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Il FIU su monopolio marittimo e contributo di soggiorno: un protettorato coloniale

monopolioDal monopolio di Onorato al no alla tassa soggiorno: la Giunta Pigliaru assomiglia sempre di più a un protettorato coloniale

La Sardigna e i diritti dei sardi sono messi al sacco da potenti oligarchi che speculano sulle risorse della nostra terra e sui diritti fondamentali del popolo sardo. Uno degli esempi più eclatanti di questa condizione coloniale è il caso del monopolio trasporti per nave: il signor Onorato oggi possiede il 95% dei trasporti marittimi da e per la Sardegna. Grazie alla copertura finanziaria di un fondo americano e di Unicredit, oltre alla compiacente indolenza della giunta Pigliaru e delle sue stampelle “sovraniste”, da oggi la Sardegna è ufficialmente un serbatoio del quale l’oligarca può disporre come meglio crede.
Onorato ha liquidato anche le ultime apparenze della concorrenza mettendo da parte gli ex soci della CIN. Il ricorso all’Antitrust dell’assessore Massimo Deiana, le patetiche esternazioni di Pigliaru su Facebook e le lamentele a mezzo stampa degli esponenti della maggioranza sono tardive e ipocrite perché la politica monopolistica di Onorato non era certo un mistero e questo è solo l’atto finale di un processo di concentrazione di capitale nel settore, tristemente noto dall’estate 2011 con il “sacco” delle tasche dei turisti, prosciugati ben prima di poter spendere un solo euro in Sardigna. Le grandi potenzialità turistiche della nostra Natzione vengono così mortificate e la pratica monopolistica (attribuita alla crisi nord-africana) drena tante risorse quanto più la Sardigna registra presenze in aumento, data la grande attrattiva dell’isola a livello internazionale. Poco importa a Onorato che il turista potrà spendere ben poco una volta giunto nell’ambita meta turistica dato che il caro traghetti spenna i turisti.
La giunta Pigliaru e le sue compiacenti stampelle “sovraniste” hanno avuto tutto il tempo per impegnarsi in una seria e frontale battaglia contro la realizzazione e gestione del monopolio a beneficio della proprietà campana, del conseguente caro trasporti e per revocare la convenzione con Tirrenia.
Se a ciò aggiungiamo anche il secco no dell’assessore al turismo Francesco Morandi alla proposta della tassa di soggiorno abbiamo veramente il quadro completo della situazione. Morandi dichiara che la tassa di soggiorno “produce pochi spiccioli per le casse e molti danni per l’immagine”. Possiamo e dobbiamo discutere modi e criteri di applicazione del contributo di soggiorno, ma è un dato di fatto che economie turistiche ben più sviluppate della nostra la applicano da anni e ne traggono profitti concreti in termini naturalistici, di servizi, di gestione dei flussi e di responsabilizzazione degli amministratori locali per l’impiego trasparente del gettito.
Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene necessario che tutto il movimento di liberazione nazionale faccia quadrato su queste due tematiche di vitale importanza per lo sviluppo del nostro Paese:
• Introduzione di un contributo regionale di soggiorno. I proventi saranno destinati al mantenimento delle infrastrutture che più risentono del carico turistico concentrato in pochi mesi, al recupero e valorizzazione del patrimonio artistico-archeologico dell’isola e una sua più ampia promozione.
• Nella prospettiva di costruire una Sardigna sovrana, dotata di una sua flotta passeggeri e mercantile, è indispensabile l’apertura di un tavolo di confronto tra la RAS e la proprietà Moby che miri a regolamentare il continuo drenaggio di risorse derivante dalla condizione di monopolio privato. La Sardigna non può accettare di essere il fattore di produzione nelle mani di un oligarca italiano e la questione trasporti marittimi ha una portata politica nazionale, non semplicemente risolvibile dall’ANTITRUST italiana della quale conosciamo bene i “risultati” ottenuti circa altri monopoli che affossano la Sardigna. Onorato fa i suoi interessi, noi da indipendentisti dobbiamo fare altrettanto per la nostra Natzione.

Fronte Indipendentista Unidu

L’indipendentismo sardo di fronte al Donbass (di Scida)

Donbass resistenza
Pubblichiamo la nostra relazione presentata al convegno del 26 giugno- organizzato a Cagliari in collaborazione con il Fronte Indipendentista Unidu- “Lotta antifascista, diritto all’autodeterminazione, tendenza alla guerra – l’esperienza delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk”.

L’Internazionalismo non si basa sul sentimentalismo romantico o cosmopolita ma è una pratica con la sua ragione di essere nella consapevolezza di appartenere ad un medesimo contesto, come il sistema capitalista mondiale o la sudditanza ad una stessa egemonia politica ed economica, quindi la condivisione dello stesso nemico. Prima di prendere una posizione riguardo il Donbass, dunque, è necessario osservare a grandi linee l’area del conflitto ucraino.

Il conflitto di interessi economici tra Unione Europea e Russia, entrambe vogliose di dominare l’economia della terra di frontiera ucraina- il polo europeo è il principale partner commerciale dell’Ucraina, 25.3% export e 40.7% import, mentre la Russia segue con 24.1% e 19.6%- è esploso alla fine del 2013 durante la presidenza di Yanukovic. Il suo rifiuto di siglare un accordo commerciale con l’UE, in novembre, ha scatenato la protesta di Jevromaidan ad opera di filoeuropeisti, presto egemonizzati da gruppi dell’estrema destra (Svoboda e Pravj Sektor) e strumentalizzati da Washington. Gli Stati Uniti, senza avere particolari interessi economici nel Paese, sono intenzionati a contenere la Russia, potenza concorrente nell’area; a questo fine, da vent’anni, foraggia organizzazioni non governative- come la Open Society di Soros- pronte a scattare a convenienza contro un governo sgradito agli USA o amico della Russia. Così è successo nel 2004, nella cosiddetta Rivoluzione Arancione, sempre contro Yanukovic ed in favore dei filoeuropeisti Yushenko e Tymoshenko e così è accaduto nel 2013. Gli Stati Uniti, vista la debolezza politico militare del progetto europeo- in bilico tra la velleità di costruzione di un proprio grande polo capitalista e l’incapacità di sganciarsi dall’ombrello NATO- hanno chiaramente approfittato del conflitto ucraino, spingendo verso un rafforzamento dei legami commerciali euroatlantici (TTIP o il proprio gas naturale liquido contro la dipendenza dal gas russo) e l’indebolimento dell’economia russa (prigioniera della propria dipendenza dal petrolio e colpita dalle sanzioni). Da Jevromajdan è sorto una specie di golpe contro il governo legittimo volto a portare l’Ucraina entro l’orbita euroatlantica. Il nuovo governo di Yatsenjuk, insediato nel febbraio 2014, diede 4 ministeri agli estremisti di destra di Svoboda, siglò il trattato commerciale con l’UE, propose di eliminare lo status del russo come seconda lingua ufficiale dello Stato. Questi tre fattori provocarono il disappunto dei cittadini dell’Est del Paese, in particolare del Donbass.

