Casteddu 13 dicembre. Una lotta, Tante lotte. Tante lotte, una lotta: Indipendenzia.

Foto FiuIl Fronte Indipendentista Unidu parteciperà alla seconda manifestazione nazionale del 13 dicembre contro l’occupazione militare. Sarà l’occasione per riaffermare che il nostro Popolo non vuole assolutamente la presenza di basi militari straniere nella sua terra, siano esse italiane o NATO.

Il Fronte reputa pertanto fondamentale l’adesione, la partecipazione e la mobilitazione in queste lotte. E ritiene che sia indispensabile sostenere tutte quelle iniziative che in questo momento fanno massa critica e unione popolare contro l’occupazione militare.

L’occupazione militare, che soffoca la nostra economia, devasta l’ambiente mettendo in pericolo la salute e spesso la vita di chi vive e lavora in Sardigna in prossimità dei poligoni e delle basi militari non piove certo dal cielo e non è frutto del caso, ma è uno dei pilastri del colonialismo italiano e del regime di dipendenza a cui la Nazione Sarda è sottoposta. Regime di dipendenza che tocca tutti i punti strategici della nostra economia, a partire dalla presenza militare.

Per questo riteniamo che la battaglia all’occupazione militare non possa essere slegata da un ragionamento più ampio, più organico a cui la stessa mobilitazione del 13 debba fare riferimento. La lotta contro l’occupazione militare ha necessità di rimarcare con forza il proprio carattere anticolonialista, di opposizione alla gestione scellerata che si fa della nostra terra e dei nostri beni da parte dei vecchi e nuovi governatori della Sardigna.

Riteniamo necessario che attorno a questa battaglia si aggreghi una piattaforma politica anticolonialista popolare, partecipata e attiva, che coinvolga le forze sane dell’indipendenza non prostituite al blocco coloniale, e tutte quelle forze sociali e civili che si oppongono senza se e senza ma all’occupazione militare italiana in Sardigna. Una forte e radicale mobilitazione popolare dunque, capace di radicarsi sui territori, di rendere realmente partecipe e attiva la nostra gente, protagonista primaria della decisione di vivere in una terra che non debba più subire alcun oltraggio da parte di terzi.

Dare forza capillare e diffusa alla mobilitazione ci permetterà un dibattito ampio e forte sulle alternative reali della gestione delle nostre risorse e della fattibilità di scelte diverse da quelle imposte dall’alto. È per questo che è necessario che gli indipendentisti si prendano la responsabilità politica di un più ampio ed organico progetto di convergenza indipendentista e anticolonialista, che sia capace di far compiere alla lotta contro l’occupazione militare quel salto di qualità verso una lotta di liberazione nazionale e sociale nel nostro Paese. Una lotta organica, organizzata e strutturata.

Senza questo salto, insieme politico e organizzativo, ogni mobilitazione risulterà non solo effimera ed inutile, ma anche controproducente, perché veicolerebbe il concetto che è possibile lottare contro “la militarizzazione” e/o contro “le servitù militari” senza portare avanti una seria ed organica lotta di liberazione nazionale. Per questo ci rendiamo disponibili con le nostre forze ad organizzare momenti di dibattito e di azione in ogni paese della nostra terra. Ci rendiamo disponibili a dibattere sulla possibilità di rendere duratura e proficua una lotta che può e deve essere vinta dal nostro popolo.

Una lotta, Tante lotte.
Tante lotte, una lotta.
Indipendenzia.

“Le vite e i corpi nell’economia”. Sviluppo Umano ed economia di genere (di Antonella Picchio*)

Picchio Antonella

Intervista originariamente pubblicata da Editrice Socialmente (numero 9 – Dicembre 2011).

http://www.editricesocialmente.it/

http://www.editricesocialmente.it/interviste/articolo_63.htm
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Italia. Circo politico itinerante verso la guerra civile

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Il sobrio tweet dell’asolescente Renzi sulle elezioni     regionali in Emilia Romagna e Calabria.

Toni mortificati, non più tardi di qualche giorno fa, per l’attentato incendiario ad una “vela elettorale” di Forza Italia a Modena. Solidarietà da parte di tutti nei confronti di Galli, candidato forzista.

Ora appaiono dettagli. Avrebbero mai immaginato la fuga dalle urne che attendeva tutti, forzisti e non? Altroché atto vandalico, l’Emilia si è risvegliata con un’aria più tesa che mai e un astensionismo record: forzisti all’8% e astensione al 63%. Il messaggio è: non rappresentate nessuno. Date le storiche percentuali di partecipazione al voto in Emilia Romagna, il vuoto percepito amplifica i “dati disarmanti“, come li ha definiti Civati cuor di leone: 30 punti percentuali in meno rispetto al 2009 , in calo a sua volta rispetto al 76,6% del 2005.

Per rendere l’idea basti pensare che in Emilia il secondo candidato più votato, Alan Fabbri (Lega Nord con l’appoggio di quel che rimane di FI e Fratelli d’Italia) esulta mentre il vincitore (Bonaccini, sostenuto da PD, quel che rimane di SEL, Centro Democratico e una civica) si esprime indossando guanti di velluto prima delle dichiarazioni di rito. Renzi no. Alza ancora l’asticella della tracotanza.

