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Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida*). Seconda parte.

borntokillita3*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

Un mito da sfatare: le missioni di pace.

Uno dei punti forti della propaganda militarista italica sarebbe la “meritoria” attività delle truppe tricolori per mantenere la pace in Iraq e Afghanistan, per difendere la democrazia in questi paesi. Punto forte dell’antimilitarismo unionista, invece, è quello dei soldati italiani in servizio per interessi di altri.

La realtà che emerge, da quanto ci dicono alcune inchieste giornalistiche è, invece, molto diversa. Innanzitutto, gli italiani hanno combattuto e combattono. Ovviamente, ci vien da dire, giacché un esercito serve a fare la guerra e dal momento che, tra gli italiani a saltare in aria, non vi è stato certo Gino Strada! Innanzitutto, sappiamo dell’impegno italiano nella “Battaglia dei Ponti”, nei pressi di Nassiriya il 6 aprile 2004, contro i miliziani sciiti di Moqtada al Sadr che – giorni prima- aveva occupato tre ponti sull’Eufrate, dividenti in due la città. Durante i combattimenti, gli italiani sparano 30000 proiettili e uccidono – a detta del comando militare italiano – 15 persone. Miliziani o civili? Di certo sappiamo che gli italiani hanno ucciso una donna incinta ed altre tre persone (madre, sorella e marito, secondo i testimoni), facendo fuoco contro un’ambulanza. Ad ammettere ciò è lo stesso caporalmaggiore Raffaele Allocca, il quale – ritrattando la prima versione, secondo cui, il mezzo fosse un’autobomba, non fermatasi al check-point, e le persone all’interno avessero fatto fuoco contro gli italiani – ha dichiarato di aver sparato delle raffiche su ordine del maresciallo Stival, senza vedere delle persone sporgersi fuori dal veicolo. Il giornalista statunitense Micah Garen, che si trovava nel luogo in quel momento e fu anche rapito dagli uomini di al Sadr, fece un filmato da cui si nota che il mezzo era un’ambulanza che stava trasportava una donna incinta all’Ospedale di Nassiriya. Anche per questo, i miliziani sciiti avevano liberato il corrispondente americano. Ci dice Geran: L’ambulanza n.12 era stata inviata alle ore tre di venerdì mattina per trasferire una donna incinta, che aveva un travaglio difficoltoso, e la sua famiglia, dall’ospedale generale situato nella zona nord della città all’ospedale per le maternità nella zona sud, attraversando il fiume. L’esercito italiano, dislocato al lato sud del ponte, sparò contro l’ambulanza mentre essa lo attraversava. L’ambulanza prese fuoco e quattro dei passeggeri all’interno rimasero uccisi. L’autista e due persone con lui sedute sul davanti riuscirono a salvarsi. I resoconti dell’esercito statunitense, resi noti da Wikileaks recentemente (2010), hanno confermato che dal veicolo colpito non vi fu nessuna offesa. Allocca e Stival furono messi sotto processo dal Tribunale Militare e, infine, assolti nel maggio 2007 perché persone non punibili per aver ritenuto di agire in stato di necessità militare. Infatti, è stato riconosciuto l’”errore” commesso ma anche che il mezzo, in quelle condizioni, potesse rappresentare un pericolo grave ed attuale. Ci chiediamo se un tribunale iracheno avesse emesso una sentenza analoga e se – in condizioni di serio calo di consensi popolari nei riguardi delle missioni- l’Esercito avesse potuto condannare i due imputati, senza pensare alle conseguenze politiche di tale gesto.

Pare che in Afghanistan i “nostri ragazzi” si siano molto dilettati nel combattere i patrioti afghani. Basta fare qualche ricerca negli archivi giornalistici per notare ciò che scrivono i corrispondenti: andando a caccia di talebani, gli italiani hanno preso parte a scontri a fuoco in diversi luoghi del paese: nel distretto di Jawand, sul fronte nord dello schieramento italiano in Afghanistan occidentale; a Surobi, settanta chilometri a sudest di Kabul; a Bala Murghab (la Brigata Sassari, fra Natale e Capodanno 2009 ha combattuto per 72 ore); nel fronte sud di Farah.

