COVID-19. Alcuni monitoraggi e situazione in Sardegna
Gli aggiornamenti sul COVID-19 indicano, come prevedibile, che il picco del focolaio nord-italiano sia ancora piuttosto lontano. Come detto più volte, le misure di contenimento iniziano ad evidenziare i benefici di riduzione di contagi dopo un certo lasso di tempo.
A livello mondiale i casi al
momento sono oltre 143.000 con 5.394 morti. Al contempo, anche in
numerosi Paesi europei, le curve si fanno sempre più ripide. Su tutti la Spagna
che ormai procede al ritmo di oltre 1.000 casi in più al giorno (1.188 oggi con
36 decessi). In Italia oggi si registra un nuovo, forte, incremento con 2.547
casi (oltre 1.000 in Lombardia) e ben 250 decessi. I morti totali in Italia
sono ora 1.266.
In Cina, al contrario, dopo
oltre due mesi la diffusione del COVID-19 si è praticamente esaurita e
oggi si registrano solo 22 nuovi casi e 8 decessi. https://www.worldometers.info/coronavirus/
In Sardegna i casi positivi
salgono a 44 (+5 oggi). Nessuno è grave (terapia intensiva) ma nessuno –
ancora – è stato dichiarato guarito. Buone notizie dal San Francesco di Nuoro con
tamponi negativi dopo i casi dei giorni scorsi i quali avevano portato la
chiusura del nosocomio e messo subito in crisi la struttura. La maggior parte dei
soggetti contagiati sono difatti operatori sanitari.
Da segnalare che da più parti si continuano
a denunciare massici arrivi via porti, in particolare Olbia, dal momento che l’unico
aeroporto attivo in Sardegna a regime fortemente ridotto è quello di Elmas. La
situazione rischia di farsi incandescente anche perché sbarcano auto, caravan, camper
e pulmini carichi di viveri ed è del tutto evidente non si tratti di studenti e
lavoratori di rientro. Molti sardi e sarde stanno finendo anzitempo o hanno terminato
stagioni lavorative invernali ma la percentuale è comunque minimale, anche
perché la Sardegna – con poca popolazione e il tasso di abbandono scolastico
più alto d’Italia – non conta un enorme numero di studenti universitari “disterrados”
e molti emigrati sono rimasti dove vivono, in Italia come in tutta Europa. All’interno
dei “vacanzieri” si registrano casi di nazionalità non italiane, in proporzione
minimi e probabilmente alimentati anche dal fatto che fino ad una settimana fa nei
loro paesi si parlava a malapena del COVID-19 (vedi posizioni governative).
Il dato è chiaro e cosa sta
accadendo è sotto gli occhi di tutti, nonostante gli sparuti tentativi di minimizzare,
insinuare la classica “colpa sarda” o, persino, parlare di “accoglienza e ospitalità”.
La situazione rischia di farsi ancora più seria di quanto già non lo sia per
COVID-19 e il problema non è solo epidemiologico e sanitario, ma politico.
Un vero corto circuito. Parti politiche da sempre piuttosto scioviniste con “prima
gli italiani” e “aiutiamoli a casa loro” si trovano a richiedere lo stop all’arrivo
di nord-italiani (seppur non nominati esplicitamente) e anche altri esponenti
politici unionisti chiedono con forza il blocco temporaneo degli arrivi.
Il fisiologico e maggiore rischio
contagio e il carico sul sistema sanitario sardo ha i primi esempi pratici.
A Carloforte un “turista” milanese è stato scoperto e denunciato solo a
seguito di una brutta caduta col motorino (senza assicurazione e revisione), fatto
che ha impegnato persino l’elisoccorso per il trasporto al Brotzu.
Fortunatamente per i soccorritori e il personale medico entrati in contatto con
lo stesso, è risultato negativo al tampone.
In numerosi Comuni (non solo
costieri) vengono visti in giro come veri e propri turisti che se interpellati tentano
di confondersi con l’accento e la lingua del luogo utilizzando “frasi pronte”.
Comportamenti dolosi e irresponsabili che inaspriscono una situazione già
critica dove tanti Comuni sono sotto stress alle prese con l’organizzazione di assistenza
psicologica, consegna pasti per anziani, disabili e non autosufficienti e
tutti i servizi emergenziali che vengono predisposti in situazioni simili.
