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Brexit. Il FIU: tendenza alla guerra dell’UE, perchè BREXIT è un’opportunità per la pace

foto di Fronte Indipendentista Unidu.

Brexit. Il FIU: tendenza alla guerra dell’UE, perchè Brexit è un’opportunità per la pace

 

Il Fronte Indipendentista Unidu accoglie con grande entusiasmo e speranza l’uscita della Gran Bretagna dalla UE. Questo fatto storico può essere una buona occasione per scatenare un processo di smantellamento dell’oligarchia finanziaria chiamata UE che sta sottomettendo i popoli e i lavoratori del continente a rigidissime ed odiose misure di austerità che, in diversi casi, stanno portando interi settori sociali sotto la soglia di povertà.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene necessario aprire gli occhi al Popolo Sardo sulla vera natura antidemocratica e usuraria della UE. L’Unione Europea, al di là della propaganda messa in campo, nel corso degli ultimi quindici anni ha solo rafforzato la propria posizione di tutela delle classi dominanti e del Capitale transnazionale, tutto a discapito dei disoccupati, dei pensionati, degli studenti, dei lavoratori e dei popoli sia quelli rappresentanti da uno stato (come per esempio quello greco), sia quelli senza uno stato (catalani, baschi, corsi, sardi, ecc.). La UE è stata inoltre il contenitore economico entro il quale scaricare migliaia di miliardi di titoli tossici (sub-prime), naturale risvolto dell’imperialismo finanziario USA e fattore determinate dell’attuale recessione europea.

Pertanto il Fronte Indipendentista Unidu è impegnato da mesi a prendere contatti con tutte quelle realtà progressiste e antirazziste che, chiaramente e senza zone di ambiguità, abbiano una posizione di netto contrasto alle politiche ultra liberiste della UE e che pongano a base della propria politica almeno quattro punti fondamentali:

1) Uscita dalla UE e dall’eurozona e moratoria del debito. La UE è irriformabile e va smantellata. I sogni di federalismo europeo e di pacifica convivenza dei popoli enunciati per esempio nel “Manifesto di Ventotène” esprimono valori positivi e auspicabili che non hanno però nulla a che fare con la realtà di una unione di oligarchie finanziarie e militari che strangolano la prosperità delle masse lavoratrici e dei popoli europei.

2) Uscita dalla NATO. La NATO è stata fondata come alleanza difensiva in vista di una possibile invasione da parte dell’Unione Sovietica, ma questa alleanza militare è invece sempre intervenuta in guerre di aggressione imperialista. Non riteniamo che la NATO sia compatibile con i valori di coesistenza pacifica e di collaborazione paritetica tra popoli che auspichiamo, per cui siamo favorevoli al suo scioglimento e in ogni caso riteniamo che tutti i popoli liberi non ne possano essere complici pedine. L’attuale crescente militarizzazione dell’Europa non è sostenibile in quanto toglie risorse ai servizi primari e mina alle fondamenta la costruzione di una vera e duratura pace e prosperità tra i popoli.

3) Riconoscimento del diritto delle nazioni senza stato alla loro autodeterminazione. La UE è una unione di stati e oligarchie finanziarie, non di popoli liberi. Molti stati europei infatti reprimono le minoranze nazionali, negano loro fondamentali diritti civili come l’utilizzo della propria lingua e ne utilizzano i territori come basi neo-coloniali, soprattutto di carattere militare, energetico e fiscale. Il riconoscimento del diritto dei popoli senza stato ad esercitare il diritto all’autodeterminazione nazionale è un fattore fondamentale di straordinaria dirompenza democratica e sociale che mette de facto in crisi le fondamenta stesse che reggono la UE e il blocco NATO.