L’Italia partecipa – o ha partecipato, nel caso iracheno – come truppa di occupazione ma anche come belligerante. Non solo per assolvere ai suoi doveri di vassallo degli Stati Uniti d’America, ma anche in difesa di suoi precisi interessi economici entro l’area. Infatti, sappiamo che l’Italia, con la multinazionale statale ENI, ha guadagnato qualcosa dai conflitti e dalla consequente “spartizione del bottino” con i suoi compari atlantici: nel 2009, la multinazionale si è aggiudicata per 20 anni il giacimento di Zubair – tra i più grandi del paese, con produzione pari a circa 195 mila barili di olio al giorno e, oggi, progetta nuovi affari nello Stato fantoccio. Ad esempio, è ancora in piedi il progetto di assicurarsi lo sfruttamento del pozzo di Nassiriya, addocchiato fin dagli anni ’90 e che, forse, si pensava di poterlo ricevere con il sangue degli 11 soldati italiani morti nello stesso luogo nel novembre 2003. Gli italiani, però, nel 2009 furono beffati – nella gara d’appalto – da una multinazionale giapponese. I giacimenti afghani di petrolio e gas sono sempre stati tra gli obiettivi dichiarati dell’ENI, che nel paese si sta dando da fare nella scoperta di questi tesori.

Insomma, l’idea di un’Italia mera vassalla – tanto cara agli estremisti dell’unionismo – è senz’altro da ridimensionare: la Repubblica Italiana sta agendo chiaramente da paese imperialista; i suoi soldati non fanno altro che servire gli interessi di questo Stato, offrendo un indubbio servizio agli Usa.

RIFERIMENTI ESSENZIALI

“Battaglia dei ponti: 30 mila proiettili, forse più morti
Sarzanini Fiorenza, Corriere della Sera (26 maggio 2004)

“Sì, abbiamo sparato contro l’ambulanza”
Sara Menafra, Il Manifesto (7 febbraio 2006)


“Un’ambulanza il veicolo colpito dai soldati.
Sentenza militare conferma Wikileaks”
la Repubblica (26 dicembre 2010)

 “Sent. G.U.P. Tribunale militare di Roma, 9 maggio 2007, n. 33″
processo penale a carico di Allocca Raffaele e Stival Fabio

“Ma gli italiani in Afghanistan preferiscono l’attacco alle azioni difensive”
Fausto Biloslavo, Il Foglio, 12-10-2010

“Forze speciali italiane all’attacco in Afghanistan. Le forze speciali italiane sono protagoniste del conflitto afghano 
Fausto Biloslavo, Panorama, 19-07-2010

“Afghanistan: diario di guerra dall’ultimo avamposto italiano”
Fausto Biloslavo, Panorama, 31-08-2008

“2 maggio 2013 –  Herat, Afghanistan: duro colpo inflitto dai militari italiani alle comunicazioni degli insorti”
da www.difesa.it

“Isaf all’attacco nella zona italiana
Manlio Dinucci, Il Manifesto (5 ottobre 2006)

 “Eni si aggiudica il giacimento ‘giant’ di Zubair, in Iraq”
da www.eni.com

“Afghanistan: Eni ‘seriously considering’ investing in northern Afghanistan says minister”
da www.adnkronos.com

“Eni, scoperto nuovo giacimento petrolifero in Afghanistan”
da www.milanofinanza.it

“Eni, attività in Iraq”
da www.eni.com

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A Foras! Quarta parte: lotta contro l’occupazione militare e lotta di liberazione nazionale (di Scida).

liberazione nazionale http://scida.altervista.org/aforas-cap-iv-lotta-contro-loccupazione-militare-e-lotta-di-liberazione-nazionale/

Le organizzazioni indipendentiste coerenti, il movimento studentesco (nella sua migliore espressione del Comitato Studentesco contro l’Occupazione Militare), le organizzazioni antagoniste ed i movimenti pacifisti e antimilitaristi della società civile sono gli unici che hanno preso una posizione netta contro la riqualificazione militarista di Quirra – condotta dal PD e da Pigliaru – e dunque gli unici che possono condurre una lotta coerente – fino alla vittoria – contro i poligoni militari, contro ogni esercitazione bellica, per la bonifica ed il riuso produttivo di tutti i siti militari dismessi?

Non si tratta di romantiche rivendicazioni di purezza ideologica o di rettitudine morale; anzi, si tratta di una questione prettamente materiale: tutti questi movimenti (e tutti gli individui che in essi militano) non hanno dei privilegi da difendere entro lo stato di cose presente.