Il PD migliora, arriva quasi al 45% come voti di lista. Questo farà la felicità di Renzi, Boschi e la Barracciu. Con o senza tessere, con o senza elettori, il PD controlla pressoché tutto. In genere in questi casi si passa dal controllo di tutto all’implosione.

Il 45% sul 37,8% degli aventi diritto (con quasi il 4% tra schede nulle e bianche) significa che il principale partito rappresenta all’incirca 15 elettori su 100. In pratica, un’egemonia del nulla e il Partito della Nazione che hanno in mente Renzi e Berlusconi si fa sempre più tangibile. D’altronde il maggior accessorio del Partito Democratico, Sinistra Oncologia e Libertà, si è liofilizzato con meno del 4% e ha pagato la totale organicità al PD, sia in termini di astensione che di voti andati ad una candidata minore, la professoressa Maria Cristina Quintavalla (lista L’Altra Emilia Romagna), coda lunga di Tsipras delle europee di maggio. Sei mesi fa 3,66% nel Nord-Est oggi, con una campagna elettorale a basso costo, si riconferma ottenendo il 4% e un seggio. Sarà interessante seguirne eventuali alleanze e lavori in consiglio, soprattutto alla luce delle ragioni che hanno dato vita ad una lista di rottura con PD e SEL, con quest’ultimo accusato duramente di ambivalenza con un Governo sempre più inviso ai cittadini.

In terza piazza i grillini ai quali spetta un capitolo a se stante. L’Emilia ha visto nascere il M5S, lo ha visto “strutturarsi” e prendere i primi incarichi “di peso” come il municipio a Parma. Qui sono iniziate pure le frizioni e la lista M5S “ufficiale” (candidata Giulia Gilbertoni) vede tra i diretti avversari una lista nella quale spiccano senatori e deputati che hanno rotto con Grillo e che hanno sostenuto l’imprenditore Maurizio Mazzanti (Liberi cittadini per l’Emilia Romagna) già consigliere di minoranza a Budrio che si attesta all’1,12%.

A parte la Lega Nord che esulta sfiorando il 20% e piazzando otto consiglieri nella nuova assemblea regionale, i vari candidati e partiti misurano le parole di fronte alle telecamere visto che 62 elettori su 100 non si sono recati alle urne, e questo rimane il dato politico macro più rilevante, soprattutto in Emilia.

La Gilbertoni, in controtendenza, sfoggia toni aggressivi a caldo, con lo spoglio ancora ad un quinto delle sezioni. A vederne la sicumera apparirebbe un 71%.

Attribuisce la scarsa affluenza all’oscuramento mediatico delle reti nazionali, parla di un problema astensionismo imputabile al governo, ai partiti, agli altri. Dice che questo è un risultato “che farà la felicità dei sociologi“, alludendo alle bordate di analisi politiche che il M5S sta incassando in queste ore. “Mi hanno fermata, in giro, e la gente non sapeva cosa si sarebbe votato. Ci chiediamo perché il governo non abbia informato i cittadini su queste elezioni“. Infine chiude con due battute. “Il lato positivo è che ora abbiamo cinque anni davanti per parlare con le gente” (si commenta da se) e un matematicamente ineccepibile “sappiamo che molti che votavano M5S hanno votato Lega“.

Poco rileva nell’analisi grillina che Beppe Grillo abbia di fatto snobbato la campagna elettorale emiliana. Mentre il M5S emula Di Pietro con la retorica legalitaria di nessun indagato nelle liste, Salvini batte a tappeto tutte le province innaffiando la campagna elettorale di razzismo e demagogia manco fosse sano Lambrusco. Ma questa è la gattopardesca politica italiana. Grillo ha dichiarato pochi giorni fa che il risultato sarebbe stato ne più ne meno quello poi registrato alle urne. “Quattro o cinque consiglieri, non di più” – avrebbe riferito ai fedelissimi in una timida chiusura di campagna elettorale. Atteggiamento al ribasso, politicamente marginale. Di rendita da bacino elettorale, in stile quasi democristiano. Al M5S va bene così, agli eletti soprattutto, agli elettori meno. Da notare che lo scandalo dei fondi ai gruppi in Emilia Romagna potenzialmente sarebbe potuto essere un buon argomento per riconfermare le europee di maggio o le politiche 2013. Probabilmente il richiamo all’onestà e all’integrità morale ha esaurito la sua carica nelle ultime tornate elettorali e così gli emiliano-romagnoli non hanno visto un’alternativa politicamente credibile nella lista di Beppe Grillo.

Anche i dossieraggi tra candidati in rete con tanto di denunce tra attivisti stessi hanno contribuito, al pari degli altri partiti, ad una astensione in massa. Nonostante questo i sostenitori del M5S negano responsabilità su un’affluenza del 37% in un territorio nel quale lavorano ormai da un decennio. Se per il M5S Emilia e Calabria erano di fatto un referendum, il responso è piuttosto eloquente.