In questa regione hanno sede un importante settore metallurgico (acciaio, 40% dell’export di tutta l’Ucraina) e le miniere di carbone, liberi da ingerenze esterne, a differenza degli altri settori economici ucraini. Inoltre, questo carattere operaio- presente fin dall’epoca sovietica- unito all’importanza delle proprie risorse, ha fatto sì che i popoli della provincia di Donetsk e di Lugansk sviluppassero una propria identità, una propria volontà autonomista mostrata chiaramente dagli scioperi dei minatori nel 1993 per ottenere uno statuto autonomo. Per questi elementi, uniti alla forte componente russa e russofona (il russo è maggioritario oltre che più usato che in altre parti del paese), il popolo del Donbass è avverso al nuovo governo ed al blocco euroatlantico verso cui si sta dirigendo, in quanto danneggerebbe la propria economia e la propria cultura. In aprile- con l’occupazione dei palazzi governativi di Donetsk, Lugansk e Kharkiv- lo scontro con Kiev diventa aperto e nel maggio seguente- dopo un referendum per l’indipendenza- nascono le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e quindi la loro resistenza armata contro l’esercito ucraino, i battaglioni neonazisti e gli interessi della NATO.

Merito di questa resistenza popolare è anche di aver fatto emergere le contraddizioni degli oligarchi ucraini, molto legati a questo territorio. I magnati sfruttatori delle risorse del Donbass- dal 1993 al 2003 sono state privatizzate 9200 aziende statali- sono stati sempre molto influenti nello Stato ucraino, controllando le risorse del paese indipendenti dal capitale straniero (commercio del gas, lavorazione del petrolio, industria metallurgica). Dai governi di Kiev- controllati in maniera diretta o indiretta- hanno sempre ottenuto dei privilegi vista la grande importanza della regione per l’economia ucraina; proprio a tutela di questi, gli oligarchi sono passati compatti dalla parte del governo centrale- sebbene una parte di essi abbia inizialmente sostenuto Yanukovic contro l’Europa- e contro i separatisti. Infatti, hanno bisogno dell’unità statale ucraina a sostegno dei propri profitti: lo Stato ucraino è uno strumento degli oligarchi (il presidente Poroshenko, il 7^ uomo più ricco del Paese è l’ultimo esempio). Il chiaro distacco tra oligarchi e militanti indipendentisti del Donbass si è avuto nel maggio 2014, quando Ahmetov – il più ricco d’Ucraina, controllante diverse fabbriche nella regione- ha chiamato i propri operai a fronteggiare i separatisti. Per tutta risposta, l’allora presidente della Repubblica Popolare di Donetsk- Pushilin- ha minacciato la nazionalizzazione delle industrie in seguito al rifiuto degli oligarchi di pagare le tasse alla RPD, accusandoli inoltre di avere derubato i cittadini per anni. Durante gli ultimi venti anni questi uomini facoltosi seppero costruire il proprio consenso nella regione, garantendo uno standard di vita superiore a quello del resto dell’Ucraina (bassa disoccupazione, alto reddito pro capite, salari in crescita); per questo il distacco tra popolo e oligarchia maturato durante lotta assume una importanza storica, oltre ad essere il segno di una lotta a carattere popolare.

Le elezioni ucraine di Ottobre 2014 hanno sancito un governo a maggioranza filoeuropeista e di Destra egemonizzato dal Blocco Poroshenko e dal Fronte del Popolo di Yatseniuk, con il 21% ciascuno dei suffragi. Il conflitto continua ancora oggi, seppure si sia cercato un accordo tra Kiev le aree ribelli su una larga autonomia per la regione ed il rispetto della lingua russa. L’influenza dei neonazisti è ancora ben presente- basti guardare al fatto che un consulente dello Stato Maggiore ucraino era un militante del Pravj Sektor- mentre il carattere reazionario dello Stato ucraino è divenuto evidente dopo la proibizione del Partito Comunista e dell’equiparazione tra nazismo e comunismo.

In Donbass è quindi in atto un movimento d’autodifesa per difendere identità, cultura, economia, lingua. Insomma, la lotta per l’autodeterminazione del popolo del Donbass è pienamente legittima in quanto antifascista e contro uno Stato oppressore. In più è anche una battaglia contro l’egemonia statunitense ed il polo capitalista europeo. Ciò significa che questa resistenza è una lotta fraterna a quella del movimento di liberazione nazionale sardo. Infatti, la Sardegna si ritrova a pagare- tramite l’occupazione militare, basti pensare al solo Poligono di Quirra, il più grande d’Europa- sulla propria pelle l’Alleanza Atlantica a tutela degli interessi dell’imperialismo occidentale e non può che esprimere la propria avversione verso un progetto europeista edificato su basi non democratiche ed in favore della creazione di un grande spazio entro cui la nostra isola, pure indipendente, sarebbe integrata solo in condizioni di sudditanza e di cui- come organizzazione giovanile e studentesca indipendentista- abbiamo più volte sottolineato i mali in ambito universitario e nelle politiche del lavoro giovanile.

L’indipendentismo sardo deve dirsi attivamente solidale con le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk e guardare- con disincanto e realismo- favorevolmente a chiunque ponga in crisi l’egemonia entro cui la Sardegna è posta come periferia, osservando come- nella storia- il declino di grandi potenze imperiali e imperialiste abbia favorito i movimenti di emancipazione.

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Sardegna e Italia, quando due tratti coincidono (di Marco Piccinelli).

nonukleDa un po’ di giorni, in Sardegna, è tornata a far parlare di sé una questione che sarebbe dovuta essere chiusa, per la verità, già da qualche tempo. E invece torna prepotentemente agli onori delle cronache giornalistiche, riempiendo pagine su pagine.

Le organizzazioni indipendentiste si iniziano a mobilitare nuovamente per quella lotta già vinta tramite referendum popolare del 2011, un anno prima di quello, più famoso a livello statale, che aveva come quesito cardine “l’acqua pubblica”. La questione delle scorie nucleari in Sardegna, però, è di una lampante semplicità perché molto simile a quella dell’acqua pubblica sopracitata: in entrambi i casi si sono tenuti due referendum popolari che hanno avuto come esito non la diserzione dalle urne, bensì il superamento del quorum. Quel 50+1% che fa tremare i propositi di qualsivoglia quesito referendario.

