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Tempio. Il FIU: quale sviluppo per Tempio*

Procollo d'Intesa Demanio-Tempio
Tempio Pausania. Il Fronte Indipendentista Unidu in merito all’ex Palazzina Comando e prospettive di sviluppo della città

Il Fronte Indipendentista Unidu accoglie con favore la recente delibera consiliare dell’amministrazione tempiese sul rinvio del Protocollo di Intesa col Demanio. Come noto, l’accordo prevede la cessione dell’Ex Palazzina Comando al fine di disporne l’Arma dei Carabinieri. Riguardo il Demanio, ricordiamo lo scaricabarile sulla comunità dell’ex Base Usaf di Limbara, effetti deleteri per Tempio derivanti dallo sciagurato Federalismo Demaniale all’italiana ad opera di Roberto Calderoli (Lega Nord).

Nel merito del Protocollo e della programmazione territoriale, valutiamo come segno di gestione inefficiente il costo per la riconversione in caserma e, rilevanti, i mancati benefici di quanto già investito e utilizzabile allo stato attuale grazie a fondi europei per circa 2,8 milioni di euro. La Palazzina è contigua alla struttura arrugginita di pertinenza del Sacro Cuore che da oltre un decennio campeggia su un terreno donato dal Comune a fine anni ’90 e che contribuisce ad accrescere le problematiche della Pischinaccia. Più ampiamente, questo va ricordato per il recente affidamento alla stessa parrocchia del complesso di Rinaggiu. La futura chiesa continua ad assorbire risorse, come nel caso del finanziamento prevalentemente pubblico della RAS, che la Cei compartecipa complessivamente per un quarto. Questa linea di finanziamento sul territorio si inserisce nel più ampio quadro di sviluppo individuato per la Pischinaccia; come sottolineato all’atto della concessione, infatti, “il compendio si trova infatti molto vicino alla nuova Chiesa del Sacro Cuore in costruzione i cui lavori ripartiranno a breve“. Va detto che il “breve” prosegue da 15 anni e, sempre conti alla mano, oggi per la conclusione della chiesa si spendono circa 900.000 euro dalla RAS.

In merito all’affidamento dei 15 ettari del complesso di Rinagghju, emblematiche le dichiarazioni di Frediani – “Mi auguro che ora la Chiesa riesca a fare quello che né le amministrazioni né gli imprenditori sono riusciti a fare negli ultimi 50 anni” – ponendo automaticamente il suo mandato fuori dal novero delle amministrazioni o riservando per questa giustificazioni particolari. Il proposito del Sindaco, per ovviare alla scarsa amministrazione pubblica e imprenditoria, è il turismo religioso di crisponiana memoria: da un lato si comunica la Convenzione con una dicitura etico-sociale di difficile collocazione e, dall’altro, l’azione concreta tramite una ONLUS allo scopo costituita. Al progetto del Sacro Cuore, oggetto di convenzione con il Comune, riserviamo un’analisi separata.

Nel Protocollo di Intesa oggetto di rinvio, al Comune andrebbe l’ex carcere La Rutunda, un altro rudere che l’amministrazione dovrebbe mettere a sistema reperendo finanziamenti specifici o impiegando risorse proprie, sostenendo la burocrazia del caso e occupandosi della custodia. I livelli di governo superiori, soprattutto quello statale, fanno il bello e cattivo tempo entrando in possesso di opere finite e funzionali con tutt’altra destinazione, impiegando ulteriori risorse che andrebbero proficuamente destinate allo sviluppo socioeconomico della città (fondi PAI, circa 3 milioni di euro), aggravando così le condizioni della finanza pubblica locale già ampiamente degradata. A tal proposito, la garanzia di non-acquisizione a bilancio e la forma di reciproca concessione costituiscono finte, quanto grottesche, rassicurazioni. Nella sostanza patrimoniale, il profilo di costi-opportunità per la comunità, gli oneri di ridestinazione della Palazzina e di recupero de La Rutunda, dispiegano effetti sul territorio a prescindere dall’allocazione formale in bilancio e, a leggere il Protocollo, anche in modo preoccupante per quanto riguarda l’atteggiamento dell’amministrazione comunale.

In particolare, alla voce Oneri finanziari (art. 6), si precisa ambiguamente che il Protocollo “non comporta oneri finanziari a carico delle Parti” (male, data la differenza di valore d’uso al momento tra la Palazzina e La Rutunda) salvo poi aggiungere in seguito che “eventuali oneri discendenti dai singoli contratti attuativi (ovvero il cuore della scambio, cioè le conseguenze dell’indirizzo pubblico) di cui ai precedenti articoli 3 e 4 saranno a carico del Comune”. Allo stesso modo, il punto Controversie (art. 5), lascia ancor più perplessi nel prevedere che Comune e Demanio, “si impegnano a definire bonariamente, tenendo conto del preminente interesse pubblico, ogni eventuale controversia derivante dall’esecuzione del presente Protocollo di Intesa“.