Male anche il Nuovo Centro Destra di Alfano e il moderato Giovanardi che con l’UDC hanno sostenuto Alessandro Rondoni. Con il 2,6%, fuori dal Consiglio e questo, complice il risultato in Calabria, decreta la vaporizzazione della costola di Forza Italia. Oltre al de profundis dell’affluenza questo è un dato politico non aggirabile. Un presunto partito come NCD che, seppur non esistendo, costituisce il primo sostenitore di un altro partito (per ora PD, l’embrione della Big Tend americana, il Partito dello Stato-Nazione, il Partito-piglia-tutti) e insieme sostengono un governo dalle larghe intese finalizzato alle riforme. Alfano è comunque Ministro degli Interni in un periodo in cui la politica italiana vira verso la reazione più nera e le politiche antisociali ormai sono pane (o meglio, fame) quotidiano.

Dovrebbe far riflettere quel potere che rappresenta il nulla, ma solo gli interessi di controllo sociale di uno dei governi più liberisti che gli italiani potranno mai ricordare.

Che rimane da dire? Seguiranno anni durissimi, il degrado politico italiano porterà a una guerra civile? Quanto margine c’è ancora?

Repressione Bellomonte. Lo Stato italiano non si smentisce mai.

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Non si ferma la persecuzione ai danni di Bellomonte. Indipendentisti al fianco degli indipendentisti. Comunicato del Fiu sulla nuova pagina di repressione italiana ai danni di un indipendentista. Continua la lettura di Repressione Bellomonte. Lo Stato italiano non si smentisce mai.

Trenta Denari (di Andrìa Pili).

trantadenariI risultati delle elezioni sarde dello scorso 16 febbraio, probabilmente, avranno diverse conseguenze nefaste la cui portata si può – ora – solo ipotizzare, sperando che si minimizzi. Tuttavia, uno degli effetti già evidenti è il notevole progresso nel decennale tentativo di istituzionalizzare l’indipendentismo, l’unico movimento che può incanalare il disagio sociale sardo entro una soluzione rivoluzionaria: la creazione di una Repubblica indipendente di Sardegna. Questo tentativo, oggi, è sfociato nella creazione di una nuova forma di sardismo (o, per convenzione,  autonomismo militante – tenendo conto che, entro l’istituzione Regione Autonoma, ogni organizzazione politica è autonomista) assai più pericolosa della precedente, innanzitutto perché accompagnata da una orrida deriva etico-culturale.

Il riferimento è, ovviamente, alle organizzazioni iRS e Partito dei Sardi, le quali – grazie ad un’alleanza con il centrosinistra, ovvero alla compiacenza del Partito Democratico – sono riuscite ad ottenere tre seggi (rispettivamente una e due poltrone) nonostante un infimo risultato elettorale (0.82% per il primo e 2.66% il secondo). Gli uomini chiave di tali organizzazioni sono Gavino Sale e Franciscu Sedda, i quali furono anche – se non le principali – senz’altro le figure più conosciute e apprezzate dell’indipendentismo nel primo decennio del 2000. Le ragioni della loro alleanza con il centrosinistra unionista possono solo essere ipotizzate; tuttavia, che si sia trattato di una sincera manovra politica o di mero opportunismo, dato il ruolo che hanno esercitato nel passato, non cambia il fatto oggettivo: tradimento delle ragioni della nazione sarda.

Continuità e discontinuità con l’autonomismo storico
La novità di queste due partiti non sta nell’essersi alleati con partiti o coalizioni unioniste, al fine ufficiale di condizionarne le politiche in senso sardocentrico. Non sta neppure nel fare la medesima politica, autoproclamandosi “indipendentista” e, dunque, giustificando essa come una tattica gradualista verso l’indipendenza. Entrambe queste cose sono state già fatte dal Partito Sardo d’Azione, fin dall’inizio della Regione Autonoma; basti pensare che già il primo governo autonomista (1949-51) fu una giunta Democrazia Cristiana-PSd’Az. Ebbe la stessa composizione la giunta Alfredo Corrias (1954-55) ed Efisio Corrias (1958-65). I sardisti furono anche membri di alcune giunte di centrosinistra con PSI e PSDI (1965-67; 1973) e anche con il PCI (1980-82). Nel 1979 il PsdAz adottò una posizione indipendentista, mentre nel 1981 avvenne il cambiamento del primo articolo dello Statuto, sancendo la definitiva scelta indipendentista del partito. Tuttavia, essa non corrispose ad un cambiamento di azione politica, ma si rivelò una scelta efficace per rilanciare un partito in declino: se alle elezioni negli anni ’70 il Partito si era ridotto al 2-3% dei consensi elettorali, nel 1984 esso prese il 13.8% dei suffragi, diventando la terza forza politica con 12 consiglieri e la presidenza della Regione (Mario Melis). Tuttavia, la conseguente giunta di centrosinistra (1984-89) con PCI-PSI-PSDI  fu una prosecuzione della vecchia politica e non riuscì a consolidare il successo del partito fondato da Lussu, segnando invece la morte del vento sardista. Dal 1995 al 1997 il PsdAz fu nella giunta di centrosinistra presieduta da Palomba, mentre dal 2009 sostenne quella del centrodestra con Ugo Cappellacci, appoggiato da loro anche in questa tornata elettorale.

