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COVID-19, Mondo, Italia e Sardegna: stime da Taiwan e organizzazione nell’Isola

COVID-19, Mondo, Italia e Sardegna: stime da Taiwan e organizzazione nell’Isola

Ieri notte il presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giuseppe Conte, ha inasprito le misure di contenimento per il COVID-19 con la firma del Dpcm n° 11.

Qui il testo: http://www.governo.it/it/articolo/coronavirus-conte-firma-il-dpcm-11-marzo-2020/14299

In Dpcm in questione, come sottolineato anche dal presidente ANCI Sardegna, Emiliano Deiana, non è completamente chiaro e, come i precedenti, sta creando molta confusione per numerose categorie, al di là dei richiami alla doverosa e indispensabile responsabilità individuale. Deiana ha richiamato anche la massima urgenza di studiare e varare misure ad hoc tra ANCI-RAS per il sostegno al sistema produttivo sardo, interventi che si dovranno aggiungere a imprescindibili e massici provvedimenti statali.

Riguardo la diffusione del COVID-19 nel Mondo, da rilevare la dichiarazione ufficiale di Pandemia da parte dell’OMS e il rapido cambio di indirizzo negli Stati Uniti con i blocchi dei voli dall’Europa decisi da Trump che fino a poche ore prima minimizzava la questione COVID-19. Nonostante questo la maxi esercitazione “Defender Europe” non sembra subire variazione. Si farà comunque per gioia e vanto della NATO https://shape.nato.int/defender-europe ma l’Italia non vi parteciperà. Diversa sorte per un’altra esercitazione militare NATO, “Cold Response 2020”: annullata.

A proposito di movimenti e spese militari, sul web il movimento A Foras ha lanciato #piùospedalimenomilitari motto che richiama le lotte in Sardegna contro l’occupazione militare e l’enorme contraddizione tra spendere per costruire guerra e non pace. Costruire pace significa anche destinare alla Sanità pubblica e non al comparto bellico, risorse che potrebbero garantire l’acquisto e il finanziamento di strumenti e professionalità sane.

Il dato di oggi per l’Italia indica un nuovo forte incremento di contagi e decessi, rispettivamente +2.651 e +189 (di cui 127 solo in Lombardia) https://www.worldometers.info/coronavirus/

Il rapporto tra morti e guariti si avvicina all’unità, con i primi che rispetto a due-tre settimane fa (rapporto 3:1) si apprestano a superare a breve i secondi per la prima volta dall’inizio dell’epidemia, ora Pandemia.

Con le dovute imprecisioni e difficoltà proseguono da più parti (nei prossimi giorni si darà conto di diversi gruppi di analisti che lavorano ai dati) gli aggiornamenti delle stime su picchi ed espansione dei focolai, mentre in numerosi Stati europei le cifre crescono di giorno in giorno. Diversi governi iniziano a prendere coscienza della situazione.

Le domande (e gli obiettivi) sono sempre le stesse: quanto potrebbe durare? Come “flattare” il picco per non far collassare i sistemi sanitari? Come prevenire l’esplosione di nuovi focolai?

Riguardo le stime, l’immagine riportata mostra l’andamento della curva del contagio registrata in Cina utilizzata per cercare di simulare lo scenario per Korea del Sud e Italia. La parte a sinistra riporta i nuovi casi su base giornaliera, quella a destra corrisponde all’andamento cumulativo.

I grafici comprendono quindi una parte storica (cosa già effettivamente registrato a Wuhan dove il focolaio può considerarsi spento) e una previsionale sull’andamento e l’entità che il contagio potrebbe seguire nei focolai (outbreaks) in oggetto, Korea e nord-Italia – in particolare Lombardia (3 morti italiani su 4 per COVID-19 sono in questa regione). Le previsioni sull’andamento in Italia seguono due scenari, uno ottimistico e uno, al contrario, pessimistico. A partire dalla scelta del “blocco totale” (total lockdown) la stima su un andamento positivo o negativo è legata all’ipotesi che la misura adottata in Italia sia efficace quanto quella a suo tempo adottata per contenere il focolaio di Wuhan, ovvero il blocco del traffico imposto già nella seconda parte di gennaio.