Chi sostiene la Giunta Pigliaru non può essere considerato contrario all’occupazione militare. Ne consegue che questo Consiglio Regionale è un nemico della Nazione sarda ed il movimento antimilitarista dovrebbe chiederne le dimissioni e quindi nuove elezioni al fine di portare se stesso al governo della nostra isola. Fare affidamento sulla Giunta del Partito Democratico, sugli unionisti e sui collaborazionisti suoi alleati significherebbe solo giungere ad una risoluzione in senso reazionario del conflitto tra la nostra Nazione e lo Stato italiano, in favore di quest’ultimo e contro il nostro Popolo. La “Piattaforma Pigliaru” – che prevede come obiettivo massimo la chiusura di circa 9000 ettari di servitù su un totale di 35000, rifiutandosi di chiudere i 13000 del PISQ) rappresenterebbe un tradimento di tutti coloro (militanti dei partiti, simpatizzanti, semplici famiglie ed individui sensibilizzati alla questione delle servitù militari) che hanno partecipato alle mobilitazioni popolari e di tutti quei ragazzi che hanno rischiato seri problemi con la Giustizia con l’occupazione della Facoltà di Lettere e degli stessi poligoni di Capo Frasca e Teulada, al fine di impedire ogni tentativo di strumentalizzazione da parte delle forze di sistema; infine la delusione per la mancata soluzione, potrebbe provocare l’abbandono dalla lotta politica di diverse individualità sensibili, una grave perdita di autostima – e quindi di coscienza nazionale – da parte del nostro Popolo, che penserebbe di non poter ottenere nulla attraverso la propria azione autonoma dai centri di potere da sempre suoi nemici.

Il 17 novembre scorso, a Okinawa, si sono svolte le elezioni per il nuovo governatore. Queste sono state trasformate in una sorta di referendum sulla presenza militare statunitense nell’isola, portando alla vittoria il candidato più intransigente contro l’occupazione: Takeshi Onaga, il quale si è opposto con tenacia al tentativo di risolvere il problema con la ricollocazione della marina a stelle strisce in un’altra parte del territorio. Qualcosa di simile potrebbe avvenire in Sardegna, tenendo conto della crescita della sensibilità intorno al tema delle servitù, quanto alla crescita di consapevolezza di sé nel nostro popolo ed il suo rifiuto dell’attuale classe politica al potere (48% di astensione alle ultime Regionali).

L’indipendentismo è l’unico orientamento politico capace di collegare la questione delle servitù militari con la questione sociale e la questione studentesca entro un progetto di emancipazione reale del nostro popolo. Rappresenta, cioè, l’unica forza capace di condurre in maniera coerente e costante la lotta contro l’occupazione militare senza tendere al compromesso, senza scivolare nello spontaneismo ma facendone una questione nazionale e dunque capace di attirare a sé la maggioranza dei sardi, oppressi dalla Dipendenza coloniale e cioè dallo stesso Stato e dagli stessi interessi imperialistici cui si deve la presenza militare sulla nostra isola.

Ad esempio, nell’ambito studentesco, la mancata potestà legislativa in ambito d’istruzione trasformerà – con la riforma della scuola di Renzi e Giannini – la Vitrociset da principale collaboratore dell’IPSIA di Perdasdefogu a suo azionista di maggioranza. Una piattaforma nazionale, anticolonialista e antimilitarista al governo della Regione lottando per una Scuola ed Università sarda porrebbe fine alla ignominiosa compromissione dei nostri atenei e scongiurerebbe la pericolosa penetrazione di capitale privato nei nostri istituti scolastici.

Non è più tempo di aspettare. Ogni conflitto può essere risolto in senso reazionario o in senso rivoluzionario. Durante la Sarda Rivoluzione, il timore per il radicalismo condusse la fazione più reazionaria del movimento riformatore ad accettare la soluzione del problema feudale in senso favorevole alla dominazione piemontese, contro le masse sarde: introduzione del capitalismo e Fusione Perfetta. Oggi come tre secoli fa, i collaborazionisti, i reazionari, i conservatori, i privilegiati hanno come nemico principale il popolo sardo in rivolta e lo Stato colonizzatore ed occupante come alleato. Radicalizzare il conflitto sulle servitù militari è l’unico modo per giungere ad una soluzione favorevole alla nazione sarda. Riprendiamoci la nostra terra! Rifiuto di ogni compromesso! Il vero irresponsabile è chi invoca soluzioni parziali o invita alla collaborazione con la classe dirigente coloniale!

Scida, Giovunus Indipendentistashttp://scida.altervista.org/

A Foras! Terza parte: i falsi amici della lotta popolare (di Scida)

a foras terza parte

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A Foras! Seconda parte. Il PD e il distretto aerospaziale: salvare il PISQ! (di Scida).

distretto aerospazialehttp://scida.altervista.org/aforas-cap-ii/#sthash.YFuDmbMF.dpuf

Il secondo capitolo del Focus in quattro parti in cui spiegheremo chi, come e perché ha intenzione di mantenere attiva in Sardegna l’occupazione militare, i metodi utilizzati dalla politica isolana per mantenere le proprie posizioni di rendita agendo per una risoluzione reazionaria del conflitto in atto tra Popolo sardo e Stato italiano e la nostra idea di risoluzione dello stesso nell’ambito della lotta di liberazione della nostra nazione.