A riprova di cosa sia accaduto nei
giorni scorsi, crescono ancora gli autodenunciati per isolamento fiduciario: 13.300.
Tornando ai dati, di seguito si riportano alcuni link a progetti di monitoraggio o previsione che negli ultimi giorni stanno osservando e cercando di modellizzare la diffusione del COVID-19 e prevederne gli andamenti futuri.
In https://urly.it/34tb8Luigi Giuseppe Atzeni, Vincenzo Nardelli e Andrea Palladino cercano di
stimare l’andamento in Italia nel complesso utilizzando il modello SIR e altri
contributi di fonte cinese ottenuti dall’osservazione sullo sviluppo del
focolaio di Wuhan. Gli stessi fanno appello ad altre competenze che vogliano
unirsi al progetto, con l’obiettivo di affinare il modello e possibilmente in
tempi rapidi “regionalizzare” gli scenari. Al momento R0 stimato è 1,32
e il picco è previsto al momento per il 9 aprile. È di fondamentale
importanza che analisti o analiste sarde possano dare un contributo avendo
magari più confidenza, se non data-set pronti, con le peculiarità dell’Isola e
particolari variabili che possano inserirsi al meglio nella ricerca, rendendo
le stime per l’Isola più affidabile.
Un altro
progetto al momento si occupa di analizzare la situazione epidemica italiana
partendo dalla situazione lombarda e analizzando i trend in altre quattro
regioni. Gli autori sono Enrico Bucci, Giuseppe De Nicolao, Enzo Marinari e Giorgio Parisi
(quest’ultimo Presidente dell’Accademia Nazionale dei Lincei). Il documento
in Pdf può essere scaricato al seguente link https://urly.it/34tb-
Qui https://urly.it/34tb0
è possibile osservare e seguire un complesso ed esaustivo monitoraggio a cura
di Franco Mossotto.
COVID-19, c’è poco tempo: luoghi comuni, pericoli reali e scenario in Sardegna
PREMESSA. Le pagine che seguono sono scritte in base a diverse fonti informative che operano internamente a diversi ospedali presenti del nord Italia (e non solo) che stanno lavorando alacremente nell’emergenza COVID-19. Alcune informazioni ricevute e particolari non verranno divulgati per non rendere riconoscibili il contesto di provenienza e le diverse fonti specifiche. Chi opera in questo momento in quelle zone sa bene che deve pensare a lavorare e salvare più vite possibili, ma chi informa ha il dovere di rendere nota una situazione che, sostanzialmente, secondo il personale operante è molto più grave di quanto finora sia stato divulgato alla popolazione italiana e, si vedrà separatamente, a quella sarda. Consapevole della responsabilità assunta il sottoscritto spera veramente che le cose non vadano per il peggio. Ma le cose non andranno per il peggio se ci saranno determinate scelte individuali e collettive, non certo per magia.
Si procederà per punti, alcuni aspetti sono già stati resi
noti nel mare di informazioni a vario titolo divulgate, altri aspetti sono
ormai noti nelle ultime 12 ore e su altri si farà ordine e precisazioni.
A tutto il personale medico e sanitario impegnato va un caloroso ringraziamento.
Il COVID-19 è subdolo, molto subdolo. Questo virus si confonde facilmente in una prima fase con la normale influenza stagionale. Questo ha portato molte persone nelle settimane precedenti ad andare al Pronto Soccorso. I medici stessi non hanno riconosciuto in molti casi il virus e l’attesa in corsia, o un successivo ritorno al PS una volta peggiorate le condizioni, ha infettato centinaia di persone.
Il personale medico sta lavorando come prevedibile con turni
massacranti e, soprattutto, con scarsa quando non assente dotazione di
dispositivi di protezione. Infatti essi stessi si ammalano. Mancano le note
mascherine e mancano quelle più adatte a contenere la diffusione del virus,
ovvero quelle di categorie FFP2-FFP3. È urgente dotare massicciamente di
dispositivi adatti il personale impegnato e la popolazione civile.
