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Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida*). L’esercito italiano in Sardegna: occupazione e repressione (terza parte)

borntokillita3*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

L’esercito italiano in Sardegna: occupazione e repressione.

Le forze armate dello Stato unitario sono state attive nella repressione dei moti popolari della seconda metà del XIX secolo, in opposizione alle proteste popolari – da quelle contro la abolizione degli adempirvi (1865), ultimo attacco contro la gestione comunitaria della terra, ai battellieri in sciopero di Carloforte e ai tumulti di Sanluri del 1881, ove i carabinieri spararono sulla folla uccidendo 4 persone che manifestavano la propria opposizione alla miseria- e nelle retate terroristiche contro la popolazione barbaricina, in nome di una pretesa “lotta al banditismo” ma che in realtà era una “caccia grossa” al sardo.

Nel 1904, il direttore della miniera di Buggerru – il greco Georgiadis – chiese l’intervento di due compagnie di carabinieri al fine di costringere gli operai ad interrompere lo sciopero. Il risultato: 4 morti, uccisi perché si opponevano alla riduzione del proprio salario e all’estensione del lavoro a 12 ore. Due anni dopo, l’esercito si distinse ancora nel fare fuoco contro la nostra gente, che si scagliava contro i simboli dell’oppressione colonialista- caseifici, tramvie, casotti daziari-, facendo 2 morti a Cagliari; 2 a Gonnesa; 2 a Nebida; 5 a Villasalto. Senza contare i feriti.

Durante l’ultimo secolo lo Stato italiano – forte del suo dominio economico e culturale – poté contenere i costi dell’oppressione: non più atti palesi, come sparare su civili inermi, ma specialmente attraverso l’occupazione militare diretta, senza disprezzare la comparsa in operazioni contro i “banditi” (Operazione “Forza Paris”, 1992). Le basi militari sono state costruite a partire dagli anni ’50, sotto l’egida della Nato, e quindi della potenza statunitense, la quale – come ogni dominatore storico della Sardegna – vede nella nostra terra un utile avamposto per l’egemonia nel Mediterraneo. Le forze armate italiane condividono con gli alleati atlantici il più grande poligono terrestre, aereo e navale d’Europa (Quirra); il secondo poligono più grande dello Stato (Capo Teulada); il poligono di Capo Frasca; l’aeroporto di Decimomannu; le stazioni di telecomunicazioni del Monte Arci e di Santu Lussurgiu. Le servitù militari – tra terre e acque concesse per le attività di poligoni, aeroporti, porti, beni sottoposti a demanio militare, depositi munizioni, impianti di telecomunicazioni- ricoprono un’area di oltre 35000 ettari, contro i 16000 sul restante territorio dello Stato. In Sardegna sono dunque presenti il 70% delle servitù militari dello Stato, terreni tolti al libero uso delle nostre comunità e che gravano come un macigno sulla nostra possibilità di sviluppo economico. Entro tali aree inibite alla nostra popolazione si compiono lanci di razzi e missili; sganci di bombe (l’80% delle esplosioni di bombe in Italia, in tempo di pace, hanno avuto luogo in Sardegna); prove di armi da parte di militari di tutto il mondo, offerte dalle industrie private degli armamenti; esercitazioni a fuoco per azioni da attuare nelle guerre per l’egemonia occidentale. Inoltre, la nostra terra possiede la più alta percentuale di occupati nelle Forze Armate (4%), mentre nel settentrione e nel meridione d’Italia non si supera il 2%. Crediamo che ciò sia più che sufficiente per affermare, senza possibilità di smentita, che la nazione sarda subisca una grave occupazione militare.

Significativa è la questione della nuova caserma della Brigata Sassari, a Nuoro. 517 ettari della comunità nuorese, destinati a questa funzione del tutto estranea ai suoi interessi economici, per un costo di 24 milioni di euro, mentre per la costruzione del campus universitario si destinerà solo un milione di euro per rimettere a nuovo una ex artiglieria. Insomma, si vede una scelta politica ben precisa nel favorire le forze armate italiane invece degli studenti nuoresi!