Da più di un anno il Fronte Indipendentista Unidu segue la questione e si è espresso in tal senso partecipando assemblee pubbliche e intraprendendo un confronto con l’amministrazione cittadina che, seppur spesso molto aspro, ha consentito di ottenere un quadro più chiaro e maggiori informazioni in merito alla nostra comunità. I tentativi dello Stato di depauperare il patrimonio pubblico appesantendone la gestione strutturale della comunità non sono una novità, come non lo sono amministrazioni cittadine prone nelle richieste, deboli nelle rivendicazioni e ambigue negli interessi perseguiti. In merito a Palazzina e futuro sviluppo della Pischinaccia, spesse volte la prospettiva delineata per la città appare miope. Per una città che aspira al recupero e alla redditività dei propri capitali, alla promozione territoriale, alla rivitalizzazione di servizi pubblici e privati nel turismo e nella cultura, la prospettiva di Forze Armate-Chiesa-Volontariato lascia, quantomeno, perplessi. Questo vale ma, va detto, sconta i vari vincoli che pesano sull’amministrazione comunale e la complessità di riqualificare e valorizzare una realtà incancrenita anche dal contenzioso con l’ATI sassarese originato nello scorso mandato.

Ribadiamo che l’attenzione sul tema sarà massima e rinnoviamo il contributo alla popolazione nella difesa e sviluppo della comunità.

Fronte Indipendentista Unidu

– Protocollo d’Intesa per la rifunzionalizzazione del vecchio Carcere e della ex Caserma “Pischinaccia”: all.a-protocollodintesa

*Documento per la stampa pubblicato originariamente il 26 aprile 2015

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Sviluppo Umano. Dalla critica del pensiero alla critica dell’economia capitalista (Introduzione)

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Gli ultimi decenni hanno assistito al dilagare dell’utilitarismo economico e dei suoi stereotipi culturali in ogni ramo della società civile e della produzione, coinvolgendo anche quei settori storicamente associati a pubbliche funzioni per le quali – a grandi linee – ci si è sempre tenuti a debita distanza da approcci orientati al profitto individuale o di poche corporazioni.

Prima che Amartya Kumar Sen (di seguito Sen, Santiniketan, 1933 – vivente) si concentrasse su un nuovo modo di concepire l’economia, aprendo nuovi spazi di analisi e di dibattito economico e politico, ha analizzato una corposa letteratura pregressa. Un nuovo approccio economico (non un modello, meno che mai una ricetta) come lo Sviluppo Umano (di seguito SU) e le politiche pubbliche che ne conseguono non partono quindi dall’anno zero.

Gli studiosi dello SU hanno formalizzato ed esteso concetti già presenti nella Storia in generale e in quella del Pensiero economico nello specifico. Lo SU riguarda tutti gli ambiti fondamentali dello sviluppo economico e sociale, aspetti che per loro natura si trovano da secoli al centro della vita degli individui, ancorché in molti casi siano stati formalizzati e istituzionalizzati in tempi recenti mentre, a livello sostanziale, ancora oggi diffusamente si è lontani da un pieno compimento.

Ci si riferisce così alla promozione dei diritti umani e all’appoggio alle istituzioni locali, al diritto alla convivenza pacifica, alla difesa dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed ai gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell’educazione e dell’informazione della popolazione, con particolare attenzione all’educazione di base, lo sviluppo economico locale, l’alfabetizzazione e l’educazione allo sviluppo, la partecipazione democratica, l’equità delle opportunità di sviluppo e d’inserimento nella vita sociale.

I “segni” più visibili e comunemente conosciuti circa lo SU sono rappresentati con dalla nascita del Human Development Report da parte dell’ONU (1992) e il Premio Nobel all’Economia ad Amarthya Sen assegnato nel 1998.

Alcune radici filosofiche e logiche dell’approccio moderno allo Sviluppo Umano.

È opportuno precisare che le origini dello SU sono da rintracciarsi primariamente nella differenza di un giudizio valoriale sulla disciplina economica come parte integrata e integrante della ricerca sociale. Frequentemente si tende a risolvere la questione alla radice e affermare posizioni che tendono a sterilizzare l’analisi economica da qualsiasi giudizio etico e morale. Un celebre neoliberista, Milton Friedman, alla domanda sul ruolo sociale e le implicazioni etiche delle attività economiche rispondeva semplicemente che “lo scopo degli affari sono gli affari!” (gioco di parole: the business of business is business!).