La storia dell’autonomismo ha pienamente dimostrato il fallimento della politica delle alleanze adottata da Sale e Sedda. In più, c’è da pensare che essi lo sappiano perfettamente, visto che abbandonarono Sardigna Natzione proprio in polemica con l’alleanza fra quest’ultima ed il PSdAz! Quindi, malgrado nessuno possa sapere con certezza i motivi che hanno condotto loro a tale scelta, la probabilità tende fortemente verso un’unica ragione: opportunismo. La scelta estrema di due individui prossimi alla morte politica (due indizi: l’ultima percentuale elettorale di iRS testimonia, oggettivamente, il crollo di consensi e di militanti del partito del consigliere sassarese; il semiologo Sedda, invece, era uscito da ProgReS – probabilmente assai scontento d’aver perso la posizione di dirigente a vita che aveva in iRS – ed aveva ultimato l’esperienza da presidente del comitato Fiocco Verde).

Tuttavia, mentre il PsdAz si è sempre ritenuto un soggetto politico autonomo tanto da non sentirsi vincolato ad una particolare alleanza (in sessant’anni di storia autonomistica, il sardismo è stato assieme all’unionismo di Centro, Sinistra e Destra ma anche con l’indipendentismo di Su Populu Sardu e Sardigna Natzione), iRS e PdS – specie il primo – hanno scelto esplicitamente il centrosinistra unionista come proprio naturale compagno di viaggio. Questo è ciò che distingue i “sovranisti” dal vecchio autonomismo; questa è la fase recente della istituzionalizzazione dell’indipendentismo da parte dell’unionismo. Possiamo comprendere ciò attraverso recenti dichiarazioni di Gavino Sale su stampa e televisione, secondo cui la presenza di “indipendentisti” in ambedue gli schieramenti unionisti di centrodestra e centrosinistra sarebbe il segno che – finalmente – l’indipendentismo si sarebbe evoluto in una parte di Destra ed una di Sinistra. Questo carattere “nuovo” – dal punto di vista indipendentista – lungi dall’essere un’evoluzione, è una involuzione. Ciò rende i due opportunisti – più che dei neoautonomisti – dei neounionisti o dei presardisti.

Ora, al governo con Pigliaru, contando anche i due seggi dei Rossomori – eredi dell’autonomismo passato – i “sovranisti” non hanno i numeri consiliari tali da assumersi dei meriti (la maggioranza di centrosinistra reggerebbe anche senza di loro). Il che significa che il centrosinistra unionista potrebbe assumersi il merito di ogni misura sardocentrica che sarà approvata (come l’Agenzia sarda delle Entrate), contribuendo a nascondere il conflitto, e che gli ex indipendentisti diverranno complici di ogni sua malefatta. Quello che viene, da essi, spacciato come un grande successo potrebbe, in realtà, ritorcersi contro di loro.

La deriva etico-culturale dei traditori Sale e Sedda
L’esecrabilità della scelta politica dei due ex indipendentisti sta innanzitutto qui: voler rendere l’indipendentismo un appendice dell’unionismo, nascondere il conflitto attraverso la partecipazione attiva nel sistema unionista, confondere le ragioni della Nazione sarda con quelle dello Stato italiano. Infine – come nella proverbiale notte ove tutte le vacche sono nere – porre sullo stesso piano chi tradisce la Sardegna con chi continua a perseguire una coerente lotta di liberazione nazionale. Dal punto di vista etico, non vi è errore peggiore del porre sullo stesso piano un comportamento giusto con uno sbagliato, un’azione buona con un’azione cattiva; giacché significa negare l’esistenza stessa di Bene e Male e quindi giustificare ogni atto, compresi i più vergognosi. Dal punto di vista logico, dato il principio di non contraddizione, ignorare la dicotomia o porsi una falsa dicotomia non può che condurre ad errori grossolani.

La Politica non è “l’arte del vivere insieme” od un luogo ove ogni posizione deprecabile deve essere tollerata in omaggio ad un malinteso senso del rispetto. La Politica è uno scontro fra opposti interessi, una lotta fra l’Emancipazione e l’Oppressione. Così come chi si ritrova in mezzo al mare non può rifiutarsi di nuotare- pena la morte per affogamento o il porsi in balia della corrente – così chi vive in una società, non può rifiutarsi di partecipare a questo scontro, pena il soccombere o il porsi in balia dell’oppressore. Per questo è necessario dotarsi di una dicotomia valida, al fine di elaborare azioni giuste per vincere questa lotta. Entro una Sardegna colonia, sottomessa alla Repubblica Italiana e vittima dell’imperialismo, l’unica dicotomia valida è: Nazione Sarda contro Stato Italiano. Ogni aspetto sociale va ricondotto entro questo schema: non si può stare con la Sardegna e con lo Stato contemporaneamente, che si sia coscienti o meno della propria posizione. Per questo chi si allea con i partiti unionisti sta con lo Stato italiano e, di conseguenza, è un nemico della Nazione Sarda.

