i messaggi indipendentisti possano concorrere con quelli dei partiti italiani, ormai slegati dalla propria forza ideologica e privi di organizzazione massiva. Crescono nuovi movimenti post-ideologici che raccolgono gli individui più consapevoli, tuttavia non tradottasi nella creazione di un movimento nazionale di massa (SN, iRS, ProgReS). A fianco di questi ultimi anche il movimento indipendentista aMpI, che si distingue per la sua ideologia marxista. Il fallimento del capitalismo di Stato ha portato all’irruzione delle multinazionali, verso cui la Regione Autonoma ha un ruolo del tutto passivo. Inoltre, il tentativo di creare un ambiente favorevole alla nuova economia ICT (Video On Line, Tiscali, Sardegna Ricerche) non ha dato i risultati sperati, non riuscendo a rompere interessi consolidati. Il fallimento del capitalismo di Stato ha portato all’irruzione delle multinazionali, verso cui la Regione Autonoma ha un ruolo del tutto passivo.

Oggi

Il disagio sociale, sebbene non direttamente indipendentista, si esprime attraverso lotte sardocentriche e rivendicazioni contro il centralismo: contro la speculazione energetica e la sottrazione delle terre; contro l’occupazione militare; referendum sulle scorie e sul nucleare; agenzia sarda delle entrate; protezione ed uso pubblico della lingua sarda.

L’ascesa della coscienza nazionale ed il credito acquistato da proposte indipendentiste negli ultimi venti anni, manifestatosi anche elettoralmente come mai accaduto nel passato (Sa Mesa de sos Sardos liberos 1996; iRS provinciali 2010; Sardegna Possibile 2014) ha portato al tentativo, da parte dei partiti unionisti, di bloccare il progetto, cercando di dipingersi come più sardisti. Il cosiddetto “sovranismo”- la collaborazione di una parte del movimento indipendentista con il centrosinistra italiano- è una manifestazione di questo tentativo di riorganizzare l’oppressione nazionale. Ciò potrebbe portare anche all’approvazione di provvedimenti positivi (esempio la legge salvacoste di Soru o, in futuro, la stessa Agenzia Sarda delle Entrate) ma non inquadrate in un progetto emancipativo ma solo al fine di bloccare un processo che potrebbe estendersi fino a minacciare la classe dirigente attuale. Un movimento nazionale di massa serve anche perché delle “conquiste” possano rimanere in piedi ed essere inserite in un progetto emancipativo. Basti pensare allo Stato sociale, concesso grazie alla forza dei Partiti comunisti e del movimento operaio, oggi in smantellamento in assenza di forti partiti a difesa degli interessi popolari).

La persistenza del colonialismo è ben testimoniata dall’esistenza di due nuovi progetti come Matrica (ENI Novamont) a Porto Torres o della centrale a biomasse nel Sulcis, ad opera della Mossi & Ghisolfi. Mentre la Sardegna importa la maggior parte dei cereali che consuma, migliaia di ettari vengono sacrificati in nome di interessi altrui.

Prospettive attuali per la lotta di liberazione nazionale e sociale sarda

Nodo cruciale: trasformazione dell’indipendentismo da movimento di individui a movimento di massa. (Esempio bolivariano).

Necessità di un forte Movimento di Liberazione Nazionale Sardo: blocco storico degli oppressi sardi- i direttamente danneggiati dalla dipendenza economica- contro il blocco unito dagli interessi in comune con lo Stato italiano. La Sinistra unionista- l’idea di una unione ncessaria del popolo sardo con il proletariato italiano- ha storicamente fallito nel suo progetto di emancipazione, ostacolando la formazione di coscienza nazionale e la creazione di un forte partito sardo di massa, risultando funzionale allo Stato, togliendo al popolo sardo la fiducia in se stesso, levandogli di dosso l’idea che la propria liberazione possa dipendere da esso solamente e non da una forza esterna alla sua volontà. La debolezza della Sinistra italiana ed il ruolo reazionario della borghesia sarda sono delle opportunità in più per una prospettiva di lotta popolare coerente in Sardegna (esempio basco e catalano: movimenti sinistra nazionalista crescono sul tracollo della sinistra spagnola, dal collaborazionismo del PCE per la “transizione democratica” in avanti).

La questione culturale è una importante arma contro l’apparato ideologico di Stato, per distruggere la coscienza soggettiva italianista ovvero l’egemonia culturale dello Stato italiano. La promozione dell’uso della lingua sarda in ogni ambito e la costruzione di un sistema educativo sardo sono i due punti più importanti.