Le due questioni, quella delle scorie e quella dell’acqua, sono molto simili, se non addirittura speculari: in entrambi i casi si è tenuto un referendum che ha rappresentato un’importante affermazione della volontà popolare. In altre parole: il popolo ha deciso. Come non ricordare, infatti, le vicende tra il consorzio Acqualatina e Dondi: gli esiti della privatizzazione erano sotto gli occhi di tutti, così come i servizi erogati del tutto scadenti. Per usare un eufemismo.

Ma se c’è una cosa che accomuna le due questioni, quella del nucleare e quella dell’acqua pubblica, è il fatto per cui la volontà popolare viene assunta e tirata in ballo come tornaconto per un proprio fine, come grimaldello per una legittimazione forzosa per poter essere sventolata come arazzo davanti alla stampa. L’esempio più lampante è rappresentato dal famigerato 40% del Partito Democratico alle elezioni europee: 40% degli aventi diritto, non della totalità del corpo elettorale. Ma, in fondo, la strozzatura della post democrazia è anche questo: autolegittimarsi di fronte ad una mancanza palese di consenso e far passare il tutto come ampio successo.

Trenta Denari (di Andrìa Pili).

trantadenariI risultati delle elezioni sarde dello scorso 16 febbraio, probabilmente, avranno diverse conseguenze nefaste la cui portata si può – ora – solo ipotizzare, sperando che si minimizzi. Tuttavia, uno degli effetti già evidenti è il notevole progresso nel decennale tentativo di istituzionalizzare l’indipendentismo, l’unico movimento che può incanalare il disagio sociale sardo entro una soluzione rivoluzionaria: la creazione di una Repubblica indipendente di Sardegna. Questo tentativo, oggi, è sfociato nella creazione di una nuova forma di sardismo (o, per convenzione,  autonomismo militante – tenendo conto che, entro l’istituzione Regione Autonoma, ogni organizzazione politica è autonomista) assai più pericolosa della precedente, innanzitutto perché accompagnata da una orrida deriva etico-culturale.

Il riferimento è, ovviamente, alle organizzazioni iRS e Partito dei Sardi, le quali – grazie ad un’alleanza con il centrosinistra, ovvero alla compiacenza del Partito Democratico – sono riuscite ad ottenere tre seggi (rispettivamente una e due poltrone) nonostante un infimo risultato elettorale (0.82% per il primo e 2.66% il secondo). Gli uomini chiave di tali organizzazioni sono Gavino Sale e Franciscu Sedda, i quali furono anche – se non le principali – senz’altro le figure più conosciute e apprezzate dell’indipendentismo nel primo decennio del 2000. Le ragioni della loro alleanza con il centrosinistra unionista possono solo essere ipotizzate; tuttavia, che si sia trattato di una sincera manovra politica o di mero opportunismo, dato il ruolo che hanno esercitato nel passato, non cambia il fatto oggettivo: tradimento delle ragioni della nazione sarda.

Continuità e discontinuità con l’autonomismo storico
La novità di queste due partiti non sta nell’essersi alleati con partiti o coalizioni unioniste, al fine ufficiale di condizionarne le politiche in senso sardocentrico. Non sta neppure nel fare la medesima politica, autoproclamandosi “indipendentista” e, dunque, giustificando essa come una tattica gradualista verso l’indipendenza. Entrambe queste cose sono state già fatte dal Partito Sardo d’Azione, fin dall’inizio della Regione Autonoma; basti pensare che già il primo governo autonomista (1949-51) fu una giunta Democrazia Cristiana-PSd’Az. Ebbe la stessa composizione la giunta Alfredo Corrias (1954-55) ed Efisio Corrias (1958-65). I sardisti furono anche membri di alcune giunte di centrosinistra con PSI e PSDI (1965-67; 1973) e anche con il PCI (1980-82). Nel 1979 il PsdAz adottò una posizione indipendentista, mentre nel 1981 avvenne il cambiamento del primo articolo dello Statuto, sancendo la definitiva scelta indipendentista del partito. Tuttavia, essa non corrispose ad un cambiamento di azione politica, ma si rivelò una scelta efficace per rilanciare un partito in declino: se alle elezioni negli anni ’70 il Partito si era ridotto al 2-3% dei consensi elettorali, nel 1984 esso prese il 13.8% dei suffragi, diventando la terza forza politica con 12 consiglieri e la presidenza della Regione (Mario Melis). Tuttavia, la conseguente giunta di centrosinistra (1984-89) con PCI-PSI-PSDI  fu una prosecuzione della vecchia politica e non riuscì a consolidare il successo del partito fondato da Lussu, segnando invece la morte del vento sardista. Dal 1995 al 1997 il PsdAz fu nella giunta di centrosinistra presieduta da Palomba, mentre dal 2009 sostenne quella del centrodestra con Ugo Cappellacci, appoggiato da loro anche in questa tornata elettorale.

La storia dell’autonomismo ha pienamente dimostrato il fallimento della politica delle alleanze adottata da Sale e Sedda. In più, c’è da pensare che essi lo sappiano perfettamente, visto che abbandonarono Sardigna Natzione proprio in polemica con l’alleanza fra quest’ultima ed il PSdAz! Quindi, malgrado nessuno possa sapere con certezza i motivi che hanno condotto loro a tale scelta, la probabilità tende fortemente verso un’unica ragione: opportunismo. La scelta estrema di due individui prossimi alla morte politica (due indizi: l’ultima percentuale elettorale di iRS testimonia, oggettivamente, il crollo di consensi e di militanti del partito del consigliere sassarese; il semiologo Sedda, invece, era uscito da ProgReS – probabilmente assai scontento d’aver perso la posizione di dirigente a vita che aveva in iRS – ed aveva ultimato l’esperienza da presidente del comitato Fiocco Verde).

Tuttavia, mentre il PsdAz si è sempre ritenuto un soggetto politico autonomo tanto da non sentirsi vincolato ad una particolare alleanza (in sessant’anni di storia autonomistica, il sardismo è stato assieme all’unionismo di Centro, Sinistra e Destra ma anche con l’indipendentismo di Su Populu Sardu e Sardigna Natzione), iRS e PdS – specie il primo – hanno scelto esplicitamente il centrosinistra unionista come proprio naturale compagno di viaggio. Questo è ciò che distingue i “sovranisti” dal vecchio autonomismo; questa è la fase recente della istituzionalizzazione dell’indipendentismo da parte dell’unionismo. Possiamo comprendere ciò attraverso recenti dichiarazioni di Gavino Sale su stampa e televisione, secondo cui la presenza di “indipendentisti” in ambedue gli schieramenti unionisti di centrodestra e centrosinistra sarebbe il segno che – finalmente – l’indipendentismo si sarebbe evoluto in una parte di Destra ed una di Sinistra. Questo carattere “nuovo” – dal punto di vista indipendentista – lungi dall’essere un’evoluzione, è una involuzione. Ciò rende i due opportunisti – più che dei neoautonomisti – dei neounionisti o dei presardisti.