Partito Democratico è il più grande artefice e sostenitore della riqualificazione in senso militarista del Poligono Interforze di Perdasdefogu. I suoi esponenti sardi hanno svolto, quindi, il ruolo principale nella ricerca di una soluzione di compromesso tra le ragioni popolari contro le servitù e le ragioni della Difesa. Ciò accade da anni, praticamente da quando il PD esiste: già il 26 settembre 2008 i parlamentari piddini Caterina Pes, Paolo Fadda, Siro Marrocu, Guido Melis, Amalia Schirru, Giulio Calvisi, Andrea Lulli chiesero il mantenimento di sperimentazioni degli aerei senza pilota nel PISQ oltre all’ampliamento della stessa area militare.

Negli ultimi tre anni, la funzione degli esponenti sardi del Partito Democratico è emersa in modo palese: la volontà di rivedere – in senso reazionario – l’occupazione militare della nostra isola, nasce al fine di impedire una vittoria popolare tale da eliminare ogni servitù ed ogni esercitazione, in particolare capace di travolgere il PISQ. Nel gennaio 2011 il procuratore Fiordalisi aprì l’inchiesta sulle attività del poligono di Quirra, poste in relazione con oltre un centinaio di morti sospette nell’area, riportando alla ribalta – per l’ennesima volta – il problema delle servitù militari in Sardegna. Un anno dopo, il senatore del PD Gian Piero Scanu presentò la sua proposta di chiusura di Capo Frasca e Teulada e riconversione di Quirra, ponendo l’accento proprio su questa palese volontà di non opporsi all’occupazione militare della Sardegna per prendere le distanze dal “filone antagonista e ribellista”. L’area del PISQ dovrebbe essere riconvertita “per l’addestramento degli uomini della Protezione civile, per attività di ricerca aerospaziale, robotica, microelettronica” ma anche per la “sperimentazione di aerei UAV, la ricerca per il miglioramento delle condizioni di sicurezza dei militari impegnati nelle missioni internazionali”; ovviamente non espone nessun rifiuto di ogni esercitazione militare tout court, bensì di ogni attività lesiva della salute umana e animale. Ciò perché al PD interessa la vita dei sardi finché stanno nell’isola, se poi le attività svolte nel poligono sono funzionali ad uccidere- o ad essere uccisi- altrove sembrano bene accette.

Al di là del processo legislativo, il progetto Scanu è proseguito incontrando la collaborazione delle Università di Cagliari e Sassari nella costituzione del Distretto Aerospaziale della Sardegna (DASS) nell’ottobre 2013 – con il beneplacito dell’attuale presidente della Regione Francesco Pigliaru, in precedenza pro-rettore dell’ateneo cagliaritano con delega alla ricerca scientifica. Tra i soci del DASS figurano aziende implicate nelle attività belliche come l’Alenia Aermacchi del gruppo Finmeccanica, la Piaggio Aero e ovviamente la Vitrociset già attiva nel PISQ. A ciò possiamo aggiungere il documento di programmazione regionale del 22 Luglio 2014 – Giunta Pigliaru – dal titolo “Strategia di specializzazione intelligente della Sardegna” in cui i poligoni militari nell’isola sono indicati come importanti per la realizzazione del suddetto distretto aerospaziale, i cui obiettivi sarebbero anche quelli della difesa aerea.

L’ordine del giorno approvato dal Consiglio Regionale il 17 giugno 2014 ha richiamato il suddetto documento della Commissione Difesa, per chiedere un “riequilibrio, la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni e la destinazione, nell’ambito dei processi di riconversione delle attività svolte nei poligoni, di una quota degli investimenti statali in ricerca e innovazione, proporzionale al gravame militare”. Infine, il 22 dicembre 2014 durante una riunione con 9 rappresentanti di comuni sardi colpiti da servitù, e dopo mesi di tentennamenti e ambiguità, il presidente Pigliaru ha chiarito la posizione massima della sua Giunta e della sua maggioranza consiliare:la dismissione dei poligoni di Capo Frasca e Teulada e la riconversione in chiave di ricerca duale– cioè civile e militare- di quello di Quirra…”

Come abbiamo visto, la posizione del presidente Francesco Pigliaru non è altro che il progetto elaborato dal Partito Democratico da almeno tre anni. Perciò non può, per nessuna ragione, essere considerata una soluzione soddisfacente dal movimento sardo contro l’occupazione militare, che chiede la chiusura di tutti e tre i poligoni. Per questa ragione, movimenti e partiti politici in evidente compartecipazione di interessi con il PD – e quindi con l’attuale Giunta Regionale – non sono in grado di portare avanti una lotta coerente nel rispetto delle ragioni del 13S e quindi saranno i principali difensori di una risoluzione in chiave reazionaria di questo conflitto, proponendo al popolo sardo un progetto già pronto da anni. La mobilitazione popolare, insomma, non servirebbe a niente.