Le terapie intensive sono al collasso, soprattutto in
Lombardia che comunque dispone di un sistema sanitario robusto. L’aiuto che
possono ricevere da regioni limitrofe è limitato (vista anche la situazione
critica anche in queste) perché il trasporto di un soggetto in terapia
intensiva da un ospedale all’altro non è operazione semplice: il rischio di
decesso è alto. Per la Sardegna, come si vedrà, questa eventualità è
logisticamente impossibile. Non si può ricevere aiuto da alcun sistema
limitrofo.
In alcuni ospedali italiani si è già arrivati, dopo poco più
di due settimane di epidemia, a dover scegliere. Scegliere tra chi
intubare e assistere e chi no. Si sta già scegliendo a monte tra chi può avere
una data possibilità di vita e chi precludergliela a prescindere per mancanza
di risorse. Questo è un dato di fatto ed è dato dai numeri. Circa il 10-12%
dei contagiati finisce in terapia intensiva. Se i contagiati aumentano
nell’ordine di 1.000-1.500 al giorno (impennate simili si stanno verificando
anche in Spagna, ad esempio) significa che ogni giorno vengono occupati anche
più di 100 posti di terapia intensiva. Se non si liberano posti da
malati precedenti, i nuovi non verranno assistiti adeguatamente. In alcune
strutture ospedaliere dai prossimi giorni non verranno più intubati soggetti
oltre i 60 anni. In Italia sono presenti circa 3.000 ventilatori.
Vaccino. L’unica reale soluzione ad un virus è la messa a punto e successiva
somministrazione di un vaccino. Non è possibile somministrare antibiotici,
essendo un virus. Si stanno facendo tentativi con cocktail di farmaci ma sono,
per l’appunto, tentativi. La scienza procede per errori e non per decreti o
scadenze. Il vaccino tecnicamente non arriverà prima di 10-12 mesi, con
buona pace delle poche settimane annunciate e attribuite ai più disparati Stati
nel mondo. Purtroppo, mettere a punto un vaccino non è una procedura così
rapida come tutti vorremmo fosse. Il distanziamento sociale e il contenimento
servono a non far non collassare un sistema sanitario e prendere tempo
in vista della messa a punto del relativo vaccino il quale poi andrà distribuito,
fase che richiede ulteriore tempo. Questo significa ulteriori contagi e morti.
Il distanziamento previene i contagi e riduce i morti.
Il distanziamento sociale come misura di contenimento
ha un preciso effetto. I casi si distribuiscono in un periodo più lungo
rispetto al mancato intervento delle misure. Le misure di contenimento, però,
riducono drasticamente l’entità del picco e con questo il numero di
persone che muoiono semplicemente perché non possono ricevere cure a causa del
congestionamento del sistema sanitario. Dunque, più in breve, una vita e una
società condizionata per un lasso di tempo più lungo ma meno vite perse.
“Alcuni potrebbero aver preso il COVID-19 e averlo superato
senza rendersene conto convinti fosse un’influenza”. È vero, ma sono
necessarie precisazioni. Innanzitutto, il soggetto potrebbe comunque aver
infettato altri mentre lo superava e questi altri potrebbero essere persone che
non supereranno l’infezione e moriranno. In ogni caso appesantiranno il sistema
sanitario. Altro aspetto: chi lo ha superato in modo silente non
necessariamente matura velocemente tutti gli anticorpi che evitano di
riprenderlo. Un già ammalato potrebbe riprendere il COVID-19.
Oltretutto, per molti che passano il COVID-19 senza accorgersene, ci sono
molti, anche giovani, che subiscono quella che tecnicamente è una polmonite
interstiziale bilaterale, molto aggressiva, che ha bisogno di ventilazione
continua e in casi gravi terapia intensiva. In molti ospedali non sono presenti
ventilatori per tutti quelli che ne necessitano.
“Il virus uccide solo anziani” – “L’età media del decesso è
alta”. Senza entrare in ragioni morali (anche la vita di un 70-80enne va quanto
possibile preservata) questo è vero solo in una prima fase. Già ora,
dopo un paio di settimane o poco più, con l’aumento del numero dei contagi si
stanno registrando numerosi casi di infezioni polmonari acute su soggetti
giovani (anche under 40) che finiscono nei reparti di terapia intensiva. Alcuni
muoiono, ne moriranno ancor più se il distanziamento sociale non sarà ferreo. I
dati riguardo le fasce d’età delle terapie intensive da COVID-19 in
Lombardia sono le seguenti:
– 22%, 75+ anni
– 37%, 65-74 anni
– 33%, 50-64 anni
– 8%, 25-49 anni
Quindi quasi un posto di terapia intensiva su due viene
dedicato a soggetti dai 64 anni in giù. Questo dimostra la forte pericolosità
del CODIV-19 anche su fasce giovani.