Il punto forte della retorica dei partiti oggetto di questa analisi, è stato questo: portare l’indipendentismo al governo. Questo è quanto ogni indipendentista desidera; la spregevolezza della comunicazione di questi presardisti sta nel voler confondere fini e mezzi. Perciò, il fine non è più quello di abbattere la situazione di subalternità della nostra nazione ma diventa entrare nella Giunta o conquistare dei seggi in Consiglio. Per questo, un autentico indipendentista continuerà a vedere la presenza nelle istituzioni come un mezzo irrinunciabile e rifiuterà ogni alleanza con gli unionisti, cioè contro coloro che sono i nemici del fine ultimo; il “sovranista”, invece, non vede alcuna contraddizione nell’allearsi con i partiti italiani, giacché il fine è quello di ritagliarsi un proprio ruolo entro il sistema dominante. Non si capisce perché, inoltre, si debba fare lo Stato sardo con persone come Gianfranco Ganau o Francesco Pigliaru: a venir fuori, pure fosse possibile realizzare l’indipendenza con essi, sarebbe soltanto uno Stato sardo fantoccio utile a distribuire medaglie e privilegi a qualcuno, ma non a rompere i rapporti di forza che opprimono i sardi.

L’ultima giustificazione circolante riguarda la legge elettorale liberticida; ma l’alleanza tra iRS ed il centrosinistra non è stata figlia di questa, come tendenziosamente i dirigenti di tale partito vorrebbero far credere. Tutti sanno che tale pensiero era covato già da tempo – forse fin della implosione di iRS nel 2010 ma sicuramente da oltre un anno – quando si strinsero rapporti amichevoli con diversi esponenti del centrosinistra (Dadea, Lobina…) e si coniò il termine “sovranismo” per un residuo senso del pudore.

Un altro aspetto che mal si concilia con l’etica è il modo con cui iRS e PdS, durante la campagna elettorale, hanno palesemente mistificato la storia catalana e scozzese. Ultimo esempio è la surreale intervista a Maninchedda, su Videolina, nel giorno degli scrutini.  In particolare, il paragone più gettonato è stato con il partito Esquerra Republicana de Catalunya, cercando di far intendere che l’imminente indipendenza della nazione con l’estelada sia dovuta all’alleanza di governo fra questo e la sinistra unionista spagnola, tra il 2003 ed il 2010. La storia della Catalogna narrata da Sale e Sedda omette almeno quattro cose importanti:

1) Dalla proclamazione della Generalitat, nel 1980, ad oggi – escluso il governo di Sinistra tra il 2003 ed il 2010 – a governare è stata Convergencia i Uniò, questo è il nome attuale del catalanismo liberaldemocratico che, in circa 25 anni di governo, ha senz’altro inciso nella società catalana molto più di ERC, tenendo in mano l’esecutivo in solitudine.
2) Alle elezioni del 2003 – inizio del governo di centrosinistra – Esquerra prese il 16,44%, ma nelle successive consultazioni (2006) il partito crollò al 14%, perdendo oltre centomila voti. Alle elezioni del 2010 – al termine dell’esperienza di governo con il PSC – Esquerra prese solo il 7%, ritornando ai livelli di un decennio prima e perdendo circa 300000 voti rispetto al 2003.
3) ERC oggi ha appoggiato il governo nazionalista di CiU, che nella scorsa legislatura aveva indetto il referendum, da una posizione di forza (21 seggi, secondo partito catalano) ma senza CiU non ci sarebbe mai stata la Dichiarazione di Sovranità e nemmeno il referendum.
4) I successi della ERC attuale sono dovuti alla crescente avversione verso le politiche liberiste del governo di Artur Mas, non a quella alleanza con l’unionismo spagnolo.

Sostenere che l’alleanza ERC-PSC per il governo 2003-2010 sia l’artefice della prossima indipendenza catalana è solo una menzogna. Ma, forse, dire bugie al popolo sardo viene ritenuta cosa accettabile entro questa deriva etica.

Il Partito dei Sardi, inoltre, ama paragonarsi allo Scottish National Party. Forse non sanno che questo partito – pur essendo fin troppo moderato con l’unionismo – non ha mai partecipato a governi guidati da unionisti britannici e quando ha conquistato le redini dell’esecutivo, dal 2007 a oggi, ha sempre governato da solo. Siamo, quindi, di fronte ad un altro paragone errato e palesemente traviante.

Schiacciare l’infamia: l’indipendentismo sardo e internazionale di fronte ad opportunisti e traditori
Di fronte a questo vergognoso comportamento, le cui conseguenze rischiano di danneggiare il movimento di liberazione nazionale, è necessario che l’indipendentismo tutto predisponga manovre necessarie al fine di impedire la nascita, dal suo seno, di nuovi infami e stabilisca come affrontare quelli esistenti. Innanzitutto, occorre criticare aspramente il pensiero postmoderno – dominante culturalmente nei primi anni 2000 entro il cui pentolone, iRS, è nata – che porta al rifiuto di ogni verità assoluta e quindi di ogni modello razionale. Senza una solida base teorica, si è condotti verso azioni sbagliate e a non riconoscere più ciò che è vero da ciò che è falso. Se vi sono persone che – sinceramente – hanno seguito gli opportunisti Sale e Sedda la causa sta, in gran parte, in questo grave deficit formativo. Ragion per cui dovrebbe essere d’obbligo, per i movimenti indipendentisti, l’organizzazione di corsi volti ad una formazione politica, che permetta di fare subito il deserto attorno al personalismo e la possibilità di esprimere il proprio pensiero in appositi fogli di propaganda politica. Ogni militante dovrebbe sentirsi protagonista di un progresso culturale e formativo più ampio, un processo continuo, annullando ogni monopolio del pensiero. Un’idea giusta non appartiene a nessun stregone particolare, anche se ha una cattedra di semiotica.

