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Covid-19, Sardegna: santi e soldati piegheranno le curve?

Covid-19, Sardegna: santi e soldati piegheranno le curve?

La diffusione dell’epidemia Covid-19 nel mondo, dall’11 marzo considerata Pandemia dall’OMS, registra 280.000 contagiati e circa 11.500 decessi. La maggior parte di questi come noto si conta in Cina (ex focolaio di Wuhan-Hubei) con più di 3.000 morti e nel nord-Italia con oltre 4.000 morti, di cui quasi due terzi in Lombardia. Nel complesso, su quasi 207.000 test eseguiti in Italia i positivi sono 47.021 mentre gli attivi 37.800. Dai casi positivi vanno infatti sottratti i decessi e 5.129 guariti. I ricoverati in terapia intensiva sono al momento 2.655.

Solo ieri si sono contati 627 decessi e la distribuzione del Covid-19 nel focolaio italiano assume un andamento pericolosamente verticale. Per avere un’idea indicativa, il numero di morti della sola giornata del 20 marzo è pari a tutti i decessi registrati dal 24 febbraio al 10 marzo (631).

Mentre medici ed esperti – o presunti tali – continuano irresponsabilmente a rilasciare dichiarazioni del tutto fuorvianti sulla pandemia, sull’aggressività del virus ai polmoni e su raffronti con anni precedenti, è del tutto confermata la previsione di Giorgio Parisi che due settimane fa parlava chiaramente del rischio di conteggiare in Italia molti più morti rispetto al focolaio cinese e, in assenza di misure drastiche, “bruciare” il vantaggio di 37 giorni rispetto all’andamento della curva di Wuhan.

In questo weekend arriverà in Italia personale medico specializzato da Cuba mentre in Lombardia è operativo da giovedì un team cinese. Durante la conferenza stampa di giovedì introdotto dal presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, ha parlato Sun Shuopeng, vicepresidente Croce Rossa Cinese. Il gruppo di esperti cinesi ha rimarcato le misure di contenimento troppo blande, lo scarso o improprio uso di mascherine e l’ancora eccessivo traffico riscontrato a Milano.

Non meno pericolosa la situazione a livello prettamente economico dove si segnala negli ultimi giorni la querelle sull’ipotesi “click day” per i 600 euro a beneficio dei lavoratori autonomi. Una sorta di procedura a sportello come per i bandi pubblici che ha contribuito ad esasperare la situazione in seguito alla pubblicazione del decreto “Cura Italia”. Una valanga di critiche al presidente dell’INPS, Pasquale Tridico, e al governo. L’ipotesi è stata ritirata nel giro di un paio di giorni.

Negli articoli precedenti si era dato conto, tra i tanti, dello sviluppo dell’attività di monitoraggio e previsione da parte di alcuni giovani ricercatori. Al progetto avviato dal tempiese Luigi Giuseppe Atzeni e dal collega Vincenzo Nardelli si sono in breve unite numerose altre competenze e il lavoro viene ampliato e affinato di giorno in giorno. È stato diffuso anche un breve Manifesto intitolato “La conoscenza ci difende dalla paura”. Nel link al progetto sono disponibili numerosi collegamenti a biografia specializzata, database e altre informazioni utili. Questo il link al progetto CoVstat https://covstat.it/

Nel frattempo in Sardegna lo scenario appare in netto peggioramento con una situazione più unica che rara. Da questo sito si era fatto appello a concentrare da subito l’attenzione sulla sicurezza del personale medico ed ospedaliero che avrebbe dovuto trattare la diffusione del Covid-19, anche alla luce delle condizioni di base del sistema sanitario sardo. I contagiati in Sardegna al 20 marzo sono 293 (su 1.912 test eseguiti), un incremento di oltre 80 casi nelle ultime 24 ore. Sono 2 al momento i decessi e 15 i casi in terapia intensiva (+6 rispetto al giorno precedente). A questi si aggiungono altri due decessi di sardi emigrati e inclusi nel dato italiano. Quasi tre contagi su quattro sono quindi registrati in provincia di Sassari e, complessivamente, circa il 50% dei contagiati è riconducibile a personale medico e sanitario. Un dato clamoroso che non ha pari nelle Regioni italiane, in Cina e, per quanto informazioni e dati siano parziali, non risultano situazioni raffrontabili in tutta Europa.

La solidarietà della popolazione sarda non è stata mai in discussione e sono numerose le iniziative che nascono ogni giorno. Da imprenditori e lavoratori che producono o donano decine di migliaia di mascherine a raccolte fondi e donazioni di varia natura che coinvolgono trasversalmente tutta l’Isola. Non c’erano dubbi su questo ma è intuibile non sia sufficiente né tantomeno sostenibile.

L’assessore alla Sanità della Regione Autonoma della Sardegna, Mario Nieddu, ha sminuito pericolosamente la diffusione del contagio negli ospedali con un “ci può stare” che ha raggelato il personale impegnato in prima linea e generato forti polemiche e inquietudine nella popolazione che nei nosocomi potrebbe dover andare per Covid-19 o per cure ad altre patologie non posticipabili.