Ora, al governo con Pigliaru, contando anche i due seggi dei Rossomori – eredi dell’autonomismo passato – i “sovranisti” non hanno i numeri consiliari tali da assumersi dei meriti (la maggioranza di centrosinistra reggerebbe anche senza di loro). Il che significa che il centrosinistra unionista potrebbe assumersi il merito di ogni misura sardocentrica che sarà approvata (come l’Agenzia sarda delle Entrate), contribuendo a nascondere il conflitto, e che gli ex indipendentisti diverranno complici di ogni sua malefatta. Quello che viene, da essi, spacciato come un grande successo potrebbe, in realtà, ritorcersi contro di loro.

La deriva etico-culturale dei traditori Sale e Sedda
L’esecrabilità della scelta politica dei due ex indipendentisti sta innanzitutto qui: voler rendere l’indipendentismo un appendice dell’unionismo, nascondere il conflitto attraverso la partecipazione attiva nel sistema unionista, confondere le ragioni della Nazione sarda con quelle dello Stato italiano. Infine – come nella proverbiale notte ove tutte le vacche sono nere – porre sullo stesso piano chi tradisce la Sardegna con chi continua a perseguire una coerente lotta di liberazione nazionale. Dal punto di vista etico, non vi è errore peggiore del porre sullo stesso piano un comportamento giusto con uno sbagliato, un’azione buona con un’azione cattiva; giacché significa negare l’esistenza stessa di Bene e Male e quindi giustificare ogni atto, compresi i più vergognosi. Dal punto di vista logico, dato il principio di non contraddizione, ignorare la dicotomia o porsi una falsa dicotomia non può che condurre ad errori grossolani.

La Politica non è “l’arte del vivere insieme” od un luogo ove ogni posizione deprecabile deve essere tollerata in omaggio ad un malinteso senso del rispetto. La Politica è uno scontro fra opposti interessi, una lotta fra l’Emancipazione e l’Oppressione. Così come chi si ritrova in mezzo al mare non può rifiutarsi di nuotare- pena la morte per affogamento o il porsi in balia della corrente – così chi vive in una società, non può rifiutarsi di partecipare a questo scontro, pena il soccombere o il porsi in balia dell’oppressore. Per questo è necessario dotarsi di una dicotomia valida, al fine di elaborare azioni giuste per vincere questa lotta. Entro una Sardegna colonia, sottomessa alla Repubblica Italiana e vittima dell’imperialismo, l’unica dicotomia valida è: Nazione Sarda contro Stato Italiano. Ogni aspetto sociale va ricondotto entro questo schema: non si può stare con la Sardegna e con lo Stato contemporaneamente, che si sia coscienti o meno della propria posizione. Per questo chi si allea con i partiti unionisti sta con lo Stato italiano e, di conseguenza, è un nemico della Nazione Sarda.

Il punto forte della retorica dei partiti oggetto di questa analisi, è stato questo: portare l’indipendentismo al governo. Questo è quanto ogni indipendentista desidera; la spregevolezza della comunicazione di questi presardisti sta nel voler confondere fini e mezzi. Perciò, il fine non è più quello di abbattere la situazione di subalternità della nostra nazione ma diventa entrare nella Giunta o conquistare dei seggi in Consiglio. Per questo, un autentico indipendentista continuerà a vedere la presenza nelle istituzioni come un mezzo irrinunciabile e rifiuterà ogni alleanza con gli unionisti, cioè contro coloro che sono i nemici del fine ultimo; il “sovranista”, invece, non vede alcuna contraddizione nell’allearsi con i partiti italiani, giacché il fine è quello di ritagliarsi un proprio ruolo entro il sistema dominante. Non si capisce perché, inoltre, si debba fare lo Stato sardo con persone come Gianfranco Ganau o Francesco Pigliaru: a venir fuori, pure fosse possibile realizzare l’indipendenza con essi, sarebbe soltanto uno Stato sardo fantoccio utile a distribuire medaglie e privilegi a qualcuno, ma non a rompere i rapporti di forza che opprimono i sardi.

L’ultima giustificazione circolante riguarda la legge elettorale liberticida; ma l’alleanza tra iRS ed il centrosinistra non è stata figlia di questa, come tendenziosamente i dirigenti di tale partito vorrebbero far credere. Tutti sanno che tale pensiero era covato già da tempo – forse fin della implosione di iRS nel 2010 ma sicuramente da oltre un anno – quando si strinsero rapporti amichevoli con diversi esponenti del centrosinistra (Dadea, Lobina…) e si coniò il termine “sovranismo” per un residuo senso del pudore.

Un altro aspetto che mal si concilia con l’etica è il modo con cui iRS e PdS, durante la campagna elettorale, hanno palesemente mistificato la storia catalana e scozzese. Ultimo esempio è la surreale intervista a Maninchedda, su Videolina, nel giorno degli scrutini.  In particolare, il paragone più gettonato è stato con il partito Esquerra Republicana de Catalunya, cercando di far intendere che l’imminente indipendenza della nazione con l’estelada sia dovuta all’alleanza di governo fra questo e la sinistra unionista spagnola, tra il 2003 ed il 2010. La storia della Catalogna narrata da Sale e Sedda omette almeno quattro cose importanti:

1) Dalla proclamazione della Generalitat, nel 1980, ad oggi – escluso il governo di Sinistra tra il 2003 ed il 2010 – a governare è stata Convergencia i Uniò, questo è il nome attuale del catalanismo liberaldemocratico che, in circa 25 anni di governo, ha senz’altro inciso nella società catalana molto più di ERC, tenendo in mano l’esecutivo in solitudine.
2) Alle elezioni del 2003 – inizio del governo di centrosinistra – Esquerra prese il 16,44%, ma nelle successive consultazioni (2006) il partito crollò al 14%, perdendo oltre centomila voti. Alle elezioni del 2010 – al termine dell’esperienza di governo con il PSC – Esquerra prese solo il 7%, ritornando ai livelli di un decennio prima e perdendo circa 300000 voti rispetto al 2003.
3) ERC oggi ha appoggiato il governo nazionalista di CiU, che nella scorsa legislatura aveva indetto il referendum, da una posizione di forza (21 seggi, secondo partito catalano) ma senza CiU non ci sarebbe mai stata la Dichiarazione di Sovranità e nemmeno il referendum.
4) I successi della ERC attuale sono dovuti alla crescente avversione verso le politiche liberiste del governo di Artur Mas, non a quella alleanza con l’unionismo spagnolo.

Sostenere che l’alleanza ERC-PSC per il governo 2003-2010 sia l’artefice della prossima indipendenza catalana è solo una menzogna. Ma, forse, dire bugie al popolo sardo viene ritenuta cosa accettabile entro questa deriva etica.

