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Indipendentismo è una parola pesante: il caso Veneto

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L’arresto dei 24 “eversivi” veneti sta incendiando il dibattito politico, con dichiarazioni e prese di posizione a dir spesso ambigue e approssimative. Le ennesime accuse di terrorismo da parte dello Stato italiano ad un insieme di personaggi piuttosto eterogeneo merita attenzione ed un discorso più approfondito.

La politica interna dello Stato italiano nell’ultimo decennio si è contraddistinta per aver visto l’etichetta di eversore o terrorista un po’ ovunque, come dimostra la durissima repressione subita dalla sinistra indipendentista in Sardegna negli anni 2000 e le accuse a suon di 270 e 270-bis su cui sono stati costruiti castelli accusatori privi di ogni ragione. O come dimostrano altre lotte sul territorio in svariate parti dell’Italia, dove si reprimono migliaia di attivisti che si difendono da speculazione e sfruttamento.

La presenza di una forte componente neofascista nella vita politica del Veneto non è una novità. Storicamente basti pensare ai collegamenti tra cellule neo-naziste veronesi e i servizi dello stesso Stato italiano che, dal canto suo, nei decenni scorsi ve(de)va ed utilizzava di buon grado il rigurgito nazifascista “come argine ad un’avanzata comunista”.

Ciò che oggi più occorre è fare chiarezza sul concetto di indipendentismo, considerando che tra le varie componenti indipendentiste venete esistono formazioni politiche riferibili ad un’area di sinistra, come il caso di SANCA, Sinistra Indipendentista Veneta o Unità Popolare Veneta.

Quindi il punto non è indipendenza: “sì o no”. Il punto è: indipendenza sì, ma come? In direzione di cosa? Generalmente un’opera di emancipazione sociale ha terreno fertile in un’area di sinistra in quanto la dominazione di uno Stato su una Nazione senza Stato, la colonizzazione, avviene attraverso meccanismi di sfruttamento capitalista e lo sfruttamento capitalista dispiega al meglio le proprie forze all’interno di una società fortemente corporativista.

La questione veneta si sta prestando ad una miriade di strumentalizzazioni e inesattezze. Le più comuni riguardano il recente referendum, basato sulla proposta di legge 342 del 2013 per l’indizione della consultazione la cui base giuridica principale è la Legge n. 340, del 1971. L’articolo 2 riconosce esplicitamente il diritto all’autogoverno del popolo veneto che “si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”.

Ritengo che l”indipendenza non sia un fatto casuale o un mero proclama, bensì l’affermazione di una posizione politica. La sua dichiarazione è il mezzo attraverso il quale un processo di emancipazione sociale riceve nuovo impulso – in modo da proseguire un’azione politica preparatoria e di visione per il raggiungimento dell’indipendenza –  e al contempo proattiva per il modello di società che attraverso l’indipendenza si vuole costruire, o meglio completare in quanto si è già inciso nella maturazione politica e sociale che alla dichiarazione stessa hanno condotto. L’indipendenza non è un evento deterministico, sarebbe troppo facile. L’indipendenza è un processo politico, con le sue ambiguità e i suoi tempi.

Di conseguenza, data la scarsità di informazioni, è necessario partire da posizioni politiche certe. Chi ha promosso, in sostanza, questo progetto di legge 342? L’importanza è cruciale anche alla luce dei trascorsi referendari per il popolo veneto. Nel 1866 il referendum riguardava la cessione del Veneto, dalla Francia al Regno d’Italia, da parte di Napoleone III. In seguito alle pressioni da parte dei Savoia affinché il Veneto fosse annesso, la regione fu controllata de facto ancor prima che si rispettasse la clausola napoleonica di consultazione delle popolazioni. La bontà di questo passaggio, cruciale nella storia veneta, porta con se molti dubbi, ad iniziare dai numeri: 646.789 sì; 69 no. Varie fonti obiettano un plebiscito organizzato con le truppe del Regno d’Italia già in pieno controllo delle fortezze militari e del Veneto tutto.