Il governatore Christian Solinas, dopo i maldestri appelli al sentimento religioso popolare, ha chiesto ufficialmente allo Stato italiano l’intervento della Brigata Sassari per la gestione dell’emergenza Covid-19 in Sardegna. Non è dato sapere come questo ipotetico impiego di militari si dovrebbe inserire nella strategia della Ras e nel relativo Piano straordinario Codiv-19 approvato dalla Giunta meno di due settimane fa. Non è chiaro in cosa dovrebbero essere impiegati i militari e quale utilità concreta abbiano, se non – come denunciato da A Foras in un comunicato – “deviare l’attenzione da quelli che sono i reali e gravi problemi che sta incontrando il sistema sanitario sardo”.

Al di là delle retoriche militari e credenze personali di ognuno, è del tutto evidente che santi e soldati non incideranno sulla pericolosa pendenza che l’andamento del Covid-19 sta assumendo e non riusciranno a ridurre il tasso di contagio nei nosocomi isolani o doteranno di adeguate protezioni tutto il personale medico ed ospedaliero impegnato in una dura battaglia scientifica, civile ed organizzativa e non certo militare.

Tempio, Scuola dell’infanzia: recita di fine anno militarizzata con “Dimonios” (audio)

Scatto dalla mostra documentaria “Educati alla guerra. Nazionalizzazione e militarizzazione dell’infanzia nella prima metà del Novecento“, a cura di Gianluca Gabrielli.

Tempio, Scuola dell’infanzia: recita di fine anno militarizzata con “Dimonios” (audio) Continua la lettura di Tempio, Scuola dell’infanzia: recita di fine anno militarizzata con “Dimonios” (audio)

Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida). Quarta parte: Antistoria della “Brigata Ascari”.

 borntokillita3Antistoria della “Brigata Ascari”

 “La Sardegna è un ottimo materiale da guerra: dà alla guerra l’uomo dal cuor di leone ed il ferro per i cannoni”

(Pasquale Manca, milite della Brigata Sassari, 1914)

Chi è un ascaro? Con questo termine – derivante dall’arabo῾askarī, soldato – si indicavano gli autoctoni dell’Africa Orientale, raggruppati entro truppe coloniali al servizio dell’esercito italiano occupante. Gli ascari sono uno dei numerosi esempi storici di corpi coloniali, formati da membri della nazione occupata. Si possono citare i sepoy, indiani al servizio degli inglesi; gli zuavi, algerini al seguito dell’esercito francese. Nella colonia Sardegna, la Brigata Sassari ha rivestito l’equivalente storico di tale fenomeno.

Mentre in qualche nazione colonizzata (vedi la guerra d’indipendenza indiana del 1857, sorta da un ammutinamento delle truppe indigene o la guerra di liberazione algerina, tra i cui capi – come Ahmed Ben Bella – vi furono ex soldati del Corpo di Spedizione Francese in Italia, composto per lo più da nordafricani, durante la seconda guerra mondiale) la creazione di un tale raggruppamento ebbe un effetto progressivo, nella nostra isola esso fu un fortissimo strumento di unione, colonizzazione mentale dei sardi, attraverso l’identificazione indotta nella Brigata ed il suo “tributo” di sangue.

La mistificazione della storia della brigata tatarina va allo stesso ritmo della narrazione storica propagandistica italiana. Quest’ultima, raccontando il suo Novecento, ha agito su due fronti: l’eroismo dei soldati della Prima Guerra Mondiale; il vittimismo dei soldati che hanno preso parte al secondo conflitto. Nel primo caso, si è puntato ad esaltare le imprese che consentissero di coprire la triste verità: migliaia di contadini e pastori spediti in trincea, al fine di portare l’Italia – quindi i suoi capitalisti – fra le grandi potenze imperialiste, fra le angherie degli ufficiali e costretti a scegliere se farsi trucidare dagli austriaci o farsi uccidere dai carabinieri; giovani nazionalisti esaltati e plagiati che finiranno per alimentare le file del movimento fascista. In Sardegna, contadini e pastori avevano ben altro cui pensare che alle “terre irredente” o all’arciduca Ferdinando ed ai grandi giochi imperialisti. Nei primi del Novecento, il mondo agropastorale sardo fu sconvolto per la soddisfazione delle esigenze del mercato: l’industria casearia italiana giunse nell’isola, imponendo i nuovi ritmi produttivistici capitalisti, con l’espansione dell’ovino e dei pascoli a danno dei contadini e degli stessi pastori, costretti a pagare affitti esorbitanti, privi di potere contrattuale nei confronti dei printzipales ed esposti all’usura. Nel 1913 le masse si sollevarono in diversi comuni, per chiedere misure speciali contro il crollo delle produzioni agricole, la siccità, la moria di bestiame, il rialzo del costo della vita. Nel 1914, 6000 operai furono licenziati dalle miniere iglesienti, vista della rottura dei contatti con i proprietari dovuta allo scoppio del conflitto. Nel 1915, nuove mobilitazioni popolari contro fame e disoccupazione. Tutto il contrario di una presunta volontà di combattere, al fine di integrarsi nell’Italia. La risposta del Regno fu la guerra: 98000 mobilitati, 17000 morti e dispersi (1754 caduti nella Brigata Sassari, su 6000 effettivi). Al ritorno a casa, oltre a trovare una situazione peggiore di prima, i soldati furono anche traditi dai propri dirigenti più maturi (i padri del sardismo), che invece di catalizzare la rabbia popolare verso la lotta di liberazione, decisero di portarlo nell’alveo del nazionalismo italiano. Non sappiamo, infine, se – per i soldati caduti in battaglia – siano state peggiori le baionette austriache o i deliranti proclami che vengono declamati in loro “onore” da uomini politici mediocri, in nome della dipendenza della nostra nazione. Per quanto concerne la Seconda, si punta sul descrivere i soldati italici come delle vittime di una dittatura che si lasciò coinvolgere in un conflitto privo di senso; a questo proposito, si è praticato un duro taglio strumentale alla narrazione degli eventi: ampio spazio dato alle “gesta” dell’esercito italiano in Africa ed in Russia – il quale, secondo la vulgata filoitaliana, avrebbe dato prova di eroismo nonostante le difficoltà e l’infido alleato tedesco, come ad El Alamein; quasi oblio, invece, riguardo le vicende delle forze armate italiane in Iugoslavia, nonostante in essa fosse occupato ben 1/3 dell’intero schieramento mussoliniano. Evidentemente, è stato molto difficile trovare tracce di nobiltà in quel fronte, ove gli italiani furono attivi quanto i nazisti nel rastrellare le popolazioni, creare campi di concentramento, devastare centinaia di villaggi combattere i patrioti slavi. Molto meglio rimuovere. E la Brigata Sassari?