Il Partito dei Sardi, inoltre, ama paragonarsi allo Scottish National Party. Forse non sanno che questo partito – pur essendo fin troppo moderato con l’unionismo – non ha mai partecipato a governi guidati da unionisti britannici e quando ha conquistato le redini dell’esecutivo, dal 2007 a oggi, ha sempre governato da solo. Siamo, quindi, di fronte ad un altro paragone errato e palesemente traviante.

Schiacciare l’infamia: l’indipendentismo sardo e internazionale di fronte ad opportunisti e traditori
Di fronte a questo vergognoso comportamento, le cui conseguenze rischiano di danneggiare il movimento di liberazione nazionale, è necessario che l’indipendentismo tutto predisponga manovre necessarie al fine di impedire la nascita, dal suo seno, di nuovi infami e stabilisca come affrontare quelli esistenti. Innanzitutto, occorre criticare aspramente il pensiero postmoderno – dominante culturalmente nei primi anni 2000 entro il cui pentolone, iRS, è nata – che porta al rifiuto di ogni verità assoluta e quindi di ogni modello razionale. Senza una solida base teorica, si è condotti verso azioni sbagliate e a non riconoscere più ciò che è vero da ciò che è falso. Se vi sono persone che – sinceramente – hanno seguito gli opportunisti Sale e Sedda la causa sta, in gran parte, in questo grave deficit formativo. Ragion per cui dovrebbe essere d’obbligo, per i movimenti indipendentisti, l’organizzazione di corsi volti ad una formazione politica, che permetta di fare subito il deserto attorno al personalismo e la possibilità di esprimere il proprio pensiero in appositi fogli di propaganda politica. Ogni militante dovrebbe sentirsi protagonista di un progresso culturale e formativo più ampio, un processo continuo, annullando ogni monopolio del pensiero. Un’idea giusta non appartiene a nessun stregone particolare, anche se ha una cattedra di semiotica.

Al di là della questione etico-culturale, il solo modo per impedire la nascita di nuovi personalismi è quello di massimizzare la democrazia interna e la partecipazione: revocabilità di ogni carica in qualsiasi momento; divieto di mandati consecutivi.

iRS e PdS devono essere trattati come un qualsiasi altro partito unionista: hanno scelto il loro campo, lo Stato italiano, e gli indipendentisti devono rompere ogni rapporto con essi, mettere in mostra la loro vera natura, mettendo in guardia il popolo sardo dai subdoli richiami di questi traditori al servizio dell’Oppressione. In più, occorre premere affinché i suddetti partiti siano isolati a livello internazionale dagli altri indipendentismi europei: la lotta per l’emancipazione nazionale di ogni popolo oppresso riguarda ogni popolo oppresso; la mancanza di appoggio, quando non la condanna esplicita, da parte dei movimenti nazionalisti di liberazione, aiuterebbe i veri indipendentisti sardi nello screditare l’opportunismo autonomista verso il popolo sardo.

La lotta per la liberazione della Nazione Sarda è una cosa seria. L’oppressione è reale, il conflitto con lo Stato preesiste alla nostra stessa nascita individuale. La militanza indipendentista è, quindi, un dovere etico quanto una necessità: ne va della nostra sopravvivenza come uomini e come comunità nazionale. Chi punta a ricomporre il conflitto o a nascondere esso, alleandosi con il nemico, merita l’esecrazione e sta già scrivendo la propria condanna storica. Noi indipendentisti coerenti non dobbiamo far altro che prenderne atto, oggettivamente. Perché non è una questione di opinioni o di scelte ugualmente rispettabili: Pintor, Cabras, Musso, Sisternes tradirono le ragioni della Sardegna, combattendo Angioy al fine di difendere i propri privilegi; Emilio Lussu tradì le ragioni della Sardegna, scegliendo lo Stato italiano, quando avrebbe potuto guidare i sardi all’indipendenza. Così vuole una narrazione sardocentrica della nostra storia nazionale, cioè – per noi – la Storia. Gavino Sale e Franciscu Sedda hanno scelto lo Stato italiano, tradendo le ragioni della Sardegna per salvare se stessi da una inesorabile morte politica. Perché mai la Storia dovrebbe giudicarli diversamente?

Andrìa Pili.

(pubblicato originariamente su http://scida.altervista.org/ )

– http://scida.altervista.org/trenta-denari/

Comunicato FIU. Indipendentismo: il punto sulla situazione

occupazione militare

Non c’è lotta contro l’occupazione militare senza lotta per l’indipendenza. La grande manifestazione di Capo Frasca ha dimostrato il carattere indipendentista della mobilitazione, almeno nella sua direzione. Fare un passo indietro rispetto a questo significa fare un grosso regalo allo Stato italiano e al suo esercito. La mobilitazione contro l’occupazione militare deve ovviamente restare aperta a tutte le istanze pacifiste, democratiche e di base anche se non esplicitamente indipendentiste, ma è necessario fare chiarezza su un punto fondamentale. Senza una chiara direzione indipendentista non è pensabile ottenere lo smantellamento dell’occupazione militare. Parlare di trasversalità e rimuovere il carattere indipendentista della mobilitazione significa automutilarsi e privarsi dello strumento più importante in questa battaglia contro lo Stato coloniale. Bisogna spiegare alla nostra gente che finché ci sarà l’Italia ci saranno i poligoni militari, lottare contro questi ultimi significa lottare per l’indipendenza.

Contro l’occupazione militare serve un progetto di governo della nazione sarda, quindi una prospettiva di convergenza indipendentista e nazionale sarda. La mistica delle manifestazioni o bagni di folla trasversali non è sufficiente per smantellare una presenza che evidentemente non è solo militare ma è anche politica e culturale. Serve creare un blocco storico che sia capace di proporre una alternativa di sistema alla presenza militare nella nostra isola. Serve una campagna paese per paese, porta a porta, capace di mobilitare ampie energie e serve soprattutto una rete di referenti territoriali che sappiano entrare nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle università, nei quartieri. Come è possibile ottenere tutto questo senza disporre di una rete politica organizzata ed operativa? Per questo motivo il Fronte Indipendentista Unidu aderisce e promuove la Rete Pesa Sardigna, frutto di un confronto democratico e paritario su questo tema, e di cui fanno parte indipendentisti e associazioni di base. Pesa Sardigna invita quindi tutte le forze antimilitariste ad aderire all’iniziativa in programma per il 29 ottobre prossimo a Lanusei.