Perciò è doveroso che indipendentisti, studenti, movimenti della società civile sarda – la parte non compromessa della nostra Nazione – stiano in guardia contro questo pericolo, si tengano alla larga dagli imbucati e si pongano chiaramente contro l’attuale Consiglio Regionale, indisponibili ad ogni soluzione di compromesso.

Scida, Giovunus Indipendentistas. http://scida.altervista.org/

A Foras! Prima parte: La Piattaforma Pigliaru (di Scida).

piattaforma

Iniziamo da oggi a pubblicare un Focus in quattro parti in cui spiegheremo chi, come e perché ha intenzione di mantenere attiva in Sardegna l’occupazione militare, i metodi utilizzati dalla politica isolana per mantenere le proprie posizioni di rendita agendo per una risoluzione reazionaria del conflitto in atto tra Popolo sardo e Stato italiano e la nostra idea di risoluzione dello stesso nell’ambito della lotta di liberazione della nostra nazione.

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Trenta Denari (di Andrìa Pili).

trantadenariI risultati delle elezioni sarde dello scorso 16 febbraio, probabilmente, avranno diverse conseguenze nefaste la cui portata si può – ora – solo ipotizzare, sperando che si minimizzi. Tuttavia, uno degli effetti già evidenti è il notevole progresso nel decennale tentativo di istituzionalizzare l’indipendentismo, l’unico movimento che può incanalare il disagio sociale sardo entro una soluzione rivoluzionaria: la creazione di una Repubblica indipendente di Sardegna. Questo tentativo, oggi, è sfociato nella creazione di una nuova forma di sardismo (o, per convenzione,  autonomismo militante – tenendo conto che, entro l’istituzione Regione Autonoma, ogni organizzazione politica è autonomista) assai più pericolosa della precedente, innanzitutto perché accompagnata da una orrida deriva etico-culturale.

Il riferimento è, ovviamente, alle organizzazioni iRS e Partito dei Sardi, le quali – grazie ad un’alleanza con il centrosinistra, ovvero alla compiacenza del Partito Democratico – sono riuscite ad ottenere tre seggi (rispettivamente una e due poltrone) nonostante un infimo risultato elettorale (0.82% per il primo e 2.66% il secondo). Gli uomini chiave di tali organizzazioni sono Gavino Sale e Franciscu Sedda, i quali furono anche – se non le principali – senz’altro le figure più conosciute e apprezzate dell’indipendentismo nel primo decennio del 2000. Le ragioni della loro alleanza con il centrosinistra unionista possono solo essere ipotizzate; tuttavia, che si sia trattato di una sincera manovra politica o di mero opportunismo, dato il ruolo che hanno esercitato nel passato, non cambia il fatto oggettivo: tradimento delle ragioni della nazione sarda.

Continuità e discontinuità con l’autonomismo storico
La novità di queste due partiti non sta nell’essersi alleati con partiti o coalizioni unioniste, al fine ufficiale di condizionarne le politiche in senso sardocentrico. Non sta neppure nel fare la medesima politica, autoproclamandosi “indipendentista” e, dunque, giustificando essa come una tattica gradualista verso l’indipendenza. Entrambe queste cose sono state già fatte dal Partito Sardo d’Azione, fin dall’inizio della Regione Autonoma; basti pensare che già il primo governo autonomista (1949-51) fu una giunta Democrazia Cristiana-PSd’Az. Ebbe la stessa composizione la giunta Alfredo Corrias (1954-55) ed Efisio Corrias (1958-65). I sardisti furono anche membri di alcune giunte di centrosinistra con PSI e PSDI (1965-67; 1973) e anche con il PCI (1980-82). Nel 1979 il PsdAz adottò una posizione indipendentista, mentre nel 1981 avvenne il cambiamento del primo articolo dello Statuto, sancendo la definitiva scelta indipendentista del partito. Tuttavia, essa non corrispose ad un cambiamento di azione politica, ma si rivelò una scelta efficace per rilanciare un partito in declino: se alle elezioni negli anni ’70 il Partito si era ridotto al 2-3% dei consensi elettorali, nel 1984 esso prese il 13.8% dei suffragi, diventando la terza forza politica con 12 consiglieri e la presidenza della Regione (Mario Melis). Tuttavia, la conseguente giunta di centrosinistra (1984-89) con PCI-PSI-PSDI  fu una prosecuzione della vecchia politica e non riuscì a consolidare il successo del partito fondato da Lussu, segnando invece la morte del vento sardista. Dal 1995 al 1997 il PsdAz fu nella giunta di centrosinistra presieduta da Palomba, mentre dal 2009 sostenne quella del centrodestra con Ugo Cappellacci, appoggiato da loro anche in questa tornata elettorale.