La letalità del COVID-19 al momento è intorno al 3% (dato
OMS). Nei giorni scorsi il rapporto in Italia tra guariti (recovered) e morti
(death) era quasi 3 a 1. Per ogni decesso quasi 3 soggetti guarivano. Ora
questo rapporto si sta assottigliando velocemente ed è al momento 1,56 a 1
(724 guariti e 463 decessi). Solo ieri era a 1,7 a 1.
“Sono gli stessi morti di un’influenza stagionale”.
Non è vero. O meglio, lo sono al momento, in questo momento preciso, ma
l’influenza stagionale non porta in terapia intensiva tutte queste persone.
Pensare che ciò che è stato proietti esattamente cosa sarà è una leggerezza
enorme. Non è assolutamente detto che sarà così fra un mese come fra due
settimane o ancora prima.
Il COVID-19 ha totalizzato in Italia al momento 9.172
contagi e 463 morti. Questo non significa assolutamente che, ad esempio,
nelle prossime 2-3 settimane si registreranno sempre circa 9.000 contagi e meno
di 500 morti. La proiezione non è per forza lineare ma potrebbe essere esponenziale.
Il virus possiamo dire che corra e, più passa il tempo, più correrà velocemente
e i danni saranno sempre maggiori anche perché non c’è il noto “effetto
gregge” dato dalla vaccinazione che nelle influenze stagionali esiste ed è
raccomandata per determinate categorie.
Rispetto ai giorni scorsi, dove si registravano nuovi contagi
al giorno nell’ordine delle centinaia, i contagi ora viaggiano con valori di
gran lunga superiori a 1.000 nuovi casi al giorno. L’8 marzo mentre iniziava
la scrittura di questo pezzo l’aggiornamento diceva che in Italia si avevano 1.492
nuovi casi e 133 nuovi morti. Al 9 marzo si registrano 1.797
nuovi casi e 97 nuovi decessi (il dato della Protezione Civile è inferiore e si
attesta a 1.598 nuovi casi)https://www.worldometers.info/coronavirus/
Per avere un’idea della gravità della situazione, la metà dei
decessi totali si sono verificati solo nelle ultime 24-48 ore circa. Che questo
sia un picco e ora si andrà a scendere è tutto da vedere e non c’è alcuna
indicazione in tal senso. Potrebbe essere anche la fase iniziale di
un’impennata ancora più forte.
In Italia si registrano all’8 marzo 122 casi ogni milione
di abitanti. Solo la Korea del Sud fa peggio con 144. Al 9 marzo il
rapporto per l’Italia è salito a 151 casi ogni milione abitanti,
mentre la Korea incrementa a 145,9.
La Cina grazie al contenimento straordinario avviato
da tempo (quarantena rigida su oltre 11 milioni di persone) nelle ultime ore ha
avuto solo 40 nuovi casi e 22 nuovi morti. In Italia la misura, tardiva,
della quarantena su circa 16 milioni di persone (da valutare contenuti
specifici e applicazione concreta) è stata prevista al 16° giorno
dall’inizio dell’epidemia. Il numero di infettati nel frattempo crescerà per
fughe e perché ancora molti infetti sono a spasso asintomatici.
Questo è dato da un abbassamento di attenzione clamoroso dopo
un primo, positivo, schock. Il contenimento era dato proprio dalle prime misure
in atto e l’opinione pubblica turbata. Invertendo il nesso causale, qualcuno
ha pensato bene che il COVID-19 stesse rallentando da solo, come per magia.
Ma il rallentamento era dato semplicemente dal contenimento e da una prima,
forte, paura. In una seconda fase, nel momento in cui il contenimento si
allenta, in mancanza di un vaccino, l’attenzione scende e il contagio corre
inevitabilmente. Esempi ne sono “l’acquavite che ci salverà” nel bar in Veneto,
i vari casi di fuggitivi dalle zone rosse verso altri luoghi o i Navigli a
Milano ancora in questi ultimi giorni colmi di gente intenta a fare aperitivi e
ballare incoscientemente.