Indipendentismo è Internazionalismo: la lotta di liberazione sarda non è in contraddizione con la lotta degli oppressi di tutto il mondo; solo gli oppressori- e i reazionari- hanno interesse a cnteporle. Dobbiamo costruire la Sardegna libera nel XXI secolo: la lotta nella nostra isola è legata con quelle emancipative in tutto il mondo, per l’indipendenza e la giustizia sociale: contro il neoliberismo, per l’ambiente, la giustizia sociale e la democrazia economica.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

– Girolamo Sotgiu, “Storia della Sardegna sabauda”, Laterza (1984)
– Girolamo Sotgiu, “Storia della Sardegna dopo l’Unità”, Laterza (1986)
– Girolamo Sotgiu, “Storia della Sardegna dalla Grande Guerra al fascismo”, Laterza (1990)
– Girolamo Sotgiu, “Storia della Sardegna durante il fascismo”, Laterza (1995)
– Aldo Accardo, “La nascita del mito della nazione sarda: storiografia e politica nella Sardegna del primo Ottocento”, AM&D (1996)
– Aldo Accardo e Nicola Gabriele, “Scegliere la patria: classi dirigenti e risorgimento in Sardegna”, Donzelli (2011)
– Pietro Maurandi, “L’avventura economica di un cinquantennio” in “L’isola della Rinascita: cinquant’anni di autonomia della Regione Sardegna” a cura di Aldo Accardo, Laterza (1998)
– Francesco Floris, “Feudi e feudatari in Sardegna”, Edizioni della Torre (1996)
– Gianni Fresu, “La prima bardana: modernizzazione e conflitto nella Sardegna dell’Ottocento”, CUEC (2011)
– Francesco Ignazio Mannu, “Su patriota sardu a sos feudatarios”, a cura di Luciano Carta, CUEC (2002

http://scida.altervista.org/le-ragioni-della-lotta-di-liberazione-nazionale-e-sociale-in-sardegna/

Comunicato FIU. Indipendentismo: il punto sulla situazione

occupazione militare

Non c’è lotta contro l’occupazione militare senza lotta per l’indipendenza. La grande manifestazione di Capo Frasca ha dimostrato il carattere indipendentista della mobilitazione, almeno nella sua direzione. Fare un passo indietro rispetto a questo significa fare un grosso regalo allo Stato italiano e al suo esercito. La mobilitazione contro l’occupazione militare deve ovviamente restare aperta a tutte le istanze pacifiste, democratiche e di base anche se non esplicitamente indipendentiste, ma è necessario fare chiarezza su un punto fondamentale. Senza una chiara direzione indipendentista non è pensabile ottenere lo smantellamento dell’occupazione militare. Parlare di trasversalità e rimuovere il carattere indipendentista della mobilitazione significa automutilarsi e privarsi dello strumento più importante in questa battaglia contro lo Stato coloniale. Bisogna spiegare alla nostra gente che finché ci sarà l’Italia ci saranno i poligoni militari, lottare contro questi ultimi significa lottare per l’indipendenza.

Contro l’occupazione militare serve un progetto di governo della nazione sarda, quindi una prospettiva di convergenza indipendentista e nazionale sarda. La mistica delle manifestazioni o bagni di folla trasversali non è sufficiente per smantellare una presenza che evidentemente non è solo militare ma è anche politica e culturale. Serve creare un blocco storico che sia capace di proporre una alternativa di sistema alla presenza militare nella nostra isola. Serve una campagna paese per paese, porta a porta, capace di mobilitare ampie energie e serve soprattutto una rete di referenti territoriali che sappiano entrare nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle università, nei quartieri. Come è possibile ottenere tutto questo senza disporre di una rete politica organizzata ed operativa? Per questo motivo il Fronte Indipendentista Unidu aderisce e promuove la Rete Pesa Sardigna, frutto di un confronto democratico e paritario su questo tema, e di cui fanno parte indipendentisti e associazioni di base. Pesa Sardigna invita quindi tutte le forze antimilitariste ad aderire all’iniziativa in programma per il 29 ottobre prossimo a Lanusei.

È altamente inutile individuare nella Giunta Pigliaru un interlocutore potenziale per la risoluzione di questa vertenza. La posizione della Giunta è chiara e non lascia spazio ad ambiguità. Nel documento di Programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio scritto dal Centro Regionale di Programmazione e firmato 22 luglio 2014 viene affermato quanto segue: “non si può sottacere l’importanza delle infrastrutture, quali ad esempio i poligoni e gli aeroporti militari in Sardegna, per un armonioso sviluppo delle politiche industriali in materia di spazio a livello regionale”

(http://www.sardegnaprogrammazione.it/documenti/35_84_20140724090653.pdf)