La letteratura trabocca di racconti sui reggimenti dei “Dimonios” sul Carso. Grazie a quanto hanno scritto Gramsci, Lussu e Bellieni abbiamo una minima conoscenza del fatto che la Brigata Sassari sia stata impiegata – durante il Biennio Rosso- per “operazioni di ordine pubblico”, ovvero per reprimere gli operai in rivolta e proteggere la proprietà. Sappiamo che i due leader del sardismo chiesero lo scioglimento della Brigata, piuttosto che vederla partecipare ad atti ignominiosi; tramite il grande pensatore di Ales, invece, abbiamo conosciuto il malinteso senso di identità sarda dei soldati della Sassari, un raggruppamento “etnico” forgiato dal dominatore per dirigerlo verso i suoi interessi. Ci racconta l’intellettuale marxista che i tatarini erano ingenuamente convinti di svolgere un’azione meritoria poiché, in quanto sardi, vedevano negli operai torinesi dei nemici, proprio in quanto “piemontesi”. Esattamente come hanno fatto i paesi imperialisti nelle proprie colonie: al fine di assicurarsi la fedeltà di colonizzati, giudicati infidi ma allo stesso tempo come forieri di una ferocia degna di essere catalizzata, si rende necessario creare dei reggimenti su base etnica. Così, gli italiani hanno esaltato la carne da cannone sarda come gli inglesi hanno esaltato il valore dei propri Gurkha (“bravest of the brave, most generous of the generous”, nepalesi inquadrati nell’esercito britannico) o i francesi hanno esaltato i tiratori algerini o gli zuavi (è celebre il monumento in onore agli zuavi combattenti in Crimea, ad opera di Georges Diebolt).

Ma se i nostri studenti, oltre le gesta di Lussu e compagni, conoscessero pure la vicenda della Brigata Sassari in Iugoslavia (detta, dal 1939 “Divisione Sassari”, poiché agli storici 151° e 152° Reggimento si era aggiunto il 34° Reggimento artiglieria) si identificherebbero ugualmente con essi? Ne dubitiamo fortemente.

Abbiamo preso una donna prigioniera (…) Ci siamo accorti che era incinta, forse di sette-otto mesi. (…) Se dici ‘viva Mussolini’ ti perdoniamo e ti lasciamo andare” le abbiamo detto. Non siamo riusciti a convincerla. “Zivio Stalin, viva Stalin” urlava. Ho provato un sacco di volte a convincerla, ma lei niente. Quando ha gridato di nuovo “Zivio Stalin” le ho sparato un colpo in testa.”

“Un giorno abbiamo preso prigioniero un uomo di 70-80 anni, un vecchio che capeggiava una banda di comunisti (…) In un paio l’abbiamo preso, gli abbiamo fatto scavare la fossa e lo abbiamo ucciso.”

Una volta abbiamo scoperto una donna che aveva nascosto una pistola, infilando la canna nelle parti intime. (…) Abbiamo sequestrato la pistola e l’abbiamo presa a calci.”

(Gesuino Cauli – fante della Divisione Sassari, 152° reggimento, II battaglione, 6^ compagnia)

“L’episodio più brutto che io rammento è quello della distruzione di un paese di 450 abitanti. Non ricordo il nome di quella località sperduta fra le montagne. L’ordine di radere al suolo era stato dato perché tutti i partigiani di quella zona erano di quel paese. Abbiamo circondato il paese. Due squadre sono rimaste di copertura e altre due sono scese. I soldati mettevano i mobili sopra il letto e poi incendiavano il materasso. La casa, con questo sistema, bruciava come un cerino.”

All’imbrunire abbiamo sentito fruscio di foglie di granturco, un rumore di gente che si spostava in direzione delle mitragliatrici. “Dagli una raffica” ho ordinato al mitragliere (…) Non si è sentito più niente per tutta la notte. Al mattino abbiamo perlustrato la zona e abbiamo trovato una donna molto vecchia, uccisa dalla raffica della mitragliatrice.”

Una volta ho dovuto preparare il Plotone di esecuzione. C’era un partigiano che aveva detto “macaco” all’ufficiale italiano che lo interrogava. Per quella imprecazione è stata ordinata la fucilazione.”