4) Radicale revisione di tutte le politiche ultraliberiste in materia di lavoro, servizi, fiscalità e coercizione militare. I governi della UE hanno varato misure gravemente antipopolari che hanno cancellato le principali conquiste economiche e politiche del movimento operaio e contadino del Novecento. La cabina di regia di questa reazione risiede nelle centrali economiche e politiche delle oligarchie finanziarie che comunemente chiamiamo Troika. Cancellare integralmente queste politiche economiche significa affossare le oligarchie e mandare in cortocircuito la ragion d’essere della stessa UE, aprendo una via di progresso sociale e pace.

Su questa base il Fronte Indipendentista Unidu sta lavorando alla costruzione di un’alleanza internazionale realmente progressista, anticolonialista e democratica avversa al blocco UE/NATO.

Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Fronte

I documenti di analisi scaturiti dagli incontri di formazione sul tema delle politiche di austerità e di autoritarismo economico e politico dettate dall’Unione Europea, organizzati dal Fronte Indipendentista Unidu in collaborazione con l’organizzazione giovanile indipendentista Scida e il collettivo Furia Rossa. Continua la lettura di Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Fronte Sardegna

Sardegna. I documenti di analisi scaturiti dagli incontri di formazione sul tema delle politiche di austerità e di autoritarismo economico e politico dettate dall’Unione Europea, organizzati dal Fronte Indipendentista Unidu in collaborazione con l’organizzazione giovanile indipendentista Scida e il collettivo Furia Rossa. Continua la lettura di Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Fronte Sardegna

Sardegna. I documenti di analisi scaturiti dagli incontri di formazione sul tema delle politiche di austerità e di autoritarismo economico e politico dettate dall’Unione Europea, organizzati dal Fronte Indipendentista Unidu in collaborazione con l’organizzazione giovanile indipendentista Scida e il collettivo Furia Rossa. Continua la lettura di Sardegna. Movimenti di liberazione nazionale e sociale contro Troika e austerity

Rete NoBasi NéQui NéAltrove. Proposta di mobilitazione contro la Trident Juncture

campeggio nobordersardQuesta proposta della rete NoBasi NeQuiNeAltrove si inserisce nel percorso antimilitarista intrapreso lo scorso autunno in Sardegna. Le pratiche proposte con continuità negli ultimi tempi, nel loro insieme, hanno raggiunto l’obiettivo di disturbare la presenza militare attraverso iniziative di controinformazione, rallentamenti dei convogli, ripetute invasioni dei poligoni e blocco delle esercitazioni. Continua la lettura di Rete NoBasi NéQui NéAltrove. Proposta di mobilitazione contro la Trident Juncture

Il FIU su Grecia, UE e austerity: l’indipendentismo sardo chiarisca la sua posizione

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Grecia, UE, Austerity: l’indipendentismo sardo chiarisca la sua posizione! Continua la lettura di Il FIU su Grecia, UE e austerity: l’indipendentismo sardo chiarisca la sua posizione

La questione nazionale greca (di Andria Pili)

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Questo pezzo vuole essere l’inizio di una serie di riflessioni sull’indipendentismo e la Sardegna di fronte all’Unione Europea. È d’obbligo cominciare con una riflessione in merito alla Grecia, visto come la vicenda di questo Paese sembra toccare la ragione d’essere dei movimenti di emancipazione nazionale: il diritto all’autodeterminazione dei popoli e alla lotta contro l’oppressione straniera. Continua la lettura di La questione nazionale greca (di Andria Pili)

L’indipendentismo sardo di fronte al Donbass (di Scida)

Donbass resistenza
Pubblichiamo la nostra relazione presentata al convegno del 26 giugno- organizzato a Cagliari in collaborazione con il Fronte Indipendentista Unidu- “Lotta antifascista, diritto all’autodeterminazione, tendenza alla guerra – l’esperienza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk”.

L’Internazionalismo non si basa sul sentimentalismo romantico o cosmopolita ma è una pratica con la sua ragione di essere nella consapevolezza di appartenere ad un medesimo contesto, come il sistema capitalista mondiale o la sudditanza ad una stessa egemonia politica ed economica, quindi la condivisione dello stesso nemico. Prima di prendere una posizione riguardo il Donbass, dunque, è necessario osservare a grandi linee l’area del conflitto ucraino.