RIFERIMENTI ESSENZIALI

– Leopoldo Ortu, Storia della Sardegna: dal Medioevo all’Età Contemporanea (CUEC, 2011);
Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna dopo l’Unità, (Laterza, 1986);
– Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna dalla grande guerra al fascismo (Laterza, 1990);
Guido Floris, Angelo Ledda, Servitù militari in Sardegna. Il caso Teulada (La Collina, 2010);
Giulio Bechi (a cura di Manlio Brigaglia), Caccia Grossa (Ilisso, 2006);

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Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida*). Seconda parte.

borntokillita3*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

Un mito da sfatare: le missioni di pace.

Uno dei punti forti della propaganda militarista italica sarebbe la “meritoria” attività delle truppe tricolori per mantenere la pace in Iraq e Afghanistan, per difendere la democrazia in questi paesi. Punto forte dell’antimilitarismo unionista, invece, è quello dei soldati italiani in servizio per interessi di altri.

La realtà che emerge, da quanto ci dicono alcune inchieste giornalistiche è, invece, molto diversa. Innanzitutto, gli italiani hanno combattuto e combattono. Ovviamente, ci vien da dire, giacché un esercito serve a fare la guerra e dal momento che, tra gli italiani a saltare in aria, non vi è stato certo Gino Strada! Innanzitutto, sappiamo dell’impegno italiano nella “Battaglia dei Ponti”, nei pressi di Nassiriya il 6 aprile 2004, contro i miliziani sciiti di Moqtada al Sadr che – giorni prima- aveva occupato tre ponti sull’Eufrate, dividenti in due la città. Durante i combattimenti, gli italiani sparano 30000 proiettili e uccidono – a detta del comando militare italiano – 15 persone. Miliziani o civili? Di certo sappiamo che gli italiani hanno ucciso una donna incinta ed altre tre persone (madre, sorella e marito, secondo i testimoni), facendo fuoco contro un’ambulanza. Ad ammettere ciò è lo stesso caporalmaggiore Raffaele Allocca, il quale – ritrattando la prima versione, secondo cui, il mezzo fosse un’autobomba, non fermatasi al check-point, e le persone all’interno avessero fatto fuoco contro gli italiani – ha dichiarato di aver sparato delle raffiche su ordine del maresciallo Stival, senza vedere delle persone sporgersi fuori dal veicolo. Il giornalista statunitense Micah Garen, che si trovava nel luogo in quel momento e fu anche rapito dagli uomini di al Sadr, fece un filmato da cui si nota che il mezzo era un’ambulanza che stava trasportava una donna incinta all’Ospedale di Nassiriya. Anche per questo, i miliziani sciiti avevano liberato il corrispondente americano. Ci dice Geran: L’ambulanza n.12 era stata inviata alle ore tre di venerdì mattina per trasferire una donna incinta, che aveva un travaglio difficoltoso, e la sua famiglia, dall’ospedale generale situato nella zona nord della città all’ospedale per le maternità nella zona sud, attraversando il fiume. L’esercito italiano, dislocato al lato sud del ponte, sparò contro l’ambulanza mentre essa lo attraversava. L’ambulanza prese fuoco e quattro dei passeggeri all’interno rimasero uccisi. L’autista e due persone con lui sedute sul davanti riuscirono a salvarsi. I resoconti dell’esercito statunitense, resi noti da Wikileaks recentemente (2010), hanno confermato che dal veicolo colpito non vi fu nessuna offesa. Allocca e Stival furono messi sotto processo dal Tribunale Militare e, infine, assolti nel maggio 2007 perché persone non punibili per aver ritenuto di agire in stato di necessità militare. Infatti, è stato riconosciuto l’”errore” commesso ma anche che il mezzo, in quelle condizioni, potesse rappresentare un pericolo grave ed attuale. Ci chiediamo se un tribunale iracheno avesse emesso una sentenza analoga e se – in condizioni di serio calo di consensi popolari nei riguardi delle missioni- l’Esercito avesse potuto condannare i due imputati, senza pensare alle conseguenze politiche di tale gesto.