La storia dell’autonomismo ha pienamente dimostrato il fallimento della politica delle alleanze adottata da Sale e Sedda. In più, c’è da pensare che essi lo sappiano perfettamente, visto che abbandonarono Sardigna Natzione proprio in polemica con l’alleanza fra quest’ultima ed il PSdAz! Quindi, malgrado nessuno possa sapere con certezza i motivi che hanno condotto loro a tale scelta, la probabilità tende fortemente verso un’unica ragione: opportunismo. La scelta estrema di due individui prossimi alla morte politica (due indizi: l’ultima percentuale elettorale di iRS testimonia, oggettivamente, il crollo di consensi e di militanti del partito del consigliere sassarese; il semiologo Sedda, invece, era uscito da ProgReS – probabilmente assai scontento d’aver perso la posizione di dirigente a vita che aveva in iRS – ed aveva ultimato l’esperienza da presidente del comitato Fiocco Verde).

Tuttavia, mentre il PsdAz si è sempre ritenuto un soggetto politico autonomo tanto da non sentirsi vincolato ad una particolare alleanza (in sessant’anni di storia autonomistica, il sardismo è stato assieme all’unionismo di Centro, Sinistra e Destra ma anche con l’indipendentismo di Su Populu Sardu e Sardigna Natzione), iRS e PdS – specie il primo – hanno scelto esplicitamente il centrosinistra unionista come proprio naturale compagno di viaggio. Questo è ciò che distingue i “sovranisti” dal vecchio autonomismo; questa è la fase recente della istituzionalizzazione dell’indipendentismo da parte dell’unionismo. Possiamo comprendere ciò attraverso recenti dichiarazioni di Gavino Sale su stampa e televisione, secondo cui la presenza di “indipendentisti” in ambedue gli schieramenti unionisti di centrodestra e centrosinistra sarebbe il segno che – finalmente – l’indipendentismo si sarebbe evoluto in una parte di Destra ed una di Sinistra. Questo carattere “nuovo” – dal punto di vista indipendentista – lungi dall’essere un’evoluzione, è una involuzione. Ciò rende i due opportunisti – più che dei neoautonomisti – dei neounionisti o dei presardisti.

Ora, al governo con Pigliaru, contando anche i due seggi dei Rossomori – eredi dell’autonomismo passato – i “sovranisti” non hanno i numeri consiliari tali da assumersi dei meriti (la maggioranza di centrosinistra reggerebbe anche senza di loro). Il che significa che il centrosinistra unionista potrebbe assumersi il merito di ogni misura sardocentrica che sarà approvata (come l’Agenzia sarda delle Entrate), contribuendo a nascondere il conflitto, e che gli ex indipendentisti diverranno complici di ogni sua malefatta. Quello che viene, da essi, spacciato come un grande successo potrebbe, in realtà, ritorcersi contro di loro.

La deriva etico-culturale dei traditori Sale e Sedda
L’esecrabilità della scelta politica dei due ex indipendentisti sta innanzitutto qui: voler rendere l’indipendentismo un appendice dell’unionismo, nascondere il conflitto attraverso la partecipazione attiva nel sistema unionista, confondere le ragioni della Nazione sarda con quelle dello Stato italiano. Infine – come nella proverbiale notte ove tutte le vacche sono nere – porre sullo stesso piano chi tradisce la Sardegna con chi continua a perseguire una coerente lotta di liberazione nazionale. Dal punto di vista etico, non vi è errore peggiore del porre sullo stesso piano un comportamento giusto con uno sbagliato, un’azione buona con un’azione cattiva; giacché significa negare l’esistenza stessa di Bene e Male e quindi giustificare ogni atto, compresi i più vergognosi. Dal punto di vista logico, dato il principio di non contraddizione, ignorare la dicotomia o porsi una falsa dicotomia non può che condurre ad errori grossolani.