Ciò che si osserva, come noto in tutte le epidemie, è che i provvedimenti restrittivi – oltre dipendere dalla qualità dell’applicazione pratica e altri fattori – in termini di contenimento del contagio non danno effetti immediati ma dopo un certo lasso di tempo, tendenzialmente il periodo di incubazione. Dunque, nonostante le misure prese negli ultimi tre giorni in Italia è prevedibile il proseguo di una pendenza molto ripida della curva nei prossimi giorni con gli effetti positivi che si dovrebbero iniziare a vedere solo a fine marzo/primi di aprile. Nello scenario positivo, la simulazione effettuata indica un picco italiano con oltre 3.000 nuovi casi/giorno e un cumulativo di circa 50.000 contagi totali. Nello scenario negativo – ovvero nell’ipotesi di un’inefficacia totale del blocco per il contenimento del focolaio (meno plausibile) i nuovi casi giornalieri sarebbero 6.000 e il cumulativo superare i 100.000 casi complessivi. L’obiettivo del contenimento, come detto più volte, è quello di alleggerire la pressione sulle strutture ospedaliere direttamente coinvolte nell’area in questione ma anche evitare che si sviluppino focolai come quello nord italiano in altre aree, anche molto distanti e altrettanto, se non più, densamente popolate come molti centri meridionali.

Nei giorni scorsi insistentemente si è chiesto se la diffusione stesse rallentando e si andasse in breve verso un picco della gaussiana del COVID-19. Molti esperti hanno preferito non confermare in tal senso indicando come fosse più probabile trovarsi ancora in una fase fortemente ascendente. Quello che dicono le stime e previsioni elaborate a Taiwan è che il dato del focolaio nord-italiano sia, ancora, in una fase iniziale e che, probabilmente, questa settimana e le prossime due saranno le più dure come pressione sul sistema sanitario. Il nuovo Dpcm va nella direzione di alleggerire la situazione nelle aree più colpite ma anche evitare o limitare quanto possibile l’eventuale propagazione di focolai in altre zone dello Stato. In Cina, ad esempio, sono dovuti trascorrere ben due mesi dai casi dei primi giorni di gennaio per giungere ai recenti allentamenti sui blocchi a Wuhan. L’area cinese è in termini di abitanti una zona abbastanza paragonabile a quella più calda del focolaio italiano, la Lombardia. Praticamente gli stessi abitanti, ma con diverse densità (Wuhan conta oltre 700 ab/Kmq, la Lombardia circa 420) seppur entrambi siano valori molto elevati.

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SARDEGNA. Al 12 marzo la Sardegna registra due nuovi casi, per un totale di 39 totali. Il contesto sardo ha per forza di cose e di geografia le sue peculiarità. La Sardegna conta la stessa superficie della Sicilia ma con poco più di 1,6 milioni di abitanti. Oltre l’insularità, la bassa densità che caratterizza la stragrande maggioranza della superficie e una percentuale rilevante della popolazione (30,8%, oltre mezzo milione di abitanti) suddivisa in piccoli centri (314 Comuni su 377 < 5.000 abitanti) sono elementi che costituiscono enormi punti di forza. Si tratta, di fatto, di un distanziamento sociale implicito che permetterebbe di concentrare l’attenzione e gli sforzi sulla gestione dei maggiori centri urbani. Un enorme punto di forza da preservare e non disperdere, cosa che non è stata del tutto colta. Anzi.

Oltretutto è necessario vedere demograficamente la situazione anche da un’altra prospettiva. Il “vantaggio” temporale e demografico non deve rassicurare e l’attenzione deve rimanere massima. Perché? Non saranno Wuhan o Milano, ma alcune città sarde, proporzionalmente agli abitanti totali e alla capacità di carico del sistema sanitario, potrebbero costituire focolai devastanti. “Cagliari città” conta oltre 150.000 abitanti con una densità di 1.812 ab/kmq, Quartu (città metropolitana di Cagliari) ne conta 730, mentre la Città metropolitana nel suo complesso comprende 17 Comuni, 430.000 abitanti, per una densità di 345 ab/kmq. Sassari si ferma a 231, dato comunque non da poco considerando che è calcolato su un’estensione che, da sola, è pari a quasi la metà di tutta l’area metropolitana di Cagliari. Cosa significa questo? Che i pochi casi attuali in Sardegna, l’orografia e un distanziamento implicito possono passare da punti di forza a enorme sottovalutazione del rischio.

