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Italia. Circo politico itinerante verso la guerra civile

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Il sobrio tweet dell’asolescente Renzi sulle elezioni     regionali in Emilia Romagna e Calabria.

Toni mortificati, non più tardi di qualche giorno fa, per l’attentato incendiario ad una “vela elettorale” di Forza Italia a Modena. Solidarietà da parte di tutti nei confronti di Galli, candidato forzista.

Ora appaiono dettagli. Avrebbero mai immaginato la fuga dalle urne che attendeva tutti, forzisti e non? Altroché atto vandalico, l’Emilia si è risvegliata con un’aria più tesa che mai e un astensionismo record: forzisti all’8% e astensione al 63%. Il messaggio è: non rappresentate nessuno. Date le storiche percentuali di partecipazione al voto in Emilia Romagna, il vuoto percepito amplifica i “dati disarmanti“, come li ha definiti Civati cuor di leone: 30 punti percentuali in meno rispetto al 2009 , in calo a sua volta rispetto al 76,6% del 2005.

Per rendere l’idea basti pensare che in Emilia il secondo candidato più votato, Alan Fabbri (Lega Nord con l’appoggio di quel che rimane di FI e Fratelli d’Italia) esulta mentre il vincitore (Bonaccini, sostenuto da PD, quel che rimane di SEL, Centro Democratico e una civica) si esprime indossando guanti di velluto prima delle dichiarazioni di rito. Renzi no. Alza ancora l’asticella della tracotanza.

Il PD migliora, arriva quasi al 45% come voti di lista. Questo farà la felicità di Renzi, Boschi e la Barracciu. Con o senza tessere, con o senza elettori, il PD controlla pressoché tutto. In genere in questi casi si passa dal controllo di tutto all’implosione.

Il 45% sul 37,8% degli aventi diritto (con quasi il 4% tra schede nulle e bianche) significa che il principale partito rappresenta all’incirca 15 elettori su 100. In pratica, un’egemonia del nulla e il Partito della Nazione che hanno in mente Renzi e Berlusconi si fa sempre più tangibile. D’altronde il maggior accessorio del Partito Democratico, Sinistra Oncologia e Libertà, si è liofilizzato con meno del 4% e ha pagato la totale organicità al PD, sia in termini di astensione che di voti andati ad una candidata minore, la professoressa Maria Cristina Quintavalla (lista L’Altra Emilia Romagna), coda lunga di Tsipras delle europee di maggio. Sei mesi fa 3,66% nel Nord-Est oggi, con una campagna elettorale a basso costo, si riconferma ottenendo il 4% e un seggio. Sarà interessante seguirne eventuali alleanze e lavori in consiglio, soprattutto alla luce delle ragioni che hanno dato vita ad una lista di rottura con PD e SEL, con quest’ultimo accusato duramente di ambivalenza con un Governo sempre più inviso ai cittadini.

In terza piazza i grillini ai quali spetta un capitolo a se stante. L’Emilia ha visto nascere il M5S, lo ha visto “strutturarsi” e prendere i primi incarichi “di peso” come il municipio a Parma. Qui sono iniziate pure le frizioni e la lista M5S “ufficiale” (candidata Giulia Gilbertoni) vede tra i diretti avversari una lista nella quale spiccano senatori e deputati che hanno rotto con Grillo e che hanno sostenuto l’imprenditore Maurizio Mazzanti (Liberi cittadini per l’Emilia Romagna) già consigliere di minoranza a Budrio che si attesta all’1,12%.

A parte la Lega Nord che esulta sfiorando il 20% e piazzando otto consiglieri nella nuova assemblea regionale, i vari candidati e partiti misurano le parole di fronte alle telecamere visto che 62 elettori su 100 non si sono recati alle urne, e questo rimane il dato politico macro più rilevante, soprattutto in Emilia.

La Gilbertoni, in controtendenza, sfoggia toni aggressivi a caldo, con lo spoglio ancora ad un quinto delle sezioni. A vederne la sicumera apparirebbe un 71%.

Attribuisce la scarsa affluenza all’oscuramento mediatico delle reti nazionali, parla di un problema astensionismo imputabile al governo, ai partiti, agli altri. Dice che questo è un risultato “che farà la felicità dei sociologi“, alludendo alle bordate di analisi politiche che il M5S sta incassando in queste ore. “Mi hanno fermata, in giro, e la gente non sapeva cosa si sarebbe votato. Ci chiediamo perché il governo non abbia informato i cittadini su queste elezioni“. Infine chiude con due battute. “Il lato positivo è che ora abbiamo cinque anni davanti per parlare con le gente” (si commenta da se) e un matematicamente ineccepibile “sappiamo che molti che votavano M5S hanno votato Lega“.

Poco rileva nell’analisi grillina che Beppe Grillo abbia di fatto snobbato la campagna elettorale emiliana. Mentre il M5S emula Di Pietro con la retorica legalitaria di nessun indagato nelle liste, Salvini batte a tappeto tutte le province innaffiando la campagna elettorale di razzismo e demagogia manco fosse sano Lambrusco. Ma questa è la gattopardesca politica italiana. Grillo ha dichiarato pochi giorni fa che il risultato sarebbe stato ne più ne meno quello poi registrato alle urne. “Quattro o cinque consiglieri, non di più” – avrebbe riferito ai fedelissimi in una timida chiusura di campagna elettorale. Atteggiamento al ribasso, politicamente marginale. Di rendita da bacino elettorale, in stile quasi democristiano. Al M5S va bene così, agli eletti soprattutto, agli elettori meno. Da notare che lo scandalo dei fondi ai gruppi in Emilia Romagna potenzialmente sarebbe potuto essere un buon argomento per riconfermare le europee di maggio o le politiche 2013. Probabilmente il richiamo all’onestà e all’integrità morale ha esaurito la sua carica nelle ultime tornate elettorali e così gli emiliano-romagnoli non hanno visto un’alternativa politicamente credibile nella lista di Beppe Grillo.

Anche i dossieraggi tra candidati in rete con tanto di denunce tra attivisti stessi hanno contribuito, al pari degli altri partiti, ad una astensione in massa. Nonostante questo i sostenitori del M5S negano responsabilità su un’affluenza del 37% in un territorio nel quale lavorano ormai da un decennio. Se per il M5S Emilia e Calabria erano di fatto un referendum, il responso è piuttosto eloquente.

Male anche il Nuovo Centro Destra di Alfano e il moderato Giovanardi che con l’UDC hanno sostenuto Alessandro Rondoni. Con il 2,6%, fuori dal Consiglio e questo, complice il risultato in Calabria, decreta la vaporizzazione della costola di Forza Italia. Oltre al de profundis dell’affluenza questo è un dato politico non aggirabile. Un presunto partito come NCD che, seppur non esistendo, costituisce il primo sostenitore di un altro partito (per ora PD, l’embrione della Big Tend americana, il Partito dello Stato-Nazione, il Partito-piglia-tutti) e insieme sostengono un governo dalle larghe intese finalizzato alle riforme. Alfano è comunque Ministro degli Interni in un periodo in cui la politica italiana vira verso la reazione più nera e le politiche antisociali ormai sono pane (o meglio, fame) quotidiano.

Dovrebbe far riflettere quel potere che rappresenta il nulla, ma solo gli interessi di controllo sociale di uno dei governi più liberisti che gli italiani potranno mai ricordare.

Che rimane da dire? Seguiranno anni durissimi, il degrado politico italiano porterà a una guerra civile? Quanto margine c’è ancora?