Concluso questo cenno storico, si nota come l’elenco dei “proponenti” del referendum odierno sia piuttosto nutrito: 16 consiglieri regionali su 60. Hanno sottoscritto la 342: Valdegamberi, Sandri, Corazzari, Caner, Cappon, Fineo, Furlanetto, Lazzarini, Possamai, Toscani, Ciambetti, Finozzi, Manzato, Tosato, Baggio e Conte. Finozzi e Manzato sono anche assessori regionali, rispettivamente, al Turismo e Commercio Estero e all’Agricoltura. Quasi tutti i firmatari fanno parte della Lega Nord, ad eccezione di Valdemberghi (UDC). Di fatto 15/20 del “consiglio leghista” hanno firmato a favore dell’indizione del referendum.

La Lega Nord, semplicemente, può essere annoverata tra partiti di stampo xenofobo e reazionario ma difficilmente può essere considerato un partito secessionista e tanto meno indipendentista. L’ultimo ventennio ha fornito sufficienti prove per cui non è il caso di dilungarsi sull’analizzare il “fenomeno Lega”.

Insomma, dal recente referendum non emerge alcun nuovo progetto politico, nessun exploit di formazioni minoritarie che si sono fatte strada forti della maturazione di un progetto politico territorio per territorio. Nulla di tutto ciò.

L’impressione è che nell’area indipendentista veneta la situazione sia ancora più intricata rispetto a quella sarda nella quale milito. La citata SANCA, ad esempio, esprime solidarietà a tutti gli arrestati, ma in particolare Franco Rocchetta, ex-Liga (una delle sei formazioni politiche dalle quali negli anni’ 80 nacque la Lega) e Riccardo Lovato, di Unità Popolare Veneta, organizzazione politica che ha l’obiettivo di creare una sintesi tra ideali socialisti, lotta per l’autodeterminazione dei territori veneti e difesa dell’identità nazionale del popolo veneto.

Da un certo punto di vista, si percepisce la malcelata intenzione di gettare discredito verso il concetto di indipendenza in sé; la popolazione si nutre di un’informazione che fa pane quotidiano del sensazionalismo e dello scarso approfondimento. Lo sciovinismo italiano ammorba ogni rivolo dell’informazione, dell’approfondimento politico e dell’istruzione, dagli asili alle università, svuotando di significato – e quindi appiattendo il dibattito conseguente – i concetti di autodeterminazione e indipendenza. A questo si aggiunge un voto clientelare diffuso in ogni ramo della pubblica amministrazione e del mercato del lavoro privato. A proposito di folklore e referendum, anche in Sardegna recentemente si è avuta una chiamata in 2.0 da parte del PSD’Az, da legislature oramai accodato a FI, Fratelli d’Italia, UDC e altri minori; più in generale, la tendenza è quella al travestimento di indipendentismo in periodo elettorale, in modo da tamponare l’emorragia di consensi per formazioni politiche italiane.

Quante volte si è imbonita la popolazione con la versione che vede gli indipendentisti, ancorché di destra o sinistra, soffiare sulle braci della crisi con finalità eversive e violente? La riattualizzazione del consenso in aree sotto la giurisdizione italiana avviene con questo meccanismo, ma al contrario; data la crisi e la disperazione, complice la disinformazione dilagante, personaggi già noti possono ammantarsi di “ideali indipendentisti” ripresentandosi in salsa identitaria. Per questo è bene ricordare che il Veneto sarà chiamato al voto regionale nella primavera del 2015.

Tornando al referendum, la 342 impone esplicitamente le operazioni di voto il giorno domenica 6 ottobre 2013 dalle ore 7.00 alle ore 22.00 con lo spoglio alla chiusura delle urne e la successiva comunicazione dei risultati all’ufficio competente della Corte d’Appello di Venezia.

Quanto è politicamente opportuno che tramite un voto on-line si possa procedere a dichiarare l’indipendenza di una Nazione? L’indipendenza di un popolo e la sua autodeterminazione rappresentano un processo socioeconomico che attraversa alcune fasi cruciali come, appunto, la proclamazione. Questo risulta essere un momento complesso e delicato, storicamente legato a circostanze rivoluzionarie; per non considerare poi la manovrabilità e la poca trasparenza relativa ai “milioni di votanti”: non si ha un numero ufficiale e varie fonti parlano di un numero di votanti compreso tra 100 e 200.000.