Precisato questo, il fattore insulare-nazionale avrebbe potuto essere sfruttato al meglio con un celere blocco in entrata oppure, sempre con tempo, la predisposizione di seri controlli in porti e aeroporti e l’apertura di una sorta di corridoio umanitario per il rientro controllato e gestito dei vari cittadini sardi presenti non solo in nord Italia e non solo nelle zone più interessate. Sono infatti decine di migliaia i Sardi presenti in Paesi europei i quali si trovano alle prese con Governi che sottovalutano il COVID-19 (principalmente perché non hanno ancora focolai) consentendo fino a pochi giorni fa, o anche poche ore, enormi eventi di massa e altro. Per avere un’idea delle tempistiche a livello mondiale nella gestione COVID-19 una previsione di contenimento è stata adottata in modo rigido dalla Russia da e verso la Cina nelle cinque province confinanti tra i due paesi già il 31 gennaio (sospensione visti, corridoio umanitario e quarantena obbligatoria).

Come noto, in Sardegna questo potenziale vantaggio è stato (in parte) disperso con l’arrivo incontrollato di migliaia di “vacanzieri” dalle zone rosse che hanno preso d’assalto le seconde case presenti nell’Isola, un afflusso paragonabile al periodo estivo che ha suscitato sdegno a livello popolare e anche forti rimostranze degli Amministratori locali. Interessate prevalentemente le seconde case ma non solo, come l’albergo di Tortolì che ha persino pubblicizzato un’offerta per fuga da COVID-19. Il titolare è stato denunciato.

Gli autodenunciati con la procedura prevista al momento sono circa 11.000 ma si può verosimilmente presumere che una parte di essi possa rimanere sommersa fatto che mette ancor più a rischio un fragile sistema sanitario.

Negli ultimi due giorni, oltre l’inasprimento delle misure di contenimento a livello statale, da segnalare la decisione del presidente della Regione Toscana di firmare l’ordinanza n° 10.  Questa prevede che chi è arrivato in Toscana negli ultimi 14 giorni dalle zone a rischio per ragioni non di lavoro, salute o necessità, debba far rientro immediato nel proprio domicilio, abitazione o residenza. Questo perché essi non possono avere sul territorio toscano il proprio medico o pediatra di famiglia, elemento cruciale nell’assistenza sanitaria garantita dal Servizio sanitario e, ancor più, in questo momento. Diversi dunque gli aspetti sui quali puntare per gestire al meglio la situazione nelle prossime settimane e prevenire l’insorgere di un focolaio in Sardegna.