(Lazzaro Piras – Sergente Maggiore della Div.Sassari, 152° reg, II batt, 8^compagnia)

“Ci sparavano addosso da una collinetta e non riuscivamo a individuare da che parte arrivassero i colpi. (…) Il giorno dopo abbiamo dato la risposta ai partigiani. Siamo tornati su quella collinetta e abbiamo raso al suolo tutte le case a colpi di mortaio.”

(Antonio Cappai- Fante scelto della Div. Sassari, 152°reg, II batt, 7^compagnia- Plotone Arditi)

Non c’è traccia degli “intrepidi sardi” sull’Altipiano carsico, ne di eroi, ma solo di meri e vigliacchi esecutori – al servizio dello Stato italiano e dell’esercito tedesco – scagliati non contro un altro esercito regolare bensì contro un autentico popolo in armi, che lottava strenuamente contro l’occupante nazifascista tanto da sapersi liberare senza l’intervento di eserciti stranieri. E gli ascari sardi stavano lì a rastrellare le città (Sebenico, Knin, Brod, Gracac, Petrovac, località della Croazia e della Dalmazia) a combattere i patrioti, a compiere crudeltà contro la popolazione.

Con l’armistizio dell’8 settembre, e dopo la difesa di Roma dall’invasione tedesca, la Divisione Sassari viene sciolta per essere ricostruita soltanto nel 1988, con la denominazione di “Brigata” ad evocazione diretta della Grande Guerra. Impossibile, non pensare ad un’operazione propagandistica in un’isola che – in quegli anni – stava impensierendo lo Stato con il “vento sardista” ed il presunto “complotto separatista”. Era necessario re-inventare un legame forte e diretto tra l’Italia e la Sardegna, in nome del “sangue versato”. Così la Brigata Ascari ha preso parte a diverse missioni – senza mai incontrare gli interessi della nazione sarda – partecipando, infine, all’occupazione dell’Iraq e a quella dell’Afghanistan, in nome di interessi americani ed italiani, cui potremmo aggiungere quelli di qualche giovanotto male indottrinato e dotato di una scala dei valori piuttosto distorta.

RIFERIMENTI ESSENZIALI

La guerra dimenticata della Brigata Sassari: La campagna di Iugoslavia 1941-1943. Francesco Fatutta, Paolo Vacca, (EDES, 1994)

http://scida.altervista.org/vogliamo-la-scuola-sarda-non-militari-italiani/#4

Tempiu Pausania. Brigata Sassari, cittadinànzia d’onori e vinirazioni militari. Vicesindacu contr’ a tutti

brigata-sassari-tempioGhjói passatu lu cunsiddu comunali di Tempiu Pausania ha ufficializzatu la cittadinànzia d’onori a li fanti di la Brigata Sassari (152° regghjimentu). V’era d’aspittassillu propriu ill’annu di lu centenariu di chista palti di l’esercitu italianu. Tutti cuncoldi, tranne unu. La cuntrarietai è pisuta, pa l’algumentu e pa lu fattu chi lu cuntrariu è lu Vicesindacu di Tempiu e assessori a Politichi Soziali, Gianni Monteduro. Lu cuntrastu in cunsiddu è statu folti e prima di l’intelventu di Monteduro, chi spieghendini li rasgioni impruntà comu haria ‘uttatu, v’era ca s’era punendi lu paltó e dagghjìa pa scioltu lu cunsiddu. In pratica, una formalitai. Da chissu momentu in poi l’intalventi hani fattu idè una bedda cantitai di patriottismo italianu chi s’è spintu finz’a all’attitudini etnichi alla gherra di li Saldi pa la palticulari rialtài socioeconomica di alléu e trabaddu di la tàrra.

Li rasgioni di Monteduro s’ho abbastanzia cunnisciuti comu altettantu lu so l’imprési più che centenari di l’esercitu italianu in Saldigna, Italia e in ghjru pa lu mundu. Rasgioni di tipu educativu, pa lu bè di li stéddi di Saldigna chi no dechini smannà in mezu a autoritarismu, sciovinismu italianu e, pa contu di chisti, una Storia altarata innariendi “valori” chi poltarani nudda di bonu alla suzietai di dumani.

No è la prima ‘olta chi Monteduro pìdda pusizioni di chista pultata. Dui anni fa, illa matessi manera, cu educazioni e algumenti, s’è oppostu all’esercitazioni di la Brigata Sassari illa Pischinaccia e a tuttu lu chi in chisti casi sighi, come lizioni illi scoli da palti di suldati o li steddhi matessi accumpagnati da li mastri chi imparani comu si priparani li campi militàri a Herat e, magari, comu si poltani addananzi in pochi ciurrati li bunìfichi di Teulada, dapoi di bumbaldamenti chi sighini da cincant’anni.

Illa ciurrata di ‘ènnari in Tempiu vi sarani cussì li cilibrazioni e preocuppigghja no pocu – in tempu di disoccupazioni, emigrazioni e gherri in tuttu lu mundu – l’auguriu chi a chista vinirazioni di li sassarini sighia un’impegnu custanti 365 dì a l’annu pa la cittài (Gianni Addis). Oppuru lu Sindacu Frediani chi è cunvintu chi celti paréri so “chistioni passunali” e, pa chistu, no si doariani rifirì. La chistioni, inveci, è propriu politica, scientifica e storica: lu cunsiddu comunali è, o doaria esse, un locu politicu.