Al di là della questione etico-culturale, il solo modo per impedire la nascita di nuovi personalismi è quello di massimizzare la democrazia interna e la partecipazione: revocabilità di ogni carica in qualsiasi momento; divieto di mandati consecutivi.

iRS e PdS devono essere trattati come un qualsiasi altro partito unionista: hanno scelto il loro campo, lo Stato italiano, e gli indipendentisti devono rompere ogni rapporto con essi, mettere in mostra la loro vera natura, mettendo in guardia il popolo sardo dai subdoli richiami di questi traditori al servizio dell’Oppressione. In più, occorre premere affinché i suddetti partiti siano isolati a livello internazionale dagli altri indipendentismi europei: la lotta per l’emancipazione nazionale di ogni popolo oppresso riguarda ogni popolo oppresso; la mancanza di appoggio, quando non la condanna esplicita, da parte dei movimenti nazionalisti di liberazione, aiuterebbe i veri indipendentisti sardi nello screditare l’opportunismo autonomista verso il popolo sardo.

La lotta per la liberazione della Nazione Sarda è una cosa seria. L’oppressione è reale, il conflitto con lo Stato preesiste alla nostra stessa nascita individuale. La militanza indipendentista è, quindi, un dovere etico quanto una necessità: ne va della nostra sopravvivenza come uomini e come comunità nazionale. Chi punta a ricomporre il conflitto o a nascondere esso, alleandosi con il nemico, merita l’esecrazione e sta già scrivendo la propria condanna storica. Noi indipendentisti coerenti non dobbiamo far altro che prenderne atto, oggettivamente. Perché non è una questione di opinioni o di scelte ugualmente rispettabili: Pintor, Cabras, Musso, Sisternes tradirono le ragioni della Sardegna, combattendo Angioy al fine di difendere i propri privilegi; Emilio Lussu tradì le ragioni della Sardegna, scegliendo lo Stato italiano, quando avrebbe potuto guidare i sardi all’indipendenza. Così vuole una narrazione sardocentrica della nostra storia nazionale, cioè – per noi – la Storia. Gavino Sale e Franciscu Sedda hanno scelto lo Stato italiano, tradendo le ragioni della Sardegna per salvare se stessi da una inesorabile morte politica. Perché mai la Storia dovrebbe giudicarli diversamente?

Andrìa Pili.

(pubblicato originariamente su http://scida.altervista.org/ )

– http://scida.altervista.org/trenta-denari/

Tra reality show, hobbismo e pressione fiscale l’artigianato sparisce.

artimanos

Chi sta affossando gli artigiani e l’artigianato sardo?

Nel 1984 viene approvata una legge regionale sul marchio di origine e qualità. Tale legge però non è mai stata applicata. La Giunta presieduta da Renato Soru a metà anni 2000 chiude l’I.S.O.L.A, l’ente regionale nato nel ’54 a tutela delle produzioni Artigiane. Al suo posto nasce l’Agenzia Sardegna Promozione per la promozione, commercializzazione e tutela delle produzioni di eccellenza. L’Agenzia non è mai entrata in funzione pur avendo nel suo organico personale formato e retribuito, né mai ha adempiuto ai programmi e agli impegni presi. Sardegna Promozione era guidata da Mariano Mariani e invece di promuovere l’artigianato funzionava come erogatore di fondi a sagre paesane, attività sportive e addirittura ad un reality show (Sweet Sardinia, prodotto da La5). Alla fine dalle casse di Sardegna Promozione sono stati elargiti circa nove milioni di euro senza che un solo artigiano ne beneficiasse.
Chiudono anche i punti di promozione artigiana chiamati “Sardegna Store”, che poi “store” non erano dato che non vendevano nulla. Questo appalto fu aggiudicato da una ditta siciliana (Novamusa), il vero beneficiario dei 4 milioni di soldi pubblici finanziati dalla Regione Sardegna. Come per Sardegna Promozione l’idea è di Soru (centrosinistra) e l’applicazione è di Cappellacci (centrodestra).  Cambiano le Giunte e i loro governatori ma la musica non cambia.

Alla distruzione degli istituti di promozione dell’artigianato artistico e all’inaudito sperpero di denaro pubblico utilizzato a proprio piacimento da parte di chi si è alternato alla Regione e all’assessorato al turismo, artigianato e commercio, aggiungiamo anche il forte abusivismo hobbistico e la mancanza di un opportuno regolamento che garantisca chi ha fatto della passione artigiana il suo lavoro, come giustamente denuncia l’Associazione Culturale ArtiManos in un recente comunicato stampa.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene che sia prioritario restituire agli artigiani sardi un ruolo di primo piano nell’economia e nella cultura della nostra società valorizzando il loro lavoro e dando alle nuove generazioni la possibilità di imparare il mestiere. Per questo motivo propone agli operatori del settore tre fondamentali punti di immediata applicazione:

– Istituzione di un ente di tutela per la valorizzazione e promozione internazionale dell’artigianato sardo.