  • controlli a tappeto su seconde case e località più interessate dal fenomeno turistico al fine di verificare concretamente eventuali non autodenunciati. Sono molti di più di 11.000 considerando che gli arrivi, anche con minore intensità, erano in corso da diversi giorni prima del clamore dei servizi giornalistici in porti e aeroporti isolani. Gli arrivi in nave erano su livelli estivi con migliaia di persone per sbarco. A questo si aggiunge anche che in una prima fase dei “controlli” questi sono stati applicati solo a Cagliari. Al momento numerosi di questi arrivi stanno ancora oggi letteralmente vagabondando come fossero in ferie in un atollo sterile e immacolato. È un comportamento irresponsabile e profondamente egoista.
  • allestimento di nuovi posti letto negli ospedali nei quali nel corso degli ultimi anni questi sono stati tagliati. Le strutture ospedaliere e i reparti sono già presenti e, di fatto, nell’emergenza potrebbero essere riattivati centinaia di posti letto in tempi rapidi;
  • ampia copertura di dispositivi di sicurezza individuali per personale medico;
  • i posti letto riattivati interesserebbero i piccoli ospedali e con loro i piccoli centri nei quali ruotano molti piccoli o micro Comuni. L’importanza di dotare questi piccoli ospedali è una funzione di decompressione nei confronti degli ospedali principali nei quali sono previste come anticipato tre Unità COVID-19 con terapie intensive (+60 unità);
  • la funzione di decompressione riguarda lo specifico l’emergenza COVID-19 e tutta la gestione sanitaria ad essa correlata nel senso che tutte le altre funzioni sanitarie ordinarie devono proseguire necessariamente nel miglior modo possibile;
  • le sale operatorie, o in molti casi le ex sale operatorie alla luce dei tagli alla Sanità sarda, possono essere più facilmente adibite a posti aggiuntivi di terapia intensiva o, laddove non si necessiti di posti di terapia intensiva, utilizzati per interventi chirurgici necessari nell’ordinario svolgimento di interventi che caratterizzano normalmente il sistema;
  • utilizzo strutture private presenti nell’Isola. È noto da diverse fonti che in Lombardia e non solo il sistema privato sia stato e sia piuttosto restio a mettere a disposizione posti letto, nonostante la drammaticità della situazione. In Sardegna, l’opposizione popolare e le critiche da più parti giunte negli anni all’integrazione sanitaria privata a scapito di quella pubblica potrebbero giocare un ruolo chiave di “lobbysmo all’inverso” e spingere a mettere a disposizione strutture private per l’emergenza COVID-19. Il Mater Olbia, ad esempio, non ha un Pronto Soccorso, ma l’Unità di rianimazione, e tanta voglia di darsi una pubblicità positiva in Italia e in Sardegna.
  • data la difficoltà a fare concepire a molti il rischio di uscire di casa e contrarre il COVID-19 potrebbe essere utile il passaggio nei Comuni isolani con megafono o altri mezzi al fine di invitare la popolazione ad attenersi alle indicazioni sanitarie, ripetendo e specificando le misure anti-contagio. Potrebbe avere un effetto deterrente e di “convincimento” soprattutto sui più anziani (ma non solo), i più esposti e spesso più testardi. Non è una cosa “simpatica” ma potrebbe essere utile, con dovuto tono e linguaggio. Come testimoniato da molti video su You Tube, in Lombardia è una pratica che si sta attuando con buoni effetti. Anche lì, difatti, nonostante il dramma conclamato in molti ospedali, in tante città e piccoli Comuni la popolazione è stata piuttosto restia fino all’ultimo ad osservare misure di contenimento. Va detto che al momento la popolazione sarda sembrerebbe aver risposto alla situazione emergenziale in modo relativamente composto e ordinato.

NOTA. Molto di quanto sopra riportato è stato appuntato nella notte tra l’11 e il 12 marzo. Il Piano straordinario approvato nella tarda serata di ieri dalla Giunta regionale e divulgato nella mattinata di oggi prevede più fasi a seconda dell’evoluzione dell’emergenza. La Ras con l’approvazione della Finanziaria destina 60 milioni di euro all’emergenza COVID-19. Una somma considerevole se si pensa alle condizioni sistema economico isolano e, per fare un raffronto, a quanto stanziato pochi giorni fa dalla Commissione europea per finanziare lo studio sul vaccino al COVID-19: 47,5 milioni di euro.

Qui il contenuto sommario in attesa della pubblicazione integrale della Del. 11/16: https://www.regione.sardegna.it/j/v/2568?s=405380&v=2&c=289&t=1

“Dall’università ai contesti civili: la militarizzazione del sociale” (a cura di S’IdeaLìbera)

“Dall’università ai contesti civili: la militarizzazione del sociale” (a cura di S’IdeaLìbera)

Il dossier che hai tra le mani vuole essere uno strumento di analisi e riflessione su uno dei tanti cambiamenti che il sistema della formazione, in questo caso il mondo universitario, sta subendo negli ultimi anni. Da qualche anno i militari stanno silenziosamente entrando in un contesto che non è quello della guerra (dove ancora il nostro immaginario, non del tutto atrofizzato, li inserisce), ma quello della formazione e della ricerca civile. Sempre di più i militari condividono con noi le strade delle città, così come la nostra quotidianità. Li ritroviamo spesso seduti ai banchi dell’università o dietro la cattedra, li rivediamo nei contesti di cosiddetta “emergenza” sia di carattere umanitario (legata ad esempio ai fenomeni migratori o alle calamità naturali) o di carattere securitario (legata negli ultimi anni soprattutto agli atti di terrorismo).