La Politica non è “l’arte del vivere insieme” od un luogo ove ogni posizione deprecabile deve essere tollerata in omaggio ad un malinteso senso del rispetto. La Politica è uno scontro fra opposti interessi, una lotta fra l’Emancipazione e l’Oppressione. Così come chi si ritrova in mezzo al mare non può rifiutarsi di nuotare- pena la morte per affogamento o il porsi in balia della corrente – così chi vive in una società, non può rifiutarsi di partecipare a questo scontro, pena il soccombere o il porsi in balia dell’oppressore. Per questo è necessario dotarsi di una dicotomia valida, al fine di elaborare azioni giuste per vincere questa lotta. Entro una Sardegna colonia, sottomessa alla Repubblica Italiana e vittima dell’imperialismo, l’unica dicotomia valida è: Nazione Sarda contro Stato Italiano. Ogni aspetto sociale va ricondotto entro questo schema: non si può stare con la Sardegna e con lo Stato contemporaneamente, che si sia coscienti o meno della propria posizione. Per questo chi si allea con i partiti unionisti sta con lo Stato italiano e, di conseguenza, è un nemico della Nazione Sarda.

Il punto forte della retorica dei partiti oggetto di questa analisi, è stato questo: portare l’indipendentismo al governo. Questo è quanto ogni indipendentista desidera; la spregevolezza della comunicazione di questi presardisti sta nel voler confondere fini e mezzi. Perciò, il fine non è più quello di abbattere la situazione di subalternità della nostra nazione ma diventa entrare nella Giunta o conquistare dei seggi in Consiglio. Per questo, un autentico indipendentista continuerà a vedere la presenza nelle istituzioni come un mezzo irrinunciabile e rifiuterà ogni alleanza con gli unionisti, cioè contro coloro che sono i nemici del fine ultimo; il “sovranista”, invece, non vede alcuna contraddizione nell’allearsi con i partiti italiani, giacché il fine è quello di ritagliarsi un proprio ruolo entro il sistema dominante. Non si capisce perché, inoltre, si debba fare lo Stato sardo con persone come Gianfranco Ganau o Francesco Pigliaru: a venir fuori, pure fosse possibile realizzare l’indipendenza con essi, sarebbe soltanto uno Stato sardo fantoccio utile a distribuire medaglie e privilegi a qualcuno, ma non a rompere i rapporti di forza che opprimono i sardi.

L’ultima giustificazione circolante riguarda la legge elettorale liberticida; ma l’alleanza tra iRS ed il centrosinistra non è stata figlia di questa, come tendenziosamente i dirigenti di tale partito vorrebbero far credere. Tutti sanno che tale pensiero era covato già da tempo – forse fin della implosione di iRS nel 2010 ma sicuramente da oltre un anno – quando si strinsero rapporti amichevoli con diversi esponenti del centrosinistra (Dadea, Lobina…) e si coniò il termine “sovranismo” per un residuo senso del pudore.

Un altro aspetto che mal si concilia con l’etica è il modo con cui iRS e PdS, durante la campagna elettorale, hanno palesemente mistificato la storia catalana e scozzese. Ultimo esempio è la surreale intervista a Maninchedda, su Videolina, nel giorno degli scrutini.  In particolare, il paragone più gettonato è stato con il partito Esquerra Republicana de Catalunya, cercando di far intendere che l’imminente indipendenza della nazione con l’estelada sia dovuta all’alleanza di governo fra questo e la sinistra unionista spagnola, tra il 2003 ed il 2010. La storia della Catalogna narrata da Sale e Sedda omette almeno quattro cose importanti:

1) Dalla proclamazione della Generalitat, nel 1980, ad oggi – escluso il governo di Sinistra tra il 2003 ed il 2010 – a governare è stata Convergencia i Uniò, questo è il nome attuale del catalanismo liberaldemocratico che, in circa 25 anni di governo, ha senz’altro inciso nella società catalana molto più di ERC, tenendo in mano l’esecutivo in solitudine.
2) Alle elezioni del 2003 – inizio del governo di centrosinistra – Esquerra prese il 16,44%, ma nelle successive consultazioni (2006) il partito crollò al 14%, perdendo oltre centomila voti. Alle elezioni del 2010 – al termine dell’esperienza di governo con il PSC – Esquerra prese solo il 7%, ritornando ai livelli di un decennio prima e perdendo circa 300000 voti rispetto al 2003.
3) ERC oggi ha appoggiato il governo nazionalista di CiU, che nella scorsa legislatura aveva indetto il referendum, da una posizione di forza (21 seggi, secondo partito catalano) ma senza CiU non ci sarebbe mai stata la Dichiarazione di Sovranità e nemmeno il referendum.
4) I successi della ERC attuale sono dovuti alla crescente avversione verso le politiche liberiste del governo di Artur Mas, non a quella alleanza con l’unionismo spagnolo.