Il Fronte Indipendentista Unidu aderirà a tutte le mobilitazioni, che chiaramente e senza ambiguità si schierino non soltanto contro l’occupazione militare della Sardegna, ma che siano anche finalizzate alla polarizzazione delle forze sane della Nazione Sarda e alla marginalizzazione e all’isolamento di chi ha oggettive complicità nel governo coloniale, sia attuale che trascorso.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene fondamentale e prioritario costituire un polo indipendentista aperto alla società civile e alle istanze di base capace di fare chiarezza. Detto questo, se la lotta indipendentista sta attraendo a sé individui e organizzazioni che in passato hanno militato in formazioni italiane, noi riteniamo che sia doveroso analizzare la coerenza e la trasparenza del loro avvicinamento all’indipendentismo. La gestione di questo processo storico e politico si presenta pressoché impossibile, attraverso grandi manifestazioni di popolo slegate da una visione politica indipendentista sul territorio. I lavori di Pesa Sardigna vedono una pratica paritaria tra le organizzazioni aderenti e una condivisione totale dei contenuti e delle decisioni organizzative sullo sviluppo della Rete stessa. Le tematiche che Pesa Sardigna porta avanti sono in totale rottura con l’apparato statale. I documenti e le posizioni espresse sono ineccepibili, sul processo di Quirra, sull’occupazione militare e sulla lotta di liberazione nazionale. Chi aderisce a Pesa Sardigna sposa una linea politica indipendentista che permea ogni battaglia che viene affrontata attualmente e che lo sarà in futuro. Asciugare dalle lotte di popolo dal carattere marcatamente indipendentista, significa ghettizzarsi. E’ un suicidio politico che implica un ritorno all’oscurantismo e alla stigmatizzazione dell’indipendentismo, a livello politico quanto intellettuale, fase dalla quale si è faticosamente usciti nel corso dell’ultimo decennio. O forse – a veder parlare di trasversalità e ad avere tanto a cuore far sparire la connotazione indipendentista dall’agire politico – c’è da chiedersi se questa fase sia tutto, tranne che superata.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene prioritario concentrarsi sulla costruzione di una significativa mobilitazione in occasione della prima udienza al processo contro i generali del Poligono Interforze del Salto di Quirra, prevista il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei. Abbiamo molto chiaro il fatto che per l’Esercito italiano il poligono di Quirra sia irrinunciabile e che costituisca il vero interesse strategico su cui puntano l’Esercito, le multinazionali delle armi, lo Stato italiano e la stessa giunta Pigliaru. Per questo motivo rilanciamo con forza l’appuntamento, promosso dalla Rete Pesa Sardigna, per il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei in occasione della prima udienza del processo Quirra.

Comunicato del Fronte Indipendentista Unidu.

pesa saldigna

Alla cortese attenzione degli organi di informazione.

L’Assemblea Nazionale degli attivisti del Fronte Indipendentista Unidu riunitasi a Oristano, domenica 27 luglio, ha stabilito quanto segue.

Il Fronte Indipendentista Unidu prosegue il suo percorso politico iniziato a Ghilarza lo scorso 8 settembre perché non sono venute a mancare le motivazioni politiche e tanto meno la partecipazione, il protagonismo e le competenze di tanti indipendentisti sardi decisi a costruire un grande soggetto popolare di alternativa al sistema coloniale.

Avevamo dichiarato a gran voce che questo non sarebbe stato un percorso meramente elettorale, pertanto, riteniamo che non sia venuta meno la necessità di dare una risposta solida e coerente ai tanti cittadini sardi stanchi della corruzione e della sudditanza dei partiti italiani e delle scelte opportuniste di alcuni gruppi storici dell’indipendentismo.

Il Fronte Indipendentista Unidu seguirà il percorso democratico, partecipativo, inclusivo e di radicamento territoriale, continu a tessere tutti quei rapporti politici con comitati, associazioni, liberi cittadini che hanno a cuore la difesa della nostra isola dalle speculazioni del sistema coloniale le quali stanno mettendo seriamente a repentaglio l’intero ecosistema della nostra terra.

Il Fronte Indipendentista Unidu continuerà a sostenere quei soggetti sociali non compromessi con il sistema coloniale che lottano per la difesa e l’estensione dei diritti del lavoro e per la difesa dell’economia sarda. Il Fronte Indipendentista Unidu sosterrà pienamente il movimento linguistico fino all’obiettivo del bilinguismo perfetto.

Il Fronte Indipendentista Unidu continuerà a tessere tutti quei rapporti politici con le formazioni indipendentiste in piena coerenza con i principi e le indicazioni pratiche della Carta di Convergenza Indipendentista scritta da tutto il Movimento di Liberazione Nazionale nel corso degli anni 2011 e 2012. Su questa base sicura apriamo a qualunque rapporto di collaborazione e sinergia perché siamo fermamente convinti che il lavoro per realizzare la Convergenza Indipendentista non sia assolutamente da ritenersi concluso ma, anzi, appena agli inizi, e costituisce l’obiettivo politico più significativo che abbiamo il dovere di proporci.

Il Fronte Indipendentista Unidu preparerà una grande assemblea aperta a tutti i singoli, ai comitati, alle strutture indipendentiste da tenersi quanto prima e di cui si darà ampia diffusione, per meglio coordinare ed organizzare l’agenda politica per la decolonizzazione.

 Fronte Indipendentista Unidu. Oristano 27 luglio 2014