Questo dossier cerca capire il modo in cui il mondo dell’università si sta inserendo in questo contesto più generale e, soprattutto, come essa stia diventando parte di quella filiera bellica che vede la Sardegna come uno dei suoi anelli forti. Il fine, dunque, è di capire come il mondo della formazione si inserisca in un contesto che, secondo le parole di Minnitti, è dominato sempre più dalla “paura” e dal carattere “emergenziale”. Per questo motivo, il dossier parte da una panoramica su modalità e finalità con cui negli ultimi anni il militare si sta inserendo nell’ambito della formazione universitaria italiana, soffermandosi poi sul caso sassarese del Corso di Laurea in Cooperazione e Sicurezza Internazionale e offrendo infine una cornice generale sui progetti più recenti con cui il militare si è inserito nella gestione dell’ambito civile e sull’occupazione militare in Sardegna.

La paura determinerà la politica europea e internazionale dei prossimi anni” – Marco Minniti, Ministro dell’Interno.
Scarica il Dossier: DOSSIER S’IDEALìBERA

Alghero, Caso Pòglina: in Sardigna la Guerra Fredda non è finita

Alghero, Caso Pòglina: in Sardigna la Guerra Fredda non è finita

Il Fronte Indipendentista Unidu apprende con inquietudine del divieto di navigazione davanti alla base militare di Poglina. Continua la lettura di Alghero, Caso Pòglina: in Sardigna la Guerra Fredda non è finita

Cagliari, Relazione Scida-GI per “Italiani brava gente: i crimini dell’imperialismo italiano”

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Cagliari, Relazione Scida-GI per “Italiani brava gente: i crimini dell’imperialismo italiano”

Vi proponiamo la relazione di Scida presentata al convegno “Italiani brava gente: i crimini dell’imperialismo italiano” che si è svolto il 7 Dicembre 2016 nell’Ateneo Cagliaritano;  l’iniziativa era volta a decostruire alcuni luoghi comuni sul colonialismo italiano, con il contributo di storici e ricercatori quali il Dott. Eric Gobetti e il Dott. Alessandro Pes, mostrando i crimini compiuti dall’occupazione italiana in Iugoslavia (durante la Seconda Guerra Mondiale) ed in Africa (Libia, Abissinia), oltre a ricordare i più importanti episodi di conflittualità tra la Nazione sarda e lo Stato italiano, provando a leggerli attraverso un’interpretazione dell’integrazione della prima nel secondo come l’affermazione di un regime coloniale. Continua la lettura di Cagliari, Relazione Scida-GI per “Italiani brava gente: i crimini dell’imperialismo italiano”

Donbass. La Brigata Fantasma (Prizrak) contro l’occupazione militare della Sardegna

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Donbass. La Brigata Fantasma (Prizrak) contro l’occupazione militare della Sardegna

Al popolo libero di Sardegna

I volontari internazionalisti antifascisti di InterUnit della Brigata Prizrak, Novorossiya, vogliamo esprimere ai nostri fratelli dell’Assemblea Generale del Popolo Sardo, la nostra solidarietà e l’augurio di trionfare in questa coraggiosa lotta che hanno intrapreso contro l’occupazione militare della loro terra da parte delle forze fasciste della Nato e degli Stati Uniti.

La militarizzazione di un’importante area del vostro territorio rappresenta una aggressione aperta contro il popolo sardo, un’aggressione che può solo essere compresa come un differente fronte della stessa guerra che l’imperialismo statunitense conduce contro i popoli del mondo.

L’utilizzo della vostra terra per esercitazioni militari, da parte di eserciti come quello della Nato, che perseguono solo interessi espansionistici alieni agli interessi del Popolo Sardo, può solo portare conseguenze negative. In un futuro scontro bellico, questa pacifica e laboriosa terra, diventerebbe un obiettivo militare, trascinando il popolo sardo in una guerra che non ha chiesto.

In questo momento, quando la politica militare imperialista degli Stati Uniti minaccia di coinvolgere l’Europa in una nuova guerra fratricida, la lotta da voi intrapresa acquisisce una importanza cruciale, poiché come popolo assumete una posizione di avanzata nel compito di tutte e tutti di frenare una volta e per sempre questa nuova aggressione.