Pare che in Afghanistan i “nostri ragazzi” si siano molto dilettati nel combattere i patrioti afghani. Basta fare qualche ricerca negli archivi giornalistici per notare ciò che scrivono i corrispondenti: andando a caccia di talebani, gli italiani hanno preso parte a scontri a fuoco in diversi luoghi del paese: nel distretto di Jawand, sul fronte nord dello schieramento italiano in Afghanistan occidentale; a Surobi, settanta chilometri a sudest di Kabul; a Bala Murghab (la Brigata Sassari, fra Natale e Capodanno 2009 ha combattuto per 72 ore); nel fronte sud di Farah.

L’Italia partecipa – o ha partecipato, nel caso iracheno – come truppa di occupazione ma anche come belligerante. Non solo per assolvere ai suoi doveri di vassallo degli Stati Uniti d’America, ma anche in difesa di suoi precisi interessi economici entro l’area. Infatti, sappiamo che l’Italia, con la multinazionale statale ENI, ha guadagnato qualcosa dai conflitti e dalla consequente “spartizione del bottino” con i suoi compari atlantici: nel 2009, la multinazionale si è aggiudicata per 20 anni il giacimento di Zubair – tra i più grandi del paese, con produzione pari a circa 195 mila barili di olio al giorno e, oggi, progetta nuovi affari nello Stato fantoccio. Ad esempio, è ancora in piedi il progetto di assicurarsi lo sfruttamento del pozzo di Nassiriya, addocchiato fin dagli anni ’90 e che, forse, si pensava di poterlo ricevere con il sangue degli 11 soldati italiani morti nello stesso luogo nel novembre 2003. Gli italiani, però, nel 2009 furono beffati – nella gara d’appalto – da una multinazionale giapponese. I giacimenti afghani di petrolio e gas sono sempre stati tra gli obiettivi dichiarati dell’ENI, che nel paese si sta dando da fare nella scoperta di questi tesori.

Insomma, l’idea di un’Italia mera vassalla – tanto cara agli estremisti dell’unionismo – è senz’altro da ridimensionare: la Repubblica Italiana sta agendo chiaramente da paese imperialista; i suoi soldati non fanno altro che servire gli interessi di questo Stato, offrendo un indubbio servizio agli Usa.

RIFERIMENTI ESSENZIALI

“Battaglia dei ponti: 30 mila proiettili, forse più morti
Sarzanini Fiorenza, Corriere della Sera (26 maggio 2004)

“Sì, abbiamo sparato contro l’ambulanza”
Sara Menafra, Il Manifesto (7 febbraio 2006)


“Un’ambulanza il veicolo colpito dai soldati.
Sentenza militare conferma Wikileaks”
la Repubblica (26 dicembre 2010)

 “Sent. G.U.P. Tribunale militare di Roma, 9 maggio 2007, n. 33″
processo penale a carico di Allocca Raffaele e Stival Fabio

“Ma gli italiani in Afghanistan preferiscono l’attacco alle azioni difensive”
Fausto Biloslavo, Il Foglio, 12-10-2010

“Forze speciali italiane all’attacco in Afghanistan. Le forze speciali italiane sono protagoniste del conflitto afghano 
Fausto Biloslavo, Panorama, 19-07-2010

“Afghanistan: diario di guerra dall’ultimo avamposto italiano”
Fausto Biloslavo, Panorama, 31-08-2008

“2 maggio 2013 –  Herat, Afghanistan: duro colpo inflitto dai militari italiani alle comunicazioni degli insorti”
da www.difesa.it

“Isaf all’attacco nella zona italiana
Manlio Dinucci, Il Manifesto (5 ottobre 2006)

 “Eni si aggiudica il giacimento ‘giant’ di Zubair, in Iraq”
da www.eni.com

“Afghanistan: Eni ‘seriously considering’ investing in northern Afghanistan says minister”
da www.adnkronos.com

“Eni, scoperto nuovo giacimento petrolifero in Afghanistan”
da www.milanofinanza.it

“Eni, attività in Iraq”
da www.eni.com

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