Il panico gioca brutti scherzi, ma una razionale paura tiene
vivi e previene.La
fobia è un problema, ma l’incoscienza e la superficialità aumentano la
diffusione. Il contagio non si arresta magicamente perché “si pensa positivo” o
“ci credo forte forte” o “non facciamoci condizionare”. Il nostro pensiero
non è più forte di un virus. Quella è magia e religione, con tutto il rispetto
per le idee personali di ognuno. Ad azioni precise corrispondono conseguenze
precise: se non si dispone di un vaccino e le persone non si distanziano, il virus
corre e lo farà sempre più velocemente. È semplice ed è mortale, soprattutto
per alcuni ma se il sistema sanitario collasserà questo avrà conseguenze su
tanti, anche giovani e in buona salute.
Anche alcuni medici e persino virologi hanno dovuto fare il
percorso inverso. Da incalliti anti-allarmisti preoccupati per esagerazioni di
“poco più che un’influenza”, in 10-12 giorni sono passati ad ammettere che non
se ne sa molto, che il COVID-19 è molto contagioso e che è il caso di seguire strettamente
alcuni comportamenti. L’influenza stagionale non è neanche lontanamente
paragonabile alle polmoniti gravi che stanno riempendo interi reparti e che
continueranno a riempierli sempre più se non si contiene la diffusione del
virus.
Un altro aspetto riguarda la capacità di mutazione del
COVID-19. Ogni virus muta e lo fa con velocità diverse. Sicuramente il CODIV-19
rispetto alla SARS muta con un tasso nell’ordine delle decine di volte
superiore. Questo, però, non significa granché. Il virus può mutare “in male”,
più aggressivo e letale, o “in bene” essere meno aggressivo e virulento. Non ci
sono chiare evidenze in tal senso.
SARDEGNA. L’insularità è un elemento che in una prima fase gioca a favore del
contenimento. Il perché è intuitivo. Se il virus non è presente, e nessuno lo
porta dall’esterno in alcun modo, esso non può logicamente diffondersi. Nel
momento che, per un qualsiasi motivo, il virus infetta il contesto isolano e si
diffonde l’essere Isola gioca un ruolo opposto.
Le persone scappate indebitamente nell’Isola da zone rosse,
in larga parte residenti italiani ma anche sardi studenti-lavoratori, sono un numero
indefinito. Non abbiamo al momento dati certi ma sarebbero ricavabili da
traffico aeroportuale che le istituzioni sarde e l’opinione pubblica hanno il
dovere di reperire e sistematizzare il prima possibile. Se si hanno i
nominativi di chi è entrato, si può sapere (in parte) quali proprietà gli
stessi abbiano nell’Isola e dove, presumibilmente, si trovino. È impossibile
ricostruire tutto in tempi rapidi, lo si può fare solo in parte. In termini di contagio
bisogna sapere che quanto accaduto avrà effetti non del tutto rimediabili. È
possibile solo attenuare ma bisogna farlo subito.
Pensare che queste persone arrivate negli ultimi giorni
(prima del Decreto) dicano tutto ciò che c’è da dire in autonomia è
un’ingenuità. È certo che queste persone stanno già aumentando la velocità di
diffusione del virus. Senza un vaccino, mettere persone infette vicino a
persone sane fa ammalare le seconde. Mettere più persone infette vicino a
persone sane fa ammalare più velocemente l’intera collettività. È inevitabile.
La condizione del sistema sanitario sardo poi potrebbe fare il resto causando
molti più morti di quanto le stesse istituzioni sanitarie potessero pensare per
la Lombardia alcune settimane fa. Anche il periodo di incubazione di 2-11 o max
14 giorni potrebbe col tempo subire rialzi perché da quanto riportato dalle
fonti in queste settimane ci sono stati casi di incubazione anche maggiore.
Anche su questo fronte non si hanno letture scientifiche definitive.