Di signalà chi, puru si a mezu stampa, un altu cunsidderi di minurìa, Tato Usai, agghjà finza che dumandatu li dimissioni di lu Vicensindacu. Pa una ‘olta, sindacu e magghjurìa di guvelnu hani  autu l’ala manna di la minurìa timpiesa: li dui palti erani ‘uniti comu no mai. Miràculi di l’esercitu italianu e dìlla pruppaganda elettorali ch’è, si po dì, intrata illu ‘iu.

Tempio Pausania. Brigata Sassari, cittadinanza onoraria e venerazioni militari. Vicesindaco contro tutti.

Giovedì scorso il consiglio comunale di Tempio Pausania ha ufficializzato la cittadinanza onoraria alla fanteria della Brigata Sassari (152° reggimento). Era prevedibile proprio nell’anno del centenario di tale parte dell’esercito italiano. Tutti concordi, eccetto uno. La contrarietà è pesante, per l’argomento e per il fatto che la stessa viene espressa dal Vicesindaco di Tempio e assessore alle Politiche Sociali, Gianni Monteduro. La discussione in consiglio è stata forte e prima dell’intervento di Monteduro c’era chi indossava il cappotto e dava per sciolto il consiglio. In pratica, una formalità.

Da quel momento in poi gli interventi hanno mostrato una bella dose di patriottismo italiano che si è spinto sino alle attitudini etniche alla guerra dei Sardi, dovute alla particolare realtà socioeconomica agropastorale.

Le ragioni di Monteduro sono piuttosto note come altrettanto lo sono le gesta più che centenarie dell’esercito italiano in Sardegna, Italia e in giro per il mondo. Ragioni di tipo educativo, per il bene dei bambini che non crescano tra autoritarismo, sciovinismo italiano e, per conto di questi, una Storia mistificata dall’esaltazione di “valori” che porteranno nulla di buono alla società di domani.

Non è la prima volta che Monteduro esprime posizioni simili. Due anni fa, nello stesso modo, con educazione e argomenti, si è opposto alle esercitazione della Brigata Sassari in zona La Pischinaccia e a tutto ciò che in questi casi consegue, come le lezioni dei militari ai ragazzi o questi ultimi che con i loro maestri apprendono come realizzare campi militari a Herat o, magari, come portare avanti in poche giornate bonifiche nei Poligoni militari in Sardegna, dopo bombardamenti che proseguono da cinquant’anni.

Nella giornata di venerdì a Tempio si terranno così le celebrazioni  e preoccupano non poco – in tempo di disoccupazione, emigrazione e guerre ovunque nel mondo – gli auspici che alla venerazione dei sassarini segua un impegno in tal senso 365 giorni all’anno per la città (Gianni Addis). Oppure il sindaco Frediani che è convinto si tratti di “questioni personali” e, in quanto tali, non si dovrebbero esternare.

La questione, invece, è proprio politica, scientifica e storica; il consiglio comunale è, o dovrebbe essere, un luogo politico. Da segnalare che, seppur a mezzo stampa, un altro consigliere di minoranza, Tato Usai, ha persino chiesto le dimissioni del Vicesindaco.

Per una volta, sindaco e maggioranza di governo hanno registrato un appoggio convinto dalla minoranza: le due parti erano unite come non mai. Miracoli dell’esercito italiano e della propaganda elettorale che, si può dire, è ormai entrata nel vivo.

http://www.ilminuto.info/sc/2015/03/tempio-pausania-brigata-sassari-cittadinanza-onoraria-e-venerazioni-militari-vicesindaco-contro-tutti/

Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida*). L’esercito italiano in Sardegna: occupazione e repressione (terza parte)

borntokillita3*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

L’esercito italiano in Sardegna: occupazione e repressione.

Le forze armate dello Stato unitario sono state attive nella repressione dei moti popolari della seconda metà del XIX secolo, in opposizione alle proteste popolari – da quelle contro la abolizione degli adempirvi (1865), ultimo attacco contro la gestione comunitaria della terra, ai battellieri in sciopero di Carloforte e ai tumulti di Sanluri del 1881, ove i carabinieri spararono sulla folla uccidendo 4 persone che manifestavano la propria opposizione alla miseria- e nelle retate terroristiche contro la popolazione barbaricina, in nome di una pretesa “lotta al banditismo” ma che in realtà era una “caccia grossa” al sardo.

Nel 1904, il direttore della miniera di Buggerru – il greco Georgiadis – chiese l’intervento di due compagnie di carabinieri al fine di costringere gli operai ad interrompere lo sciopero. Il risultato: 4 morti, uccisi perché si opponevano alla riduzione del proprio salario e all’estensione del lavoro a 12 ore. Due anni dopo, l’esercito si distinse ancora nel fare fuoco contro la nostra gente, che si scagliava contro i simboli dell’oppressione colonialista- caseifici, tramvie, casotti daziari-, facendo 2 morti a Cagliari; 2 a Gonnesa; 2 a Nebida; 5 a Villasalto. Senza contare i feriti.