È altamente inutile individuare nella Giunta Pigliaru un interlocutore potenziale per la risoluzione di questa vertenza. La posizione della Giunta è chiara e non lascia spazio ad ambiguità. Nel documento di Programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio scritto dal Centro Regionale di Programmazione e firmato 22 luglio 2014 viene affermato quanto segue: “non si può sottacere l’importanza delle infrastrutture, quali ad esempio i poligoni e gli aeroporti militari in Sardegna, per un armonioso sviluppo delle politiche industriali in materia di spazio a livello regionale”

(http://www.sardegnaprogrammazione.it/documenti/35_84_20140724090653.pdf)

Il Fronte Indipendentista Unidu aderirà a tutte le mobilitazioni, che chiaramente e senza ambiguità si schierino non soltanto contro l’occupazione militare della Sardegna, ma che siano anche finalizzate alla polarizzazione delle forze sane della Nazione Sarda e alla marginalizzazione e all’isolamento di chi ha oggettive complicità nel governo coloniale, sia attuale che trascorso.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene fondamentale e prioritario costituire un polo indipendentista aperto alla società civile e alle istanze di base capace di fare chiarezza. Detto questo, se la lotta indipendentista sta attraendo a sé individui e organizzazioni che in passato hanno militato in formazioni italiane, noi riteniamo che sia doveroso analizzare la coerenza e la trasparenza del loro avvicinamento all’indipendentismo. La gestione di questo processo storico e politico si presenta pressoché impossibile, attraverso grandi manifestazioni di popolo slegate da una visione politica indipendentista sul territorio. I lavori di Pesa Sardigna vedono una pratica paritaria tra le organizzazioni aderenti e una condivisione totale dei contenuti e delle decisioni organizzative sullo sviluppo della Rete stessa. Le tematiche che Pesa Sardigna porta avanti sono in totale rottura con l’apparato statale. I documenti e le posizioni espresse sono ineccepibili, sul processo di Quirra, sull’occupazione militare e sulla lotta di liberazione nazionale. Chi aderisce a Pesa Sardigna sposa una linea politica indipendentista che permea ogni battaglia che viene affrontata attualmente e che lo sarà in futuro. Asciugare dalle lotte di popolo dal carattere marcatamente indipendentista, significa ghettizzarsi. E’ un suicidio politico che implica un ritorno all’oscurantismo e alla stigmatizzazione dell’indipendentismo, a livello politico quanto intellettuale, fase dalla quale si è faticosamente usciti nel corso dell’ultimo decennio. O forse – a veder parlare di trasversalità e ad avere tanto a cuore far sparire la connotazione indipendentista dall’agire politico – c’è da chiedersi se questa fase sia tutto, tranne che superata.

Il Fronte Indipendentista Unidu ritiene prioritario concentrarsi sulla costruzione di una significativa mobilitazione in occasione della prima udienza al processo contro i generali del Poligono Interforze del Salto di Quirra, prevista il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei. Abbiamo molto chiaro il fatto che per l’Esercito italiano il poligono di Quirra sia irrinunciabile e che costituisca il vero interesse strategico su cui puntano l’Esercito, le multinazionali delle armi, lo Stato italiano e la stessa giunta Pigliaru. Per questo motivo rilanciamo con forza l’appuntamento, promosso dalla Rete Pesa Sardigna, per il 29 ottobre davanti al tribunale di Lanusei in occasione della prima udienza del processo Quirra.

TAR Sardegna e antincendio nei Poligoni. Nelle Colonie non è necessario.

occupazione militareE’ arrivata nel tardo pomeriggio di ieri la decisione del TAR Sardegna sul ricorso dell’avvocatura di Stato contro il decreto 271/2014. Parere favorevole verso il Ministero della Difesa al quale non è andata giù l’estensione delle prescrizioni regionali antincendio ai Poligoni militari nell’Isola.

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Indipendentismo è una parola pesante: il caso Veneto

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L’arresto dei 24 “eversivi” veneti sta incendiando il dibattito politico, con dichiarazioni e prese di posizione a dir spesso ambigue e approssimative. Le ennesime accuse di terrorismo da parte dello Stato italiano ad un insieme di personaggi piuttosto eterogeneo merita attenzione ed un discorso più approfondito.

La politica interna dello Stato italiano nell’ultimo decennio si è contraddistinta per aver visto l’etichetta di eversore o terrorista un po’ ovunque, come dimostra la durissima repressione subita dalla sinistra indipendentista in Sardegna negli anni 2000 e le accuse a suon di 270 e 270-bis su cui sono stati costruiti castelli accusatori privi di ogni ragione. O come dimostrano altre lotte sul territorio in svariate parti dell’Italia, dove si reprimono migliaia di attivisti che si difendono da speculazione e sfruttamento.

La presenza di una forte componente neofascista nella vita politica del Veneto non è una novità. Storicamente basti pensare ai collegamenti tra cellule neo-naziste veronesi e i servizi dello stesso Stato italiano che, dal canto suo, nei decenni scorsi ve(de)va ed utilizzava di buon grado il rigurgito nazifascista “come argine ad un’avanzata comunista”.

Ciò che oggi più occorre è fare chiarezza sul concetto di indipendentismo, considerando che tra le varie componenti indipendentiste venete esistono formazioni politiche riferibili ad un’area di sinistra, come il caso di SANCA, Sinistra Indipendentista Veneta o Unità Popolare Veneta.

Quindi il punto non è indipendenza: “sì o no”. Il punto è: indipendenza sì, ma come? In direzione di cosa? Generalmente un’opera di emancipazione sociale ha terreno fertile in un’area di sinistra in quanto la dominazione di uno Stato su una Nazione senza Stato, la colonizzazione, avviene attraverso meccanismi di sfruttamento capitalista e lo sfruttamento capitalista dispiega al meglio le proprie forze all’interno di una società fortemente corporativista.

La questione veneta si sta prestando ad una miriade di strumentalizzazioni e inesattezze. Le più comuni riguardano il recente referendum, basato sulla proposta di legge 342 del 2013 per l’indizione della consultazione la cui base giuridica principale è la Legge n. 340, del 1971. L’articolo 2 riconosce esplicitamente il diritto all’autogoverno del popolo veneto che “si attua in forme rispondenti alle caratteristiche e tradizioni della sua storia”.

Ritengo che l”indipendenza non sia un fatto casuale o un mero proclama, bensì l’affermazione di una posizione politica. La sua dichiarazione è il mezzo attraverso il quale un processo di emancipazione sociale riceve nuovo impulso – in modo da proseguire un’azione politica preparatoria e di visione per il raggiungimento dell’indipendenza –  e al contempo proattiva per il modello di società che attraverso l’indipendenza si vuole costruire, o meglio completare in quanto si è già inciso nella maturazione politica e sociale che alla dichiarazione stessa hanno condotto. L’indipendenza non è un evento deterministico, sarebbe troppo facile. L’indipendenza è un processo politico, con le sue ambiguità e i suoi tempi.