I politici del 2.0, forse, dovranno ricredersi sul reale campo di utilizzo di uno strumento come la rete, oramai assimilata demagogicamente ad un fine ultimo piuttosto che strumento complementare di attività politica sul territorio. Oltretutto, la 342 non prevede alcun voto on-line, a differenza di quanto accaduto con il referendum dal quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o no?”

A complicare una vicenda quanto meno contorta si aggiunge il Corriere del Veneto che ha sollevato in un recente articolo più d’una perplessità.  “Il sito corrispondente all’indirizzo 54.83.13.17 registrato da Gianluca Busato a Klapparstigur 101 Reykjavik (Islanda) e con webserver ad Ashburn in Virginia, presso la società Amazon Technologies, registra nella settimana del referendum tra le 25 e le 30 mila visite al giorno, dato che supera di poco le centomila visite totali riferite dagli altri due contatori” – scrive Alessio Antonini.

In un modo o nell’altro, la Lega e le sue ambiguità si trovano nuovamente al centro di equilibri politici italiani, come altrettanto ambigua è la figura di Busato, l’ex Lega Nord che nell’ultimo decennio ha dato vita a svariate organizzazioni politiche.

In queste acque torbide allo Stato italiano non manca il pugno duro verso le istanze indipendentiste in Italia e in Europa, con il Prefetto Carlo De Stefano, presidente della Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis) che addirittura chiede mappature e controlli con modalità nuove, un po’ come ai tempi del defunto Manganelli che in Parlamento parlava di avanzante insurrezionalismo e Pisanu con il suo teorema sull’eversione sarda.

Di nuovo, per l’ennesima volta, al di là della struttura di un progetto politico, delle sue posizioni, degli obiettivi a breve e lungo termine, lo Stato italiano ottiene un gran risultato: far coincidere nell’immaginario collettivo “indipendentismo” con “folclore” o, all’opposto, con “terrorismo”. In ogni caso, da evitare.

Non sarebbe la prima volta.

Nazioni senza Stato, di Laura Gargiulo e Igor Ninu

Guerin
Daniel Guérin (1904-1988), storico e politico francese, teorico e   militante del Marxismo Libertario.

 
Suggerisco la lettura di un articolo pubblicato originariamente su  –-n. 390, giugno 2014. In “Nazioni senza Stato” si presentano innanzitutto dei chiarimenti terminologici introduttivi al dibattito sulle nazioni senza stato, sul riconoscimento nazionale, sul concetto di “nazionalismo” e la lotta politica di matrice socialista, tra cui libertaria e anarchica. Nell’immaginario comune –  “nazionalismo” e “anarchismo” – rimandano a un conflitto a priori, una rotta di collisione teorica ancorché pratica. Riprendendo le parole utilizzate dagli autori, c’è da chiedersi chi si prende la responsabilità di liquidare il patrimonio culturale e la conoscenza dei meccanismi sociali emersi dalle lotte di liberazione nazionale come “un pezzo di antiquariato politico o un retaggio della destra fascistoide”.
 
In un’epoca pervasa dal vacuo “né di destra né di sinistra”, un’ulteriore confusione etimologica non favorisce la maturazione di processi sociali di rivendicazione e di sviluppo socioeconomico. Appare quanto meno doveroso porre un punto di domanda circa una sempre più frequente semplificazione che restringe il campo di analisi, creando così uno stereotipo. Nel sistema di istruzione e nei mass-media il termine “nazionalismo” rimanda a un’idea di governo autoritario, con una struttura istituzionale particolarmente verticistica e caratterizzata da un ceto militare influente, istituzioni che operano in e con un’organizzazione economica di tipo corporativista. In pratica, il Fascismo. Ma questa non è un’uguaglianza ovvia, va provata caso per caso, per ciascun movimento di liberazione e, a sua volta, all’interno di ciascuno nel confronto tra differenti approcci ideologici e pratici.
L’appartenenza ad una comunità o nazione da parte dell’individuo urta implicitamente l’idea libertaria di un mondo intero come patria?Ecco, quindi, alcuni spunti di riflessione per un dibattito su “ismi” apparentemente inconciliabili.