– Creazione del marchio di qualità per i manufatti e per le botteghe che promuovono e commercializzano esclusivamente artigianato sardo.

– Recupero della tradizione artigianale con istituzione di corsi di formazione professionale. Il personale docente dovrà essere selezionato tra gli artigiani e le maestranze riconosciute in elenchi comunali delle arti e dei mestieri.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene che per la rilevanza strategica di tale settore debba essere istituito un assessorato all’Artigianato scorporandolo da quello al turismo e al commercio.

Fronte Indipendentista Unidu

Tor Sapienza, Torre Angela, Corcolle. Viaggio nella periferia romana (di Marco Piccinelli).

Tor Sapienza, Torre Angela, Corcolle. Viaggio nella periferia romana

Considerazioni a margine di un abitante della periferia romana (Quadrante sud-est, Casilino, VI municipio. Torre Maura, a voler essere ancora più precisi).

Chi scrive non abita molto distante dai blocchi di case popolari di Via Morandi, ormai sulla bocca del Paese intero per i recenti fatti di cronaca che si sono susseguiti. C’è chi dice che le proteste e gli scontri dei giorni scorsi siano partite, in realtà, da una (falsa) dislocazione di rifugiati politici* in quel luogo; altri (ed è la versione più accreditata) per i recenti fatti di aggressioni da parte di stranieri sugli abitanti del luogo ma non mi soffermerò tanto sulle notizie quanto sul dopo, cioè sul dibattito. Che è, poi, il cosiddetto nocciolo della questione.
Le manifestazioni di intolleranza e razzismo che si sono verificate, sono state cavalcate dalla destra neofascista e dalla Lega Nord, ormai sulla cresta dell’onda dell’opinione pubblica perché in procinto di creare un progetto politico nazionale di stampo lepenista.
Gli slogan che più erano in voga – durante le giornate di protesta – erano quelli generici e propri dell’intolleranza: “Roma ai romani”, “Basta negri” etc etc.
Andando per flash si potrebbero così scadenzare gli avvenimenti di Via Morandi: 1) gli scontri della sera dell’11; 2) le ripetute manifestazioni contro i negri; 3) la chiusura e il «trasferimento forzoso» dei minorenni ospitati dal Centro di prima accoglienza, collocato in una struttura che include anche uno Sprar (Servizio protezione richiedentiasilo e rifugiati); 4) la Lega che accorre in difesa dei manifestanti contro i clandestini; 5) il sindaco Marino che si ricorda dell’esistenza delle periferie solo il 15 novembre 2014.

Già precedentemente, in estate e un pugno di mesi fa, sono accaduti episodi simili non tanto per la violenza, quanto di manifesta intolleranza. Mi riferisco a Torre Angela e Corcolle, borgate facenti parte del VI municipio e cioè uno tra i più grandi, estesi, popolati, meno irrorati di servizi e trasporti, meno alfabetizzati e con la più alta percentuale di centri di accoglienza di Roma. La questione che ha fatto insorgere Torre Angela, nell’agosto di quest’anno, è stata una falsa notizia della dislocazione di 500 immigrati clandestini  all’interno di un centro commerciale in disuso, il famoso Dima Shopping Center. Iniziano le manifestazioni, i sit-in di protesta ed elementi delle destre municipali cavalcano l’onda gridando al clandestino.

C’è poi da dire che i 500 immigrati clandestini, più passava il tempo e le persone che ne parlavano, più aumentavano di numero e di intensità: ad un secondo sit-in a Via Celio Caldo, addirittura, s’era arrivati a dire «NE ARRIVANO 5000», roba che neanche lo Stadio Olimpico. Si arriva, dunque, a bloccare la Casilina così come si bloccherà la Polense a Corcolle: alla seconda manifestazione nell’ultima borgata citata si presenterà anche il Presidente del Municipio Marco Scipioni (in quota PD) che urla “Via i Clandestini dal mio municipio”, in merito all’episodio che – anche quello – era stato citato da media nazionali riguardo episodi di intolleranza.

I casi sono diversi, tra loro, ma i quartieri in esame non lo sono poi così tanto: si parla di borgate con case popolari, borgate storiche e neo quartieri sorti ad un tiro di schioppo da Zagarolo e lontanissimi dalla parola Roma.  Sia come città che come concetto, verrebbe da dire.
Il minimo comune denominatore delle tre manifestazioni è stata la caccia all’immigrato visto che in tutte le dimostrazioni che si sono verificate ci sono stati atti di intolleranza (esplicita ed implicita) o violenza, unita alla diffusione di notizie senza alcun fondamento (la famosa storia del Lo Stato fornisce 50€ al giorno agli immigrati clandestini!!!11!1!1!) solo con lo scopo di avvalorare il proprio obiettivo.
Il punto però è che questi tre quartieri si trovano, letteralmente, ai margini della connessione sociale e cittadina del tessuto urbano di Roma, e chi ci vive ne è il testimone quotidiano di quanto appena scritto.
In questi quartieri mancano punti di riferimento sociali, assistenziali di prima necessità da cui scaturisce la mancanza – totale, che nel corso del tempo diventa endemica – di una stella polare  a livello politico. Quanti servizi sanitari e quanti tagli sono stati apportati a quelli che dovrebbero essere considerati basilari per una vita minimamente decorosa?