Sostenere che l’alleanza ERC-PSC per il governo 2003-2010 sia l’artefice della prossima indipendenza catalana è solo una menzogna. Ma, forse, dire bugie al popolo sardo viene ritenuta cosa accettabile entro questa deriva etica.

Il Partito dei Sardi, inoltre, ama paragonarsi allo Scottish National Party. Forse non sanno che questo partito – pur essendo fin troppo moderato con l’unionismo – non ha mai partecipato a governi guidati da unionisti britannici e quando ha conquistato le redini dell’esecutivo, dal 2007 a oggi, ha sempre governato da solo. Siamo, quindi, di fronte ad un altro paragone errato e palesemente traviante.

Schiacciare l’infamia: l’indipendentismo sardo e internazionale di fronte ad opportunisti e traditori
Di fronte a questo vergognoso comportamento, le cui conseguenze rischiano di danneggiare il movimento di liberazione nazionale, è necessario che l’indipendentismo tutto predisponga manovre necessarie al fine di impedire la nascita, dal suo seno, di nuovi infami e stabilisca come affrontare quelli esistenti. Innanzitutto, occorre criticare aspramente il pensiero postmoderno – dominante culturalmente nei primi anni 2000 entro il cui pentolone, iRS, è nata – che porta al rifiuto di ogni verità assoluta e quindi di ogni modello razionale. Senza una solida base teorica, si è condotti verso azioni sbagliate e a non riconoscere più ciò che è vero da ciò che è falso. Se vi sono persone che – sinceramente – hanno seguito gli opportunisti Sale e Sedda la causa sta, in gran parte, in questo grave deficit formativo. Ragion per cui dovrebbe essere d’obbligo, per i movimenti indipendentisti, l’organizzazione di corsi volti ad una formazione politica, che permetta di fare subito il deserto attorno al personalismo e la possibilità di esprimere il proprio pensiero in appositi fogli di propaganda politica. Ogni militante dovrebbe sentirsi protagonista di un progresso culturale e formativo più ampio, un processo continuo, annullando ogni monopolio del pensiero. Un’idea giusta non appartiene a nessun stregone particolare, anche se ha una cattedra di semiotica.

Al di là della questione etico-culturale, il solo modo per impedire la nascita di nuovi personalismi è quello di massimizzare la democrazia interna e la partecipazione: revocabilità di ogni carica in qualsiasi momento; divieto di mandati consecutivi.

iRS e PdS devono essere trattati come un qualsiasi altro partito unionista: hanno scelto il loro campo, lo Stato italiano, e gli indipendentisti devono rompere ogni rapporto con essi, mettere in mostra la loro vera natura, mettendo in guardia il popolo sardo dai subdoli richiami di questi traditori al servizio dell’Oppressione. In più, occorre premere affinché i suddetti partiti siano isolati a livello internazionale dagli altri indipendentismi europei: la lotta per l’emancipazione nazionale di ogni popolo oppresso riguarda ogni popolo oppresso; la mancanza di appoggio, quando non la condanna esplicita, da parte dei movimenti nazionalisti di liberazione, aiuterebbe i veri indipendentisti sardi nello screditare l’opportunismo autonomista verso il popolo sardo.

La lotta per la liberazione della Nazione Sarda è una cosa seria. L’oppressione è reale, il conflitto con lo Stato preesiste alla nostra stessa nascita individuale. La militanza indipendentista è, quindi, un dovere etico quanto una necessità: ne va della nostra sopravvivenza come uomini e come comunità nazionale. Chi punta a ricomporre il conflitto o a nascondere esso, alleandosi con il nemico, merita l’esecrazione e sta già scrivendo la propria condanna storica. Noi indipendentisti coerenti non dobbiamo far altro che prenderne atto, oggettivamente. Perché non è una questione di opinioni o di scelte ugualmente rispettabili: Pintor, Cabras, Musso, Sisternes tradirono le ragioni della Sardegna, combattendo Angioy al fine di difendere i propri privilegi; Emilio Lussu tradì le ragioni della Sardegna, scegliendo lo Stato italiano, quando avrebbe potuto guidare i sardi all’indipendenza. Così vuole una narrazione sardocentrica della nostra storia nazionale, cioè – per noi – la Storia. Gavino Sale e Franciscu Sedda hanno scelto lo Stato italiano, tradendo le ragioni della Sardegna per salvare se stessi da una inesorabile morte politica. Perché mai la Storia dovrebbe giudicarli diversamente?

Andrìa Pili.

(pubblicato originariamente su http://scida.altervista.org/ )

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