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Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida). Quarta parte: Antistoria della “Brigata Ascari”.

 borntokillita3Antistoria della “Brigata Ascari”

 “La Sardegna è un ottimo materiale da guerra: dà alla guerra l’uomo dal cuor di leone ed il ferro per i cannoni”

(Pasquale Manca, milite della Brigata Sassari, 1914)

Chi è un ascaro? Con questo termine – derivante dall’arabo῾askarī, soldato – si indicavano gli autoctoni dell’Africa Orientale, raggruppati entro truppe coloniali al servizio dell’esercito italiano occupante. Gli ascari sono uno dei numerosi esempi storici di corpi coloniali, formati da membri della nazione occupata. Si possono citare i sepoy, indiani al servizio degli inglesi; gli zuavi, algerini al seguito dell’esercito francese. Nella colonia Sardegna, la Brigata Sassari ha rivestito l’equivalente storico di tale fenomeno.

Mentre in qualche nazione colonizzata (vedi la guerra d’indipendenza indiana del 1857, sorta da un ammutinamento delle truppe indigene o la guerra di liberazione algerina, tra i cui capi – come Ahmed Ben Bella – vi furono ex soldati del Corpo di Spedizione Francese in Italia, composto per lo più da nordafricani, durante la seconda guerra mondiale) la creazione di un tale raggruppamento ebbe un effetto progressivo, nella nostra isola esso fu un fortissimo strumento di unione, colonizzazione mentale dei sardi, attraverso l’identificazione indotta nella Brigata ed il suo “tributo” di sangue.

La mistificazione della storia della brigata tatarina va allo stesso ritmo della narrazione storica propagandistica italiana. Quest’ultima, raccontando il suo Novecento, ha agito su due fronti: l’eroismo dei soldati della Prima Guerra Mondiale; il vittimismo dei soldati che hanno preso parte al secondo conflitto. Nel primo caso, si è puntato ad esaltare le imprese che consentissero di coprire la triste verità: migliaia di contadini e pastori spediti in trincea, al fine di portare l’Italia – quindi i suoi capitalisti – fra le grandi potenze imperialiste, fra le angherie degli ufficiali e costretti a scegliere se farsi trucidare dagli austriaci o farsi uccidere dai carabinieri; giovani nazionalisti esaltati e plagiati che finiranno per alimentare le file del movimento fascista. In Sardegna, contadini e pastori avevano ben altro cui pensare che alle “terre irredente” o all’arciduca Ferdinando ed ai grandi giochi imperialisti. Nei primi del Novecento, il mondo agropastorale sardo fu sconvolto per la soddisfazione delle esigenze del mercato: l’industria casearia italiana giunse nell’isola, imponendo i nuovi ritmi produttivistici capitalisti, con l’espansione dell’ovino e dei pascoli a danno dei contadini e degli stessi pastori, costretti a pagare affitti esorbitanti, privi di potere contrattuale nei confronti dei printzipales ed esposti all’usura. Nel 1913 le masse si sollevarono in diversi comuni, per chiedere misure speciali contro il crollo delle produzioni agricole, la siccità, la moria di bestiame, il rialzo del costo della vita. Nel 1914, 6000 operai furono licenziati dalle miniere iglesienti, vista della rottura dei contatti con i proprietari dovuta allo scoppio del conflitto. Nel 1915, nuove mobilitazioni popolari contro fame e disoccupazione. Tutto il contrario di una presunta volontà di combattere, al fine di integrarsi nell’Italia. La risposta del Regno fu la guerra: 98000 mobilitati, 17000 morti e dispersi (1754 caduti nella Brigata Sassari, su 6000 effettivi). Al ritorno a casa, oltre a trovare una situazione peggiore di prima, i soldati furono anche traditi dai propri dirigenti più maturi (i padri del sardismo), che invece di catalizzare la rabbia popolare verso la lotta di liberazione, decisero di portarlo nell’alveo del nazionalismo italiano. Non sappiamo, infine, se – per i soldati caduti in battaglia – siano state peggiori le baionette austriache o i deliranti proclami che vengono declamati in loro “onore” da uomini politici mediocri, in nome della dipendenza della nostra nazione. Per quanto concerne la Seconda, si punta sul descrivere i soldati italici come delle vittime di una dittatura che si lasciò coinvolgere in un conflitto privo di senso; a questo proposito, si è praticato un duro taglio strumentale alla narrazione degli eventi: ampio spazio dato alle “gesta” dell’esercito italiano in Africa ed in Russia – il quale, secondo la vulgata filoitaliana, avrebbe dato prova di eroismo nonostante le difficoltà e l’infido alleato tedesco, come ad El Alamein; quasi oblio, invece, riguardo le vicende delle forze armate italiane in Iugoslavia, nonostante in essa fosse occupato ben 1/3 dell’intero schieramento mussoliniano. Evidentemente, è stato molto difficile trovare tracce di nobiltà in quel fronte, ove gli italiani furono attivi quanto i nazisti nel rastrellare le popolazioni, creare campi di concentramento, devastare centinaia di villaggi combattere i patrioti slavi. Molto meglio rimuovere. E la Brigata Sassari?