Durante l’ultimo secolo lo Stato italiano – forte del suo dominio economico e culturale – poté contenere i costi dell’oppressione: non più atti palesi, come sparare su civili inermi, ma specialmente attraverso l’occupazione militare diretta, senza disprezzare la comparsa in operazioni contro i “banditi” (Operazione “Forza Paris”, 1992). Le basi militari sono state costruite a partire dagli anni ’50, sotto l’egida della Nato, e quindi della potenza statunitense, la quale – come ogni dominatore storico della Sardegna – vede nella nostra terra un utile avamposto per l’egemonia nel Mediterraneo. Le forze armate italiane condividono con gli alleati atlantici il più grande poligono terrestre, aereo e navale d’Europa (Quirra); il secondo poligono più grande dello Stato (Capo Teulada); il poligono di Capo Frasca; l’aeroporto di Decimomannu; le stazioni di telecomunicazioni del Monte Arci e di Santu Lussurgiu. Le servitù militari – tra terre e acque concesse per le attività di poligoni, aeroporti, porti, beni sottoposti a demanio militare, depositi munizioni, impianti di telecomunicazioni- ricoprono un’area di oltre 35000 ettari, contro i 16000 sul restante territorio dello Stato. In Sardegna sono dunque presenti il 70% delle servitù militari dello Stato, terreni tolti al libero uso delle nostre comunità e che gravano come un macigno sulla nostra possibilità di sviluppo economico. Entro tali aree inibite alla nostra popolazione si compiono lanci di razzi e missili; sganci di bombe (l’80% delle esplosioni di bombe in Italia, in tempo di pace, hanno avuto luogo in Sardegna); prove di armi da parte di militari di tutto il mondo, offerte dalle industrie private degli armamenti; esercitazioni a fuoco per azioni da attuare nelle guerre per l’egemonia occidentale. Inoltre, la nostra terra possiede la più alta percentuale di occupati nelle Forze Armate (4%), mentre nel settentrione e nel meridione d’Italia non si supera il 2%. Crediamo che ciò sia più che sufficiente per affermare, senza possibilità di smentita, che la nazione sarda subisca una grave occupazione militare.

Significativa è la questione della nuova caserma della Brigata Sassari, a Nuoro. 517 ettari della comunità nuorese, destinati a questa funzione del tutto estranea ai suoi interessi economici, per un costo di 24 milioni di euro, mentre per la costruzione del campus universitario si destinerà solo un milione di euro per rimettere a nuovo una ex artiglieria. Insomma, si vede una scelta politica ben precisa nel favorire le forze armate italiane invece degli studenti nuoresi!

RIFERIMENTI ESSENZIALI

– Leopoldo Ortu, Storia della Sardegna: dal Medioevo all’Età Contemporanea (CUEC, 2011);
Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna dopo l’Unità, (Laterza, 1986);
– Girolamo Sotgiu, Storia della Sardegna dalla grande guerra al fascismo (Laterza, 1990);
Guido Floris, Angelo Ledda, Servitù militari in Sardegna. Il caso Teulada (La Collina, 2010);
Giulio Bechi (a cura di Manlio Brigaglia), Caccia Grossa (Ilisso, 2006);

http://scida.altervista.org/vogliamo-la-scuola-sarda-non-militari-italiani/#sthash.FTwQ1MmL.dpuf

Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani (di Scida*). Seconda parte.

borntokillita3*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

Un mito da sfatare: le missioni di pace.

Uno dei punti forti della propaganda militarista italica sarebbe la “meritoria” attività delle truppe tricolori per mantenere la pace in Iraq e Afghanistan, per difendere la democrazia in questi paesi. Punto forte dell’antimilitarismo unionista, invece, è quello dei soldati italiani in servizio per interessi di altri.

La realtà che emerge, da quanto ci dicono alcune inchieste giornalistiche è, invece, molto diversa. Innanzitutto, gli italiani hanno combattuto e combattono. Ovviamente, ci vien da dire, giacché un esercito serve a fare la guerra e dal momento che, tra gli italiani a saltare in aria, non vi è stato certo Gino Strada! Innanzitutto, sappiamo dell’impegno italiano nella “Battaglia dei Ponti”, nei pressi di Nassiriya il 6 aprile 2004, contro i miliziani sciiti di Moqtada al Sadr che – giorni prima- aveva occupato tre ponti sull’Eufrate, dividenti in due la città. Durante i combattimenti, gli italiani sparano 30000 proiettili e uccidono – a detta del comando militare italiano – 15 persone. Miliziani o civili? Di certo sappiamo che gli italiani hanno ucciso una donna incinta ed altre tre persone (madre, sorella e marito, secondo i testimoni), facendo fuoco contro un’ambulanza. Ad ammettere ciò è lo stesso caporalmaggiore Raffaele Allocca, il quale – ritrattando la prima versione, secondo cui, il mezzo fosse un’autobomba, non fermatasi al check-point, e le persone all’interno avessero fatto fuoco contro gli italiani – ha dichiarato di aver sparato delle raffiche su ordine del maresciallo Stival, senza vedere delle persone sporgersi fuori dal veicolo. Il giornalista statunitense Micah Garen, che si trovava nel luogo in quel momento e fu anche rapito dagli uomini di al Sadr, fece un filmato da cui si nota che il mezzo era un’ambulanza che stava trasportava una donna incinta all’Ospedale di Nassiriya. Anche per questo, i miliziani sciiti avevano liberato il corrispondente americano. Ci dice Geran: L’ambulanza n.12 era stata inviata alle ore tre di venerdì mattina per trasferire una donna incinta, che aveva un travaglio difficoltoso, e la sua famiglia, dall’ospedale generale situato nella zona nord della città all’ospedale per le maternità nella zona sud, attraversando il fiume. L’esercito italiano, dislocato al lato sud del ponte, sparò contro l’ambulanza mentre essa lo attraversava. L’ambulanza prese fuoco e quattro dei passeggeri all’interno rimasero uccisi. L’autista e due persone con lui sedute sul davanti riuscirono a salvarsi. I resoconti dell’esercito statunitense, resi noti da Wikileaks recentemente (2010), hanno confermato che dal veicolo colpito non vi fu nessuna offesa. Allocca e Stival furono messi sotto processo dal Tribunale Militare e, infine, assolti nel maggio 2007 perché persone non punibili per aver ritenuto di agire in stato di necessità militare. Infatti, è stato riconosciuto l’”errore” commesso ma anche che il mezzo, in quelle condizioni, potesse rappresentare un pericolo grave ed attuale. Ci chiediamo se un tribunale iracheno avesse emesso una sentenza analoga e se – in condizioni di serio calo di consensi popolari nei riguardi delle missioni- l’Esercito avesse potuto condannare i due imputati, senza pensare alle conseguenze politiche di tale gesto.