Di conseguenza, data la scarsità di informazioni, è necessario partire da posizioni politiche certe. Chi ha promosso, in sostanza, questo progetto di legge 342? L’importanza è cruciale anche alla luce dei trascorsi referendari per il popolo veneto. Nel 1866 il referendum riguardava la cessione del Veneto, dalla Francia al Regno d’Italia, da parte di Napoleone III. In seguito alle pressioni da parte dei Savoia affinché il Veneto fosse annesso, la regione fu controllata de facto ancor prima che si rispettasse la clausola napoleonica di consultazione delle popolazioni. La bontà di questo passaggio, cruciale nella storia veneta, porta con se molti dubbi, ad iniziare dai numeri: 646.789 sì; 69 no. Varie fonti obiettano un plebiscito organizzato con le truppe del Regno d’Italia già in pieno controllo delle fortezze militari e del Veneto tutto.

Concluso questo cenno storico, si nota come l’elenco dei “proponenti” del referendum odierno sia piuttosto nutrito: 16 consiglieri regionali su 60. Hanno sottoscritto la 342: Valdegamberi, Sandri, Corazzari, Caner, Cappon, Fineo, Furlanetto, Lazzarini, Possamai, Toscani, Ciambetti, Finozzi, Manzato, Tosato, Baggio e Conte. Finozzi e Manzato sono anche assessori regionali, rispettivamente, al Turismo e Commercio Estero e all’Agricoltura. Quasi tutti i firmatari fanno parte della Lega Nord, ad eccezione di Valdemberghi (UDC). Di fatto 15/20 del “consiglio leghista” hanno firmato a favore dell’indizione del referendum.

La Lega Nord, semplicemente, può essere annoverata tra partiti di stampo xenofobo e reazionario ma difficilmente può essere considerato un partito secessionista e tanto meno indipendentista. L’ultimo ventennio ha fornito sufficienti prove per cui non è il caso di dilungarsi sull’analizzare il “fenomeno Lega”.

Insomma, dal recente referendum non emerge alcun nuovo progetto politico, nessun exploit di formazioni minoritarie che si sono fatte strada forti della maturazione di un progetto politico territorio per territorio. Nulla di tutto ciò.

L’impressione è che nell’area indipendentista veneta la situazione sia ancora più intricata rispetto a quella sarda nella quale milito. La citata SANCA, ad esempio, esprime solidarietà a tutti gli arrestati, ma in particolare Franco Rocchetta, ex-Liga (una delle sei formazioni politiche dalle quali negli anni’ 80 nacque la Lega) e Riccardo Lovato, di Unità Popolare Veneta, organizzazione politica che ha l’obiettivo di creare una sintesi tra ideali socialisti, lotta per l’autodeterminazione dei territori veneti e difesa dell’identità nazionale del popolo veneto.

Da un certo punto di vista, si percepisce la malcelata intenzione di gettare discredito verso il concetto di indipendenza in sé; la popolazione si nutre di un’informazione che fa pane quotidiano del sensazionalismo e dello scarso approfondimento. Lo sciovinismo italiano ammorba ogni rivolo dell’informazione, dell’approfondimento politico e dell’istruzione, dagli asili alle università, svuotando di significato – e quindi appiattendo il dibattito conseguente – i concetti di autodeterminazione e indipendenza. A questo si aggiunge un voto clientelare diffuso in ogni ramo della pubblica amministrazione e del mercato del lavoro privato. A proposito di folklore e referendum, anche in Sardegna recentemente si è avuta una chiamata in 2.0 da parte del PSD’Az, da legislature oramai accodato a FI, Fratelli d’Italia, UDC e altri minori; più in generale, la tendenza è quella al travestimento di indipendentismo in periodo elettorale, in modo da tamponare l’emorragia di consensi per formazioni politiche italiane.

Quante volte si è imbonita la popolazione con la versione che vede gli indipendentisti, ancorché di destra o sinistra, soffiare sulle braci della crisi con finalità eversive e violente? La riattualizzazione del consenso in aree sotto la giurisdizione italiana avviene con questo meccanismo, ma al contrario; data la crisi e la disperazione, complice la disinformazione dilagante, personaggi già noti possono ammantarsi di “ideali indipendentisti” ripresentandosi in salsa identitaria. Per questo è bene ricordare che il Veneto sarà chiamato al voto regionale nella primavera del 2015.

Tornando al referendum, la 342 impone esplicitamente le operazioni di voto il giorno domenica 6 ottobre 2013 dalle ore 7.00 alle ore 22.00 con lo spoglio alla chiusura delle urne e la successiva comunicazione dei risultati all’ufficio competente della Corte d’Appello di Venezia.

Quanto è politicamente opportuno che tramite un voto on-line si possa procedere a dichiarare l’indipendenza di una Nazione? L’indipendenza di un popolo e la sua autodeterminazione rappresentano un processo socioeconomico che attraversa alcune fasi cruciali come, appunto, la proclamazione. Questo risulta essere un momento complesso e delicato, storicamente legato a circostanze rivoluzionarie; per non considerare poi la manovrabilità e la poca trasparenza relativa ai “milioni di votanti”: non si ha un numero ufficiale e varie fonti parlano di un numero di votanti compreso tra 100 e 200.000.

I politici del 2.0, forse, dovranno ricredersi sul reale campo di utilizzo di uno strumento come la rete, oramai assimilata demagogicamente ad un fine ultimo piuttosto che strumento complementare di attività politica sul territorio. Oltretutto, la 342 non prevede alcun voto on-line, a differenza di quanto accaduto con il referendum dal quesito: “Vuoi che il Veneto diventi una Repubblica indipendente e sovrana? Si o no?”

A complicare una vicenda quanto meno contorta si aggiunge il Corriere del Veneto che ha sollevato in un recente articolo più d’una perplessità.  “Il sito corrispondente all’indirizzo 54.83.13.17 registrato da Gianluca Busato a Klapparstigur 101 Reykjavik (Islanda) e con webserver ad Ashburn in Virginia, presso la società Amazon Technologies, registra nella settimana del referendum tra le 25 e le 30 mila visite al giorno, dato che supera di poco le centomila visite totali riferite dagli altri due contatori” – scrive Alessio Antonini.

In un modo o nell’altro, la Lega e le sue ambiguità si trovano nuovamente al centro di equilibri politici italiani, come altrettanto ambigua è la figura di Busato, l’ex Lega Nord che nell’ultimo decennio ha dato vita a svariate organizzazioni politiche.

In queste acque torbide allo Stato italiano non manca il pugno duro verso le istanze indipendentiste in Italia e in Europa, con il Prefetto Carlo De Stefano, presidente della Fondazione ICSA (Intelligence Culture and Strategic Analysis) che addirittura chiede mappature e controlli con modalità nuove, un po’ come ai tempi del defunto Manganelli che in Parlamento parlava di avanzante insurrezionalismo e Pisanu con il suo teorema sull’eversione sarda.