Il conflitto di interessi economici tra Unione Europea e Russia, entrambe vogliose di dominare l’economia della terra di frontiera ucraina- il polo europeo è il principale partner commerciale dell’Ucraina, 25.3% export e 40.7% import, mentre la Russia segue con 24.1% e 19.6%- è esploso alla fine del 2013 durante la presidenza di Yanukovic. Il suo rifiuto di siglare un accordo commerciale con l’UE, in novembre, ha scatenato la protesta di Jevromaidan ad opera di filoeuropeisti, presto egemonizzati da gruppi dell’estrema destra (Svoboda e Pravj Sektor) e strumentalizzati da Washington. Gli Stati Uniti, senza avere particolari interessi economici nel Paese, sono intenzionati a contenere la Russia, potenza concorrente nell’area; a questo fine, da vent’anni, foraggia organizzazioni non governative- come la Open Society di Soros- pronte a scattare a convenienza contro un governo sgradito agli USA o amico della Russia. Così è successo nel 2004, nella cosiddetta Rivoluzione Arancione, sempre contro Yanukovic ed in favore dei filoeuropeisti Yushenko e Tymoshenko e così è accaduto nel 2013. Gli Stati Uniti, vista la debolezza politico militare del progetto europeo- in bilico tra la velleità di costruzione di un proprio grande polo capitalista e l’incapacità di sganciarsi dall’ombrello NATO- hanno chiaramente approfittato del conflitto ucraino, spingendo verso un rafforzamento dei legami commerciali euroatlantici (TTIP o il proprio gas naturale liquido contro la dipendenza dal gas russo) e l’indebolimento dell’economia russa (prigioniera della propria dipendenza dal petrolio e colpita dalle sanzioni). Da Jevromajdan è sorto una specie di golpe contro il governo legittimo volto a portare l’Ucraina entro l’orbita euroatlantica. Il nuovo governo di Yatsenjuk, insediato nel febbraio 2014, diede 4 ministeri agli estremisti di destra di Svoboda, siglò il trattato commerciale con l’UE, propose di eliminare lo status del russo come seconda lingua ufficiale dello Stato. Questi tre fattori provocarono il disappunto dei cittadini dell’Est del Paese, in particolare del Donbass.

In questa regione hanno sede un importante settore metallurgico (acciaio, 40% dell’export di tutta l’Ucraina) e le miniere di carbone, liberi da ingerenze esterne, a differenza degli altri settori economici ucraini. Inoltre, questo carattere operaio- presente fin dall’epoca sovietica- unito all’importanza delle proprie risorse, ha fatto sì che i popoli della provincia di Donetsk e di Lugansk sviluppassero una propria identità, una propria volontà autonomista mostrata chiaramente dagli scioperi dei minatori nel 1993 per ottenere uno statuto autonomo. Per questi elementi, uniti alla forte componente russa e russofona (il russo è maggioritario oltre che più usato che in altre parti del paese), il popolo del Donbass è avverso al nuovo governo ed al blocco euroatlantico verso cui si sta dirigendo, in quanto danneggerebbe la propria economia e la propria cultura. In aprile- con l’occupazione dei palazzi governativi di Donetsk, Lugansk e Kharkiv- lo scontro con Kiev diventa aperto e nel maggio seguente- dopo un referendum per l’indipendenza- nascono le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e quindi la loro resistenza armata contro l’esercito ucraino, i battaglioni neonazisti e gli interessi della NATO.