La letteratura trabocca di racconti sui reggimenti dei “Dimonios” sul Carso. Grazie a quanto hanno scritto Gramsci, Lussu e Bellieni abbiamo una minima conoscenza del fatto che la Brigata Sassari sia stata impiegata – durante il Biennio Rosso- per “operazioni di ordine pubblico”, ovvero per reprimere gli operai in rivolta e proteggere la proprietà. Sappiamo che i due leader del sardismo chiesero lo scioglimento della Brigata, piuttosto che vederla partecipare ad atti ignominiosi; tramite il grande pensatore di Ales, invece, abbiamo conosciuto il malinteso senso di identità sarda dei soldati della Sassari, un raggruppamento “etnico” forgiato dal dominatore per dirigerlo verso i suoi interessi. Ci racconta l’intellettuale marxista che i tatarini erano ingenuamente convinti di svolgere un’azione meritoria poiché, in quanto sardi, vedevano negli operai torinesi dei nemici, proprio in quanto “piemontesi”. Esattamente come hanno fatto i paesi imperialisti nelle proprie colonie: al fine di assicurarsi la fedeltà di colonizzati, giudicati infidi ma allo stesso tempo come forieri di una ferocia degna di essere catalizzata, si rende necessario creare dei reggimenti su base etnica. Così, gli italiani hanno esaltato la carne da cannone sarda come gli inglesi hanno esaltato il valore dei propri Gurkha (“bravest of the brave, most generous of the generous”, nepalesi inquadrati nell’esercito britannico) o i francesi hanno esaltato i tiratori algerini o gli zuavi (è celebre il monumento in onore agli zuavi combattenti in Crimea, ad opera di Georges Diebolt).

Ma se i nostri studenti, oltre le gesta di Lussu e compagni, conoscessero pure la vicenda della Brigata Sassari in Iugoslavia (detta, dal 1939 “Divisione Sassari”, poiché agli storici 151° e 152° Reggimento si era aggiunto il 34° Reggimento artiglieria) si identificherebbero ugualmente con essi? Ne dubitiamo fortemente.

Abbiamo preso una donna prigioniera (…) Ci siamo accorti che era incinta, forse di sette-otto mesi. (…) Se dici ‘viva Mussolini’ ti perdoniamo e ti lasciamo andare” le abbiamo detto. Non siamo riusciti a convincerla. “Zivio Stalin, viva Stalin” urlava. Ho provato un sacco di volte a convincerla, ma lei niente. Quando ha gridato di nuovo “Zivio Stalin” le ho sparato un colpo in testa.”

“Un giorno abbiamo preso prigioniero un uomo di 70-80 anni, un vecchio che capeggiava una banda di comunisti (…) In un paio l’abbiamo preso, gli abbiamo fatto scavare la fossa e lo abbiamo ucciso.”