Porto un esempio che non è in merito ai tagli ai servizi sanitari ma a quelli del trasporto: il V e il VI municipio (rispettivamente ex VI/VII ed ex VIII) sono stati i più colpiti dai tagli delle linee ATAC. Si potrebbe dire che i mezzi d’informazione radiotelevisiva hanno trasmesso il taglio annunciandolo come necessaria razionalizzazione ed ottimizzazione del servizio pubblico. Usando un gioco linguistico che sembra quasi il cambiamento dei nomi in italiano durante il fascismo, in cui il cocktail diventava bevanda arlecchina.
Il punto è che non c’è niente di umoristico nel negare una vita dignitosa alle persone che creano ricchezza e producono lavoro per il cosiddetto Centro-Città, perché negando i diritti alla mobilità e alla salute si sta (più o meno implicitamente) svilendo la vita di migliaia di persone.

Il tema vero, che non è mai stato affrontato in questi giorni di sommossa, è che senza diritti e senza servizi i clandestini nei confronti della città siamo proprio noi: gli abitanti della periferia, delle borgate che popolano la Casilina, la Prenestina, la Polense, la Collatina, il quadrante sud-est tutto, senza distinzione tra gli italianigli altri. Se mancano dignità ed equità, mancano per tutti non per una parte circoscritta di popolazione, mentre l’altra vive nell’agiatezza.
Ovviamente, parlando di questo, c’è anche da porre la questione dell’equa redistribuzione della dislocazione dei Centri di Accoglienza: il VI municipio, e la periferia tutta, portano il fardello enorme di essere le parti della città che detengono il maggior numero di questi centri.
Roma, se è veramente accogliente, deve poter apportare un’equa redistribuzione dei Centri in tutti i quartieri: Parioli, Corso Trieste, Fleming, sono o non sono Roma? Oppure la periferia è considerata Roma solo quando arriva il momento della riscossione dei tributi, del taglio ai servizi e dello svilimento stesso dei quartieri ai margini della città?
Ecco, il punto – mai toccato (guai a farlo: altrimenti si sarebbe creato dibattito) – della questione di Tor Sapienza, cavalcata dai neofascisti e lepenisti in erba è – piaccia o non piaccia – la perdita di dignità scientifica nei confronti della periferia, dovuta da un sistema che si chiama neoliberismo. O se si preferisce, capitalismo.
Questo sistema, che oggi tutti esaltano come il migliore del mondo, ha portato una guerra fra miserie contrapposte tangibile nelle periferie romane. Tant’è che il cosiddetto welfare è stato definito, dal primo ministro di una Repubblica Baltica, l’insieme dei servizi in cui l’assistenza sanitaria e alla persona sarà sempre di più appannaggio di chi se lo potrà permettere.

rifugiato politico è una cosa, immigrato clandestino un’altra. Precisazione superflua? Meglio specificare, nel periodo in cui si manda tutto all’ammasso.

Marco Piccinelli

Tempio Pausania. Abbanoa propone conciliazioni. Quale credibilità?

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Una delle tante comunità sarde in rivolta contro Abbanoa. Assemblea popolare a Solarussa (OR). (Fonte: La Nuova Sardegna).

Si è tenuto mercoledì scorso l’atteso incontro tra i funzionari Abbanoa, la cittadinanza e l’amministrazione comunale di Tempio Pausania in merito alle bollette anomale e il relativo sistema di rateizzazione dei pagamenti proposto da Abbanoa. Per l’azienda erano presenti il Dott. Picciau, responsabile servizio clienti, e il Dott. Urpi, sportello telematico. Per l’amministrazione il vicesindaco, Gianni Monteduro, e il sindaco, Romeo Frediani.

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Italia. Anonymous attacca il SAP. Migliaia di file in rete

Sap hacked

“Vili fascisti in camicia blu della polizia, non solo avete massacrato Stefano Cucchi ma avete anche umiliato la sua famiglia con un processo farsa che ha lasciato tutti impuniti e oltre a ciò vi siete permessi di irridere Stefano e i suoi cari con le dichiarazioni del segretario del sindacato di polizia SAP Gianni Tonelli, che qui riportiamo”. – Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze – [segue link a collegamento dichiarazioni, n.d.r].

Estratto dal comunicato di Anonymous in occasione dell’Operazione contro il Sindacato Autonomo di Polizia realizzata ieri 11 novembre 2014, in seguito alla sentenza Cucchi e le dichiarazioni del segretario SAP, Gianni Tonelli.
http://anon-news.blogspot.it/2014/11/anonymous-contro-polizia.html

Alcuni file risultanti dall’operazione.

ForumInterno: https://docs.zoho.com/file/fs79p465eb8b955a8450a926c037bd4963ae0

Mail Ufficio Relazioni Esterne: https://privatepaste.com/7438d4ea3f