Per questa ragione il vostro popolo può contare sulla solidarietà e il sostegno di tutti quelli che, come noi, conducono, con differenti metodi, la lotta per la liberazione dei popoli. La vostra lotta, come la nostra, è una lotta antimperialista per l’emancipazione del proletariato nella vostra terra.

Perché la lotta del Popolo del Donbass e la lotta del Popolo di Sardegna è la stessa lotta! E perché solo la unità internazionalista ci darà la forza necessaria per vincere!

Hasta la Victoria Siempre! No Pasaràn!

Dalla libera di Novorossiya, InterUnit, Brigata Prizrak.

Ottobre 2016

Libia. Il FIU: disobbedienza civile per una Saldigna indisponibile alla guerra

colonialismo italiano
Appello a dichiarare la Sardigna terra di pace e indisponibile alla guerra!

L’Italia, complice di un’operazione neocolonialista, sta per entrare in guerra. Il capo del Governo italiano ha firmato il 10 febbraio un decreto immediatamente secretato su un possibile intervento in Libia e pochi giorni prima c’è stata una clamorosa fuga di notizie dal Wall Street Journal sulla disponibilità dell’Italia di fornire la base di Sigonella per i droni americani e per inviare un contingente di cinquemila soldati.

Sappiamo tutti ormai che la guerra in Libia c’entra poco o nulla con la guerra al terrorismo islamico. Persino il giornale della Confindustria (Il Sole24ore, 6 marzo 2016) ammette candidamente che “la Libia è un bottino da 130 miliardi di dollari subito e tre-quattro volte tanto nel caso che un ipotetico Stato libico, magari confederale e diviso per zone d’influenza, tornasse a esportare come ai tempi di Gheddafi” e che lo Stato italiano ha grossi interessi da difendere, a partire dalle commesse dell’ENI che oggi controlla quasi tutti i traffici petroliferi.

Una guerra quella libica, cominciata perché il governo di Gheddafi intendeva avviare il processo per una moneta panafricana e portare a termine il processo di decolonizzazione, in particolare dalla Francia. Processo di emancipazione che fu stroncato a suon di bombe e con un flusso impressionante di armi ai terroristi islamici cantati anche dalla “sinistra” italiana come “ribelli democratici”. Il risultato è una guerra per bande sanguinaria che ha portato la Libia da paese in via di sviluppo a stato distrutto dalla guerra ed ostaggio dell’imperialismo europeo e nordamericano, esattamente come lo sarebbe la Siria senza la resistenza siriana e curda e senza il sostegno della Russia.

Veniamo però al punto che ci interessa come sardi e sarde:

La nostra terra è occupata dall’esercito italiano e dai suoi alleati NATO. Siamo in pratica una portaerei e dall’aeroporto militare di Decimomannu sono per l’appunto partiti i caccia francesi che hanno devastato la Libia.

Il governo Regionale, se fosse reale espressione degli interessi dei sardi, dovrebbe dichiarare solennemente e unilateralmente la propria indisponibilità alla guerra, la propensione alla pace e all’amicizia tra i popoli e diffidare chiunque dall’utilizzo di qualsiasi infrastruttura presente nell’isola e dall’utilizzo dello spazio aereo, terrestre e marittimo della Sardegna a scopi bellici.

Il Fronte Indipendentista Unidu rivolge un accalorato appello a tutti gli indipendentisti, ai pacifisti, agli antimilitaristi, ai sinceri democratici, agli ambientalisti e a tutte le forze libere dalle logiche guerrafondaie e imperialistiche per un’ampia mobilitazione che non escluda anche l’utilizzo di pratiche per la disobbedienza civile e l’interruzione delle attività belliche.

Fronte Indipendentista Unidu

Estero. Roma, le elezioni che nessuno vuole vincere (di Marco Piccinelli)

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Estero. Le elezioni che nessuno vuole vincere (di Marco Piccinelli)

La domanda sembra essere necessaria: sicuri che le elezioni a Roma vuole vincerle qualcuno? Lapidaria e spietatamente cinica, se si vuole. Ma, a volte, il cinismo è necessario per inquadrare una situazione politica con la freddezza ed il distacco opportuno. La notizia del complotto contro i 5 stelle, come dichiarato ieri dalla On. Senatrice Paola Taverna, inizialmente fa contrarre il viso in una specie di sorriso«Ho pensato che potrebbe essere in corso un complotto per far vincere il Movimento Cinque Stelle a Roma». Continua la lettura di Estero. Roma, le elezioni che nessuno vuole vincere (di Marco Piccinelli)

Caso Saieva. Il FIU: non è caso isolato, è razzismo istituzionale

Gramsci
Sulle odiose e razziste dichiarazioni del procuratore Saieva: egli è solo l’ultimo italiano noto che propaganda razzismo sui sardi.