Come si vedrà meglio in seguito, Sen non ha mai nascosto la propria ammirazione e  non ha mancato di attingere al contributo del “padre dell’economia” ed (erroneamente) fautore del moderno Capitalismo: Adam Smith.

Una prima premessa quindi va fatta piuttosto sul pensiero economico e su come l’economia venga comunemente percepita e istituzionalmente organizzata. La presenza di tematiche economiche in ogni fonte di informazione, esposte in modo più o meno rigoroso e con cognizione di causa variabile, ha portato nell’immaginario collettivo l’idea di un’economia totalizzante, ossessiva, vista prevalentemente come portatrice di nuove tasse, di nuove e vecchie “crisi” e sventure in genere. Il termine economia è diventato progressivamente un contenitore nel quale inserire le cause di un po’ tutto ciò che scontentasse l’opinione pubblica, sino a far inquadrare “l’economia” come autoreferenziale e astratta. Ciò ha originato due conseguenze principali e strettamente interrelate. La prima è stata far intendere l’esistenza di un unico pensiero economico e la seconda è il disinteresse crescente nel dibattito pubblico circa il pensiero economico e l’esistenza di una grezzamente nota “altra economia”. La progressiva finanziarizzazione dei rapporti economici e la speculazione monetaria hanno fatto il resto nel confondere l’opinione pubblica e creare grandi “luoghi comuni” economici. Progressivamente questi elementi hanno dato vita ad un paradosso all’interno dell’ampio mondo delle scienze sociali. Da un lato, alcune discipline sono state esaltate nel loro aspetto ingegneristico mentre dall’altro si sono svilite e stigmatizzate materie come la sociologia, la filosofia e l’antropologia. Ad essere formalmente precisi anche quanto appena scritto non è corretto: l’economia non è una disciplina a se stante e nell’ambito della ricerca sociale sono altrettanto fondamentali le materie oggetto di oscurantismo sopracitate e sono così fondamentali dal renderne persino pericoloso il distacco. In questo lo SU costituisce una sorta di ponte che riequilibri il peso delle varie discipline all’interno della ricerca sociale.

In senso stretto l’economia è una “disciplina multidisciplinare” in quanto gli studi economici affondano le loro radici nell’Etica, da un lato, mentre dall’altro si rifanno all’Ingegneria. Entrambe questi aspetti si ricollegano, gioco forza, alla Politica e oltre risalire a studiosi quali Adam Smith e Karl Marx, l’idea dell’economia al servizio della politica viene fatta propria già da Aristotele in Etica Nicomachea.

La concezione dell’economia al servizio delle scelte politiche è antitetica all’esaltazione del suo aspetto ingegneristico che degenera in forme di tecnocrazia statale e perde completamente la percezione della realtà a livello di peculiari sistemi socioeconomici meno estesi. In questo modo le scelte di politica economica che derivano dalla reale rappresentanza dei cittadini e di processi decisionali dal basso, vengono sostituiti dal volere e dagli scopi riferibili ai detentori dei mezzi di produzione in un preciso momento storico. Così facendo tali decisioni esulano sempre più dai processi democratici che dovrebbero essere in realtà essere ben più estesi e profondi.

Molti continueranno a pensare: cosa hanno in comune Etica ed l’Economia? Cosa possono avere in comune principi morali e soldi? Si potrebbe rispondere citando l’espressione diritto di proprietà, che rimanda da un aspetto giuridico-politico ad uno puramente economico-monetario. Il secondo è la diretta conseguenza del primo. Per questa ragione nell’insegnamento dell’economia spesso il punto di partenza non riguarda un elemento giuridico o politico. L’economia parte dal considerare date certe condizioni. Ad esempio, Y= f (K;L), nota come funzione di produzione dell’impresa. Questa equazione rimanda costantemente ad un sistema economico improntato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. Questo non è l’unico approccio economico esistente e la funzione di produzione dell’impresa non è il fulcro sul quale basare il nostro sistema di vita.

Tale sistema discende da una specifica organizzazione giuridica e degli equilibri politici all’interno della società che, per definizione, non sono immutabili. Come si vedrà meglio in seguito, Etica ed Economia hanno molto in comune mentre, d’altro canto, gran parte degli assunti capitalistici e neoliberisti costituiscono forzature e palesano lacune da un punto di vista prima di tutto logico ancorché umano.