Merito di questa resistenza popolare è anche di aver fatto emergere le contraddizioni degli oligarchi ucraini, molto legati a questo territorio. I magnati sfruttatori delle risorse del Donbass- dal 1993 al 2003 sono state privatizzate 9200 aziende statali- sono stati sempre molto influenti nello Stato ucraino, controllando le risorse del paese indipendenti dal capitale straniero (commercio del gas, lavorazione del petrolio, industria metallurgica). Dai governi di Kiev- controllati in maniera diretta o indiretta- hanno sempre ottenuto dei privilegi vista la grande importanza della regione per l’economia ucraina; proprio a tutela di questi, gli oligarchi sono passati compatti dalla parte del governo centrale- sebbene una parte di essi abbia inizialmente sostenuto Yanukovic contro l’Europa- e contro i separatisti. Infatti, hanno bisogno dell’unità statale ucraina a sostegno dei propri profitti: lo Stato ucraino è uno strumento degli oligarchi (il presidente Poroshenko, il 7^ uomo più ricco del Paese è l’ultimo esempio). Il chiaro distacco tra oligarchi e militanti indipendentisti del Donbass si è avuto nel maggio 2014, quando Ahmetov – il più ricco d’Ucraina, controllante diverse fabbriche nella regione- ha chiamato i propri operai a fronteggiare i separatisti. Per tutta risposta, l’allora presidente della Repubblica Popolare di Donetsk- Pushilin- ha minacciato la nazionalizzazione delle industrie in seguito al rifiuto degli oligarchi di pagare le tasse alla RPD, accusandoli inoltre di avere derubato i cittadini per anni. Durante gli ultimi venti anni questi uomini facoltosi seppero costruire il proprio consenso nella regione, garantendo uno standard di vita superiore a quello del resto dell’Ucraina (bassa disoccupazione, alto reddito pro capite, salari in crescita); per questo il distacco tra popolo e oligarchia maturato durante lotta assume una importanza storica, oltre ad essere il segno di una lotta a carattere popolare.

Le elezioni ucraine di Ottobre 2014 hanno sancito un governo a maggioranza filoeuropeista e di Destra egemonizzato dal Blocco Poroshenko e dal Fronte del Popolo di Yatseniuk, con il 21% ciascuno dei suffragi. Il conflitto continua ancora oggi, seppure si sia cercato un accordo tra Kiev le aree ribelli su una larga autonomia per la regione ed il rispetto della lingua russa. L’influenza dei neonazisti è ancora ben presente- basti guardare al fatto che un consulente dello Stato Maggiore ucraino era un militante del Pravj Sektor- mentre il carattere reazionario dello Stato ucraino è divenuto evidente dopo la proibizione del Partito Comunista e dell’equiparazione tra nazismo e comunismo.

In Donbass è quindi in atto un movimento d’autodifesa per difendere identità, cultura, economia, lingua. Insomma, la lotta per l’autodeterminazione del popolo del Donbass è pienamente legittima in quanto antifascista e contro uno Stato oppressore. In più è anche una battaglia contro l’egemonia statunitense ed il polo capitalista europeo. Ciò significa che questa resistenza è una lotta fraterna a quella del movimento di liberazione nazionale sardo. Infatti, la Sardegna si ritrova a pagare- tramite l’occupazione militare, basti pensare al solo Poligono di Quirra, il più grande d’Europa- sulla propria pelle l’Alleanza Atlantica a tutela degli interessi dell’imperialismo occidentale e non può che esprimere la propria avversione verso un progetto europeista edificato su basi non democratiche ed in favore della creazione di un grande spazio entro cui la nostra isola, pure indipendente, sarebbe integrata solo in condizioni di sudditanza e di cui- come organizzazione giovanile e studentesca indipendentista- abbiamo più volte sottolineato i mali in ambito universitario e nelle politiche del lavoro giovanile.

L’indipendentismo sardo deve dirsi attivamente solidale con le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e guardare- con disincanto e realismo- favorevolmente a chiunque ponga in crisi l’egemonia entro cui la Sardegna è posta come periferia, osservando come- nella storia- il declino di grandi potenze imperiali e imperialiste abbia favorito i movimenti di emancipazione.

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