Di nuovo, per l’ennesima volta, al di là della struttura di un progetto politico, delle sue posizioni, degli obiettivi a breve e lungo termine, lo Stato italiano ottiene un gran risultato: far coincidere nell’immaginario collettivo “indipendentismo” con “folclore” o, all’opposto, con “terrorismo”. In ogni caso, da evitare.

Non sarebbe la prima volta.

La Rete Pesa Sardigna sul rinvio della prima udienza del processo di Quirra.

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La Rete Pesa Sardigna prende atto dello spostamento della prima udienza del processo per disastro ambientale a carico di alcuni generali dell’Esercito Italiano che hanno diretto nel passato il Poligono Interforze del Salto di Quirra.

L’udienza è quindi fissata per il 29 ottobre e noi saremo davanti al Tribunale di Lanusei ad esigere con voce ferma verità e giustizia per le vittime del poligono.

La Rete Pesa Sardigna crede che l’occupazione militare della nostra isola possa essere smantellata soltanto da una forte e decisa leva popolare. La Rete Pesa Sardigna è aperta a tutti i sardi che si riconoscono nella rivendicazione minima dei seguenti diritti:

Chiusura immediata e senza condizioni dei tre poligoni di Capo Frasca, Capo Teulada e Quirra.

Bonifica dei territori a terra e a mare a spese dello Stato italiano.

Ogni passo indietro rispetto a questa piattaforma minima costituisce una offesa alla dignità di un popolo stanco e un abuso insopportabile alla sua proverbiale pazienza.

La Rete Pesa Sardigna chiama dunque i sardi davanti al tribunale di Lanusei il 29 ottobre alle ore 9:30. Saremo presenti in maniera significativa per lanciare un segnale forte e chiaro: è maturo il tempo per liberare la nostra terra dall’occupazione militare e per costruire un futuro di prosperità e libertà!

L’Afghanistan agli afghani.

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Qualche settimana fa ricevetti una proposta di “collaborazione politica” da anonimi. Con anonimi intendo proprio anonimi, non nel senso che qualcuno, persone incappucciate, è venuto a casa per propormi qualche insurrezione. No, assolutamente. Anonimi nel senso che nel reale non esistono, sino a prova contraria. Considerando che con i collaborazionisti non vado molto d’accordo, immaginiamo la simpatia per gli anonimi.

Battute a parte. Chi un minimo si impegna in politica, impegnandosi e non specchiandosi, sa cosa si può nascondere dietro l’anonimato. L’anonimato e “la Rete”, quei retaggi-novità della politica italiana che nei fatti negano la democrazia ed esaltano da sempre i metodi al limite del para-mafioso. Fareste mai entrare a casa vostra qualcuno che ha la pretesa di non presentarsi sulla soglia di casa? Cazzo, in confronto almeno i piazzisti si presentano; la Politica è un’altra cosa. Non è puro marketing e suggestione, per lo meno non per me.

Insomma, in qualche occasione, con elementi del genere, sono capitati brevi episodi da riderci sopra, nulla di importante, sfuriate e complimenti. Poi di nuovo sfuriate nel momento in cui si constata che i ruffiani mi stanno sul cazzo. Momenti di schizofrenia, momenti in stile: sei bravo se stai con me, in tutti gli altri casi sei una merda. E giù di lezioncine di filosofia politica e cultura amministrativa inframmezzate dalle urla, dalle sceneggiate e immancabile, nel fantastico mondo della Rete, il copia e incolla. Il massimo della dialettica è: leggiti questo. E metti un documento a caso, con presunzione a palate. Beh, niente male.

A proposito di urla, una cosa che odio: il maiuscolo. Chi scrive in modo sguaiato lo fa per dare un tono a ciò che dice. Significa che non è riuscito a trasmettere il suo pensiero e con un paio di aggettivi e/o sostantivi e/o verbi urlati ritiene possa trasmettere un significato. Oppure più semplicemente non ha molto da dire che possa avere una qualche logica. In questi casi è utile lo studio e la pratica, la pratica e lo studio. Null’altro. E anche un po’ di educazione.

Mi è stato persino detto che io parlavo e parlo in questo modo perché “mi potevano dare fastidio”. Cioè, per intenderci, a mia insaputa ero già in competizione con qualcuno. Ero in competizione con un profilo anonimo. Questa, tecnicamente, è una presa per il culo.

Vorrei solo precisare a lor signori e/o signore che a me ciò che dà fastidio è la superficialità e il torbido (generalmente vanno di pari passo). Ma c’è di peggio. Odio la superficialità sull’Indipendentismo e la politica della Nazione sarda. Questo non lo sopporto, ma riesco a sopportarlo senza insulti, urla o follie di vario genere. Perché? Perché tengo bene a mente con chi sto scrivendo, di conseguenza tengo ben presente cosa non vorrei essere e come non vorrei vedermi comportare.  Soprattutto so che se mandassi a cagare tutti quelli che dicono stronzate sulla politica sarda e la nostra società non ci sarebbe alcuna Indipendenza. Non ci sarebbero delle condizioni indispensabili, stereotipi e luoghi comuni italianisti troverebbero nuovo vigore. Rimarco comunque che spesso, come nello specifico arrivare “all’anonimato organizzato”, non insultare è veramente difficile e in teoria è sbagliato. Che male c’è ad insultare una pagina virtuale? Nel mondo reale chi potrà mai denunciarmi? Il titolare del dominio la cui pagina beneficerà anche, ne sono consapevole, da questo mio articolo? Magari fosse un esperimento sociale controllato, ma davvero.

Ora, considerando questi elementi, e sono molti altri gli aspetti interessanti, ciò che rimane da questa parentesi è una coincidenza. La manifestazione del 13 a Capo Frasca coincide casualmente con la data in cui si sarebbe tenuta la conferenza stampa annunciata penso ai primi di luglio (sic). Ricordo un attacco becero, non verso me come persona, ma verso l’Indipendentismo, il che è peggio. Io “la meno con questa storia dello Stato occupatore italiano“. Dovevo occuparmi di altro, che quelle sono cose poco importanti, che non sono problemi.  Il classico mezzuccio di far passare un indipendentista come scemo, colorito, folcloristico. Nulla più.

Bene, ribadisco, è uno Stato occupante e queste non sono come le chiamate voi, italiani di Sardegna, “menate”. Di quell’occupazione militare la gente ci muore, sappiatelo. Prima di portare il wi-fi gratis a 15 mila persone che in gran parte lo hanno già, preoccupatevi anche delle leucemie dei bambini e di svariati altri accidenti. E queste cose non capitano nel virtuale, sono reali, realissime. Quindi siate seri.

Come da tanti, spero tanti, preventivato (altrimenti significherebbe che molta gente aveva dato credito ad anonimi) il 13 non ci sarà alcuna rivelazione politica e non mi perderò nulla. Bello così, eh. Comodo il virtual-attivismo!

Li ciavani ci li bola lu entu.