Saieva è in buona compagnia citando l’”istinto predatorio (tipico della mentalità barbaricina)” (cit.) e si ispira al pensiero dell’antropologo Giuseppe Sergi che in quindici giorni, dopo aver misurato una cinquantina di crani, concludeva per l’infermità psicofisica dei sardi e del suo esimio collega Niceforo, il quale includeva addirittura intere regioni dell’isola nella “zona delinquente”; oppure il giornalista Augusto Guerriero che negli anni Sessanta del Novecento incitava il governo a buttare il napalm sul Supramonte per ripristinare la legge italica. Il Fronte Indipendentista ritiene che tali ricorrenti affermazioni di stampo colonialista e razzista non si possano considerare meri casi isolati, bensì rivelano appieno ciò che le classi dirigenti e gli alti funzionari italiani pensano dei sardi e della nostra cultura: un popolo e una terra da spremere fino all’osso disprezzandola e reprimendola.

Estero. Roma: il nuovo modello di gestione delle Città (III parte, di Marco Piccinelli)


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Il funerale

Qualche settimana fa, infine, il clan dei Casamonica inscena un funerale in pompa magna (kitsch, più che altro) di un suo congiunto defunto: Vittorio Casamonica. Alla chiesa di Don Bosco un poster gigante raffigura il boss vestito da Papa, accompagnato dalla frase che incoraggiava a prendersi anche il paradiso, un calesse aspettava la bara fuori dalla basilica, una folla di gente lanciava petali di rose per terra mentre una banda suonava la colonna sonora del Padrino, la celebre pellicola. Continua la lettura di Estero. Roma: il nuovo modello di gestione delle Città (III parte, di Marco Piccinelli)

Estero. Roma: il nuovo modello di gestione delle Città (II parte, di Marco Piccinelli)

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Il caso dei QRE – Quartieri Riuniti in Evoluzione

Le proteste si susseguivano rapide una dopo l’altra: Tor Sapienza, Corcolle, Alessandrino, le borgate del quadrante sud-est erano una polveriera pronta a scoppiare. A cavallo tra 2014 e 2015 nascono i QRE, un’organizzazione che mette insieme tutti i comitati di quartiere, associazioni di municipi e simili: tale federazione di comitati, per così dire, non possedevano un’unica ragion d’essere né delle azioni uniche dal momento che – per l’appunto – tale organizzazione rappresentava un raggruppamento di diverse realtà.
Perché usare l’imperfetto? Perché, in buona sostanza, la creazione dei QRE è stata, almeno a parere di chi scrive, funzionale al processo e alla volontà dei settori dissidenti delle organizzazioni politiche capitoline maggiori ad andare alle urne in tempi brevi. Incanalare disagio e problematiche territoriali in un’unica organizzazione, seppur federativa ma che riguardava la Capitale nella sua interezza, era pur sempre un segnale di cui il Sindaco doveva tener conto, politicamente e non; strumentalmente e non.

Tuttavia, il piano è saltato dal momento che Marino, tutto sommato, deve poter continuare agonizzante sotto commissariamento e gestioni straordinarie (come quella per il Giubileo) attraverso le quali far passare una serie di norme impopolari giustificate dall’eccezionalità/crucialità del momento. I QRE si sono sciolti come neve al sole, in men che non si dica, e hanno avuto caratteristiche diverse nei vari municipi in cui sono stati costituiti: in alcuni propugnando una linea di dialogo con l’amministrazione capitolina, in altri di contestazione, ma sempre su stampo delle proteste di Torre Angela, Corcolle e Tor Sapienza. Nelle borgate del quadrante sud-est, per ora, i QRE sono totalmente spariti.