Pare che in Afghanistan i “nostri ragazzi” si siano molto dilettati nel combattere i patrioti afghani. Basta fare qualche ricerca negli archivi giornalistici per notare ciò che scrivono i corrispondenti: andando a caccia di talebani, gli italiani hanno preso parte a scontri a fuoco in diversi luoghi del paese: nel distretto di Jawand, sul fronte nord dello schieramento italiano in Afghanistan occidentale; a Surobi, settanta chilometri a sudest di Kabul; a Bala Murghab (la Brigata Sassari, fra Natale e Capodanno 2009 ha combattuto per 72 ore); nel fronte sud di Farah.

L’Italia partecipa – o ha partecipato, nel caso iracheno – come truppa di occupazione ma anche come belligerante. Non solo per assolvere ai suoi doveri di vassallo degli Stati Uniti d’America, ma anche in difesa di suoi precisi interessi economici entro l’area. Infatti, sappiamo che l’Italia, con la multinazionale statale ENI, ha guadagnato qualcosa dai conflitti e dalla consequente “spartizione del bottino” con i suoi compari atlantici: nel 2009, la multinazionale si è aggiudicata per 20 anni il giacimento di Zubair – tra i più grandi del paese, con produzione pari a circa 195 mila barili di olio al giorno e, oggi, progetta nuovi affari nello Stato fantoccio. Ad esempio, è ancora in piedi il progetto di assicurarsi lo sfruttamento del pozzo di Nassiriya, addocchiato fin dagli anni ’90 e che, forse, si pensava di poterlo ricevere con il sangue degli 11 soldati italiani morti nello stesso luogo nel novembre 2003. Gli italiani, però, nel 2009 furono beffati – nella gara d’appalto – da una multinazionale giapponese. I giacimenti afghani di petrolio e gas sono sempre stati tra gli obiettivi dichiarati dell’ENI, che nel paese si sta dando da fare nella scoperta di questi tesori.

Insomma, l’idea di un’Italia mera vassalla – tanto cara agli estremisti dell’unionismo – è senz’altro da ridimensionare: la Repubblica Italiana sta agendo chiaramente da paese imperialista; i suoi soldati non fanno altro che servire gli interessi di questo Stato, offrendo un indubbio servizio agli Usa.

RIFERIMENTI ESSENZIALI

“Battaglia dei ponti: 30 mila proiettili, forse più morti
Sarzanini Fiorenza, Corriere della Sera (26 maggio 2004)

“Sì, abbiamo sparato contro l’ambulanza”
Sara Menafra, Il Manifesto (7 febbraio 2006)


“Un’ambulanza il veicolo colpito dai soldati.
Sentenza militare conferma Wikileaks”
la Repubblica (26 dicembre 2010)

 “Sent. G.U.P. Tribunale militare di Roma, 9 maggio 2007, n. 33″
processo penale a carico di Allocca Raffaele e Stival Fabio

“Ma gli italiani in Afghanistan preferiscono l’attacco alle azioni difensive”
Fausto Biloslavo, Il Foglio, 12-10-2010

“Forze speciali italiane all’attacco in Afghanistan. Le forze speciali italiane sono protagoniste del conflitto afghano 
Fausto Biloslavo, Panorama, 19-07-2010

“Afghanistan: diario di guerra dall’ultimo avamposto italiano”
Fausto Biloslavo, Panorama, 31-08-2008

“2 maggio 2013 –  Herat, Afghanistan: duro colpo inflitto dai militari italiani alle comunicazioni degli insorti”
da www.difesa.it

“Isaf all’attacco nella zona italiana
Manlio Dinucci, Il Manifesto (5 ottobre 2006)

 “Eni si aggiudica il giacimento ‘giant’ di Zubair, in Iraq”
da www.eni.com

“Afghanistan: Eni ‘seriously considering’ investing in northern Afghanistan says minister”
da www.adnkronos.com

“Eni, scoperto nuovo giacimento petrolifero in Afghanistan”
da www.milanofinanza.it

“Eni, attività in Iraq”
da www.eni.com

http://scida.altervista.org/vogliamo-la-scuola-sarda-non-militari-italiani/#sthash.ZBwoaWnO.dpuf

“Vogliamo la scuola sarda, non militari italiani” (di Scida*). Prima parte

borntokillita3In occasione del 4 Novembre Scida propone un’analisi del rapporto tra la Nazione sarda – ed in particolare tra i suoi giovani – e l’esercito di occupazione italiano.