Che fare nell’Isola? Questo articolo non fornisce alcun indirizzo medico su come
trattare infezioni polmonari ma “suggerisce” alcune soluzioni logistiche da
predisporre IMMEDIATAMENTE:
adoperarsi
per rintracciare retroattivamente tutti coloro che a vario titolo e con vari
mezzi siano entrati in Sardegna nelle ultime settimane, isolarli-isolarsi e
contattarli almeno due volte al giorno, dove possibile anche via
chiamata video-web;
adoperarsi
per tracciare tutti coloro che entrino in Sardegna da questo momento in poi
(allo stato attuale delle previsioni di legge). A quanto si apprende in
queste ore proseguono arrivi in massa e i controlli sono assenti. Il
rischio di un ampio contagio in questo modo è una certezza, non un rischio;
considerare
l’applicazione di una chiusura totale degli accessi all’Isola (richiesta
anche dall’ANCI). Si tratta di una misura drastica ed evitabile fino a due
settimane fa. Ora il problema è anche operativo: portare avanti con profitto le
due attività (tracciatura e monitoraggio su già arrivati e monitoraggio
su nuovi arrivi) renderebbe improba l’operazione in termini di poco tempo ed
enormi risorse necessarie. Per rintracciare migliaia di già arrivati,
controllare e gestire porti e aeroporti aperti e quarantene, sarebbero
necessarie energie inquantificabili;
nella
prospettiva di una inevitabile e massiccia diffusione del contagio, che ci
sarà, è urgente pensare alle eventualità peggiori. Organizzare ospedali
o affini su grandi imbarcazioni allo scopo adattate e attraccate nei porti
sardi. Non si possono in breve costruire ospedali o campi medici (anche per
motivi climatici) ma si possono adibire i locali delle imbarcazioni per
quarantene, monitoraggio, reparti di pronto soccorso e reparti di rianimazione-terapia
intensiva;
utilizzo
laddove possibile di idonee strutture alberghiere e/o resort, in aree non
urbane e dotate di ampi spazi esterni nei quali organizzare le quarantene;
allestire
pre-triage in tenda fuori dal Pronto Soccorso in ogni ospedale dell’Isola;
predisporre
i punti precedenti evitando da subito di convogliare contagiati e altri pazienti
per altre patologie negli “ospedali classici”. Non ammassare persone negli
stessi o comunque nei contesti urbani dove si trovano gli ospedali;
disporre
di un numero massiccio di maschere e tamponi i quali hanno, oltretutto, un
costo considerevole (90-100 euro). La RAS di quante unità dispone attualmente
o può disporne nel futuro immediato? È fondamentale la qualità e quantità
di dispositivi di protezione per il personale medico e sanitario per contenere
il contagio tra gli stessi, cosa che farebbe collassare subito il sistema
sanitario sardo. Per i civili, oltre maschere e dispositivi, il
distanziamento sociale e le note norme igieniche rimangono priorità assolute.
i
mezzi pubblici sono un aspetto problematico. Possono essere un veicolo del
virus, ma paralizzare i trasporti potrebbe creare il caos soprattutto nell’area
metropolitana di Cagliari. Il servizio pubblico potrebbe rimanere attivo
osservando alcune condizioni imprescindibili. Distanze tra utenti,
tratte dunque non affollate, e un’adeguata e costante sanificazione dei
mezzi. Scientificamente, un mezzo pubblico così gestito e organizzato non è
più pericoloso, ad esempio, di un negozio di alimentari;
gli anziani non devono uscire per nessuna ragione e devono ricevere
visite solo se strettamente necessarie. Tutti gli altri, ugualmente. Non è una indicazione data a
cuor leggero ma chiudere le scuole e poi ammassare, per esempio, persone in
coda in uffici pubblici per una settimana non ha avuto alcun senso e avrà
conseguenze. Il virus si diffonderà comunque. Rinviare l’inaugurazione di
qualcosa ma andare al ristorante non ha alcun senso. Limitare ogni attività non
strettamente necessaria. Per un periodo indefinito sforzarsi di vivere in modo
monacale o quasi se semplicemente si vuole continuare a vivere. Non andare al
cinema ma toccarsi e baciarsi con i propri parenti o affini non ha alcun senso.
Si è perso molto tempo per una settimana nel chiudere scuole ma non chiudere eventi sportivi, chiudere scuole ma far riunire i bambini nelle piazze a giocare e sudare assieme per poi tornare a casa da genitori e nonni anziani e debilitati. Non lo sappiamo ancora con precisione, ma questo ha comportato già dei contagi che si manifesteranno nelle prossime 2 settimane circa.
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