    La protesta dei macchinisti, la municipalizzata per eccellenza

Ultimamente, le posizioni della della destra romana sono sintetizzabili negli slogan di contestazione al Sindaco riguardanti la mobilità e l’impossibilità di avere un servizio di trasporto pubblico degno della Capitale di uno Stato. Il punto – tralasciando le contestazioni di chi ha governato la città precedentemente – è che proprio sotto la giunta Alemanno sono sorti gli scandali delle assunzioni scriteriate nella municipalizzata dei trasporti (Atac) non dei macchinisti, ma di componenti la dirigenza della stessa azienda. Ricordare quanto avvenuto sotto la Giunta Alemanno sarebbe stato, sicuramente, utile ai più per la comprensione di una fase letteralmente impazzita, come scritto sopra, ma è molto più facile iniziare una campagna di attacco allo “sciopero bianco dei macchinisti che protestavano per il mancato raggiungimento dell’accordo con il Comune riguardo le ore di lavoro”, così com’è stato affermato da più parti nei media.

Via, dunque, con video amatoriali che raccontano dell’indignazione totale nei confronti dei macchinisti che viaggiano con le porte aperte della metro; via con le sassaiole al vetro del primo vagone della Roma-Lido, blocchi di binari etc etc. E’ bene, però, non soffermarsi sulla cronaca spicciola dal momento che è stata riportata e fatta rimbalzare su internet dai network con poco seguito fino all’Huffington Post, dal Corriere della Sera fino al Piccolo di Trieste. E’ più che doveroso, invece, far luce su quello che avviene dopo tali proteste (per cui ‘i cittadini’ – avviati verso il grado zero della coscienza sociale – hanno iniziato ad additare i macchinisti come causa di tutti i mali e non, al contrario, l’azienda e il sistema di gestione clientelare che l’ha cooptata per anni): Ignazio Marino afferma che non c’è possibilità di trovare un accordo con le parti sociali e quindi c’è la necessità di «trovare un nuovo partner per Atac».

«Ho deciso di cambiare il cda dando mandato al dg Francesco Micheli di rinnovare profondamente il management aziendale allontanando tutti i dirigenti responsabili delle inefficienze” L’alternativa era portare oggi (25 luglio 2015, data della conferenza stampa in cui annuncia la privatizzazione de facto di Atac nda) i libri in tribunale: sarebbe stata la soluzione più facile ma penso che possiamo farcela senza procedere a un finale così drammatico».

Partner industriale e municipalizzata è un binomio che porta dritto ad una privatizzazione, attraversando una fase di gestione straordinaria dell’azienda in cui i suoi vertici contino estremamente poco. Il comune, dunque, nella figura di Marino dichiara che l’azienda del trasporto romano non può uscire dalla crisi economica e organizzativa senza trovare un partner industriale e anticipare la privatizzazione prevista definitivamente entro il 2019.

Il trasporto pubblico, dunque, è una sorta di scalpo da mostrare all’opinione pubblica, sempre più rappresentabile attraverso il corpo del Cristo morente fra le braccia di Maria della Pietà e, finalmente, le varie amministrazioni sono riuscite nell’operazione di rendere così scadente il trasporto pubblico al punto di far passare il messaggio che solo svendendolo ad un privato si potrà migliorare la situazione. La privatizzazione, in sostanza, è la panacea di tutti i mali: il trasporto pubblico è scadente, i macchinisti non svolgono il loro lavoro, “la metrro non ppasa mai!!1!1!” ed è indecente che rimanga così, in fondo i termini di paragone nelle chiacchiere da bar (Berlino, Madrid, Parigi) non reggono il confronto con le due metro e mezza di Roma.

Ancora una svendita, in sostanza, e all’annuncio di Marino i grandi gruppi industriali, il Capitale, la stampa che conta, non ha battuto ciglio sulla decisione del Primo cittadino e- per la prima volta – ha avuto il ‘placet’ sui titoli delle cronache romane piuttosto che gli attacchi a 360°. La crisi di Atac (ed il suo fallimento) non va certo ricercata nella mancanza di fondi o professionalità da parte dei lavoratori, ma solo nell’inettitudine dell’amministrazione e nell’interesse dello Stato nella svendita di pezzi di res publica.