*Originariamente pubblicato su Scida – Giovunus Indipendentistas, l’ 01/10/2013.  http://scida.altervista.org/

Indice:

1) Boleus sa scola sarda, non militaris italianus
2) Un mito da sfatare: le missioni di pace
3) L’esercito italiano in Sardegna
4) Antistoria della “Brigata Ascari”
5) Resistenza: diritto ad un futuro migliore!

Boleus sa scola sarda, non militaris italianus

Il 4 novembre è la data in cui lo Stato italiano celebra la “Festa dell’Unità Nazionale” e la “Giornata delle Forze Armate”. La data è stata scelta in quanto ricorda la vittoria del Regno d’Italia nel primo conflitto mondiale; leggiamo dal sito ufficiale dell’Esercito Italiano: “in questa giornata si intende ricordare, in special modo, tutti coloro che, anche giovanissimi, hanno sacrificato il bene supremo della vita per un ideale di Patria e di attaccamento al dovere: valori immutati nel tempo, per i militari di allora e quelli di oggi”.

Che cosa rappresenta l’Esercito Italiano? Tanto per un unionista, quanto per un indipendentista, le Forze Armate rappresentano la continuità storica dell’Italia nella sua unità istituzionale (dal 1861); il simbolo vivente di questa stessa unità attraverso 150 anni di storia, quanto l’istituzione che debba garantire questa unità, nella quale si riconoscono tutte le forze politiche italianiste. Non è un caso che questa ricorrenza sia – tra le festività laiche – l’unica che abbia attraversato tutte le tre fasi della storia italiana: dal Regno liberale al fascismo, fino alla Repubblica.

Ciò che segna il nostro distacco dalla visione unionista è, ovviamente, l’identificazione: lo Stato italiano – attraverso l’educazione, quanto per i mezzi di comunicazione di massa – ha cercato di infondere nei suoi cittadini l’attaccamento –  o meglio, Fede – alla “Patria italiana”, insegnando loro ad identificarsi storicamente con essa, attraverso una narrazione storica rassicurante, in cui l’Italia svolge sempre la parte di potenza buona, ed i suoi soldati la parte di Eroi, al servizio di cause sempre giuste, ed ineccepibili. Dalla lotta contro il brigantaggio – a compimento della “giusta” guerra piemontese contro i reazionari borbonici ed asburgici, ad un colonialismo tutto sommato bonario e coinvolto in una “missione civilizzatrice”, alla Grande Guerra contro i reazionari Imperi Centrali e per “liberare” le terre irredente, a compimento del Risorgimento; ad un colonialismo fascista, anche questo tutto sommato diverso dagli altri; alla lotta contro il nazifascismo, perché tanto Badoglio ed il regio esercito si misero a combattere la RSI, in nome della “vera Italia”… sino alle “missioni di pace” odierne, ove i “nostri soldati” svolgerebbero un lavoro al servizio delle popolazioni.

Noi giovani indipendentisti ci identifichiamo con la causa della nostra nazione colonizzata, sapendo inoltre di lottare in nome di valori universali, che ci permettono di sentirci solidali con tutti i popoli oppressi del mondo, in particolare quelli che hanno subito la violenza dell’Italia e del suo braccio armato. Se gli studenti sardi conoscessero le vere imprese dell’Esercito italiano, probabilmente sarebbero immuni dalle retoriche celebrazioni di questa giornata: le stragi compiute dai bersaglieri nel Meridione d’Italia (ad esempio, le centinaia di civili uccisi o bruciati vivi a Pontelandolfo e Casalduni); le innumerevoli stragi e violenze compiute dal contingente italiano in Cina ai primi del 1900; i crimini contro l’umanità commessi in Somalia, Eritrea, Libia, Etiopia dalla fine del XIX secolo alla fine dell’Impero (esempi: dall’eccidio di Massaua su ordine del tenente dei carabinieri Livraghi, alla strage di Sciara Sciat – 4000 libici uccisi nel 1911 – alle tonnellate di iprite sganciate dall’aviazione italiana contro gli abissini, alle deportazioni di massa, alla strage di Debra Libanos diretta dal generale Maletti); come dimenticare, poi, le eroiche azioni dei carabinieri nella Grande Guerra, a caccia dei “disertori”– cioè coloro che si rifiutavano di farsi massacrare per gli interessi del capitale italiano – sparando addosso o fucilando i soldati che si rifiutavano di uscire fuori dalla trincea; gli 8000 sloveni uccisi tra il 1941 ed il 1943 dalle truppe d’occupazione, per tacere delle migliaia di deportazioni ai danni delle popolazioni slave. Per tacere dei crimini commessi dalle forze armate italiane contro i suoi stessi concittadini: l’episodio più celebre è, probabilmente, quello delle cannonate di Bava Beccaris contro il popolo milanese. Alla luce di tutti questi atti criminosi; a noi sembra che celebrare l’Esercito Italiano non sia dissimile dal celebrare le SS! Vista la sorte di queste ultime, difficilmente i soldati italici si salveranno dalla pattumiera della storia!

RIFERIMENTI ESSENZIALI:

– Angelo Del Boca, Italiani, brava gente? (Neri Pozza, 2005)
– Fascist Legacy (Documentario BBC, 1989)

http://scida.altervista.org/vogliamo-la-scuola-sarda-non-militari-italiani/?doing_wp_cron=1425141576.6034629344940185546875