Una volta abbiamo scoperto una donna che aveva nascosto una pistola, infilando la canna nelle parti intime. (…) Abbiamo sequestrato la pistola e l’abbiamo presa a calci.”

(Gesuino Cauli – fante della Divisione Sassari, 152° reggimento, II battaglione, 6^ compagnia)

“L’episodio più brutto che io rammento è quello della distruzione di un paese di 450 abitanti. Non ricordo il nome di quella località sperduta fra le montagne. L’ordine di radere al suolo era stato dato perché tutti i partigiani di quella zona erano di quel paese. Abbiamo circondato il paese. Due squadre sono rimaste di copertura e altre due sono scese. I soldati mettevano i mobili sopra il letto e poi incendiavano il materasso. La casa, con questo sistema, bruciava come un cerino.”

All’imbrunire abbiamo sentito fruscio di foglie di granturco, un rumore di gente che si spostava in direzione delle mitragliatrici. “Dagli una raffica” ho ordinato al mitragliere (…) Non si è sentito più niente per tutta la notte. Al mattino abbiamo perlustrato la zona e abbiamo trovato una donna molto vecchia, uccisa dalla raffica della mitragliatrice.”

Una volta ho dovuto preparare il Plotone di esecuzione. C’era un partigiano che aveva detto “macaco” all’ufficiale italiano che lo interrogava. Per quella imprecazione è stata ordinata la fucilazione.”

(Lazzaro Piras – Sergente Maggiore della Div.Sassari, 152° reg, II batt, 8^compagnia)

“Ci sparavano addosso da una collinetta e non riuscivamo a individuare da che parte arrivassero i colpi. (…) Il giorno dopo abbiamo dato la risposta ai partigiani. Siamo tornati su quella collinetta e abbiamo raso al suolo tutte le case a colpi di mortaio.”

(Antonio Cappai- Fante scelto della Div. Sassari, 152°reg, II batt, 7^compagnia- Plotone Arditi)

Non c’è traccia degli “intrepidi sardi” sull’Altipiano carsico, ne di eroi, ma solo di meri e vigliacchi esecutori – al servizio dello Stato italiano e dell’esercito tedesco – scagliati non contro un altro esercito regolare bensì contro un autentico popolo in armi, che lottava strenuamente contro l’occupante nazifascista tanto da sapersi liberare senza l’intervento di eserciti stranieri. E gli ascari sardi stavano lì a rastrellare le città (Sebenico, Knin, Brod, Gracac, Petrovac, località della Croazia e della Dalmazia) a combattere i patrioti, a compiere crudeltà contro la popolazione.

Con l’armistizio dell’8 settembre, e dopo la difesa di Roma dall’invasione tedesca, la Divisione Sassari viene sciolta per essere ricostruita soltanto nel 1988, con la denominazione di “Brigata” ad evocazione diretta della Grande Guerra. Impossibile, non pensare ad un’operazione propagandistica in un’isola che – in quegli anni – stava impensierendo lo Stato con il “vento sardista” ed il presunto “complotto separatista”. Era necessario re-inventare un legame forte e diretto tra l’Italia e la Sardegna, in nome del “sangue versato”. Così la Brigata Ascari ha preso parte a diverse missioni – senza mai incontrare gli interessi della nazione sarda – partecipando, infine, all’occupazione dell’Iraq e a quella dell’Afghanistan, in nome di interessi americani ed italiani, cui potremmo aggiungere quelli di qualche giovanotto male indottrinato e dotato di una scala dei valori piuttosto distorta.

RIFERIMENTI ESSENZIALI

La guerra dimenticata della Brigata Sassari: La campagna di Iugoslavia 1941-1943. Francesco Fatutta, Paolo Vacca, (EDES, 1994)

http://scida.altervista.org/vogliamo-la-scuola-sarda-